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"Caos atenei, tutti contro le promesse del governo", di Gioia Salvatori

«Tra qualche giorno ci sarà un passaggio cruciale per la formazione della coscienza critica delle nuove generazioni: spiegare agli universitari perché il prof non c’è», dice uno studente. E allora saranno assemblee col megafono e riunioni, rabbia e striscioni più di adesso, perché ora nei corridoi si aggira solo chi deve fare esami. Intanto continua la mobilitazione nelle università italiane: diecimila ricercatori hanno deciso di non prestarsi alla docenza, l’inizio delle lezioni è a rischio in decine di atenei in tutta la Penisola e, mentre studenti e ricercatori (ieri la loro notte bianca su radio e tv web) annunciano sit in piazza Montecitorio contestualmente alla discussione del ddl Gelmini, l’università si prepara a tre giorni di mobilitazione negli atenei dal 4 al 6 ottobre. Non c’è unità tra base e professori di lungo corso: dopo la promessa di Tremonti di finanziare la riforma universitaria entro due mesi, finisce sotto il fuoco di fila la conferenza dei rettori (Crui) accusata dal coordinamento nazionale dei ricercatori, dalla rete degli universitari-Link, dall’Uds e dai giovani democratici, di flirtare col governo in cambio di un piatto di lenticchie. «Le promesse di Tremonti e della Gelmini sono vane senza soldi e per salvare gli atenei dalla bancarotta, per finanziare la riforma universitaria, il diritto allo studio e i bandi di concorso servono 5miliardi. Non credo il governo li troverà. Noi siamo disposti al dialogo ma non smetteremo di chiedere il riconoscimento dello status giuridico per i ricercatori-docenti: una riforma a costo zero. Siamo aperti al governo ma non ci faremo intimorire dai baroni e dai presidi che ci ricattano quando ci asteniamo dalla docenza», dice Marco Merafina, coordinatore del Cnru (coordinamento nazionale ricercatori universitari) alla fine di un’assemblea a Roma. A studenti e ricercatori le promesse dei ministri Gelmini e Tremonti non bastano: a dare il polso sono i numeri dell’Università degli studi di Roma La Sapienza dove a 223 bandi per corsi che dovevano tenere i ricercatori, hanno risposto in 30. Gli atenei coi grandi numeri soffrono di più: Roma, Bologna, Napoli Federico II, Torino statale e Bari statale. Così i senati accademici uno dopo l’altro, decretano l’impossibilità di un regolare avvio dei corsi, inevitabile se i ricercatori, una categoria che tiene circa il 40% delle lezioni,non sale in cattedra. Nella Capitale i rettori, nonostante la posizione ufficiale della Crui, protestano: da Tor Vergata Renato Lauro fa sapere che alla voce fondo ordinario «siamo sotto-finanziati per32milioni di euro secondo valutazioni del ministero ». Dalla Sapienza Luigi Frati fa sapere che «alla Sapienza occorrono 70-80milioni di euro: Tremonti e Gelmini si facciano carico della situazione nella Finanziaria 2011. Mi rifiuto di approvare il bilancio preventivo 2011in rosso». Poi ricorda i tagli effettuati con gli accorpamenti di facoltà (ce ne erano 23 ora sono 11) e provoca: «Il governo magari manderà un commissario, ma io non mi dimetterò ». Guido Fabiani, il rettore di Roma Tre, ha chiesto fondi per far diventare i ricercatori docenti: sono tanti e troppo preziosi per la didattica; ha stretto un accordo con Tor Vergata per ottimizzare, in tempi di magra, fondi ricerca e laboratori. GRANDI E PICCOLI Gli atenei più grandi, quelli dove più difficile è gestire i buchi di bilancio e la protesta, difficilmente riusciranno ottimizzando le poche risorse a coprire i buchi di docenza. Qualcuno invece ci prova: al Politecnico di Torino il Cda è orientato ad adottare la soluzione minacciata dal rettore dell’università di Bologna: via al reclutamento di professori a contratto per supplire coi contrattisti precari i ricercatori, denuncia l’Udu. Gli atenei toscani di Pisa, Siena e Firenze pensano a una mobilitazione unitaria ai primi di ottobre per coinvolgere il governatore della Toscana Enrico Rossi nella protesta. A Pisa la facoltà di scienze fisiche e matematiche va verso lo stop dei corsi sine die fino al ritiro del ddl Gelmini e Padova e Pavia potrebbero approdare alla stessa decisione. A Firenze alla facoltà di scienze politiche i corsi opzionali sono scomparsi dall’offerta formativa, le lezioni inizieranno il 27 settembre anziché il 20 a scienze politiche. A Ferrara la facoltà di architettura è bloccata dalle defezioni dei ricercatori e anche le università di Parma e Ancona sono in difficoltà: piccoli atenei dove i corsi saltano per il blocco del turn-over, dove il mancato rimpiazzo dei pensionati si fa sentire tanto quanto la protesta dei ricercatori. Tra qualche giorno, quando gli studenti torneranno, gli atenei saranno tutta un’assemblea: coscienza critica da formare al di fuori delle aule.

L’Unitò 25.09.10