economia, lavoro

"Confindustria: tutti intorno a un tavolo", di Teodoro Chiarelli

Chissà se passerà agli annali come «il patto di Genova». Certo la proposta «per la crescita, la competitività e l’occupazione» che Confindustria lancia dal centro congressi disegnato da Renzo Piano e incuneato nel cuore del Porto Antico del capoluogo ligure, potrebbe riannodare le fila di un confronto fra le parti sociali che sembrava irrimediabilmente sfilacciato. «Ci sono tutte le condizioni per decidere di fare insieme un primo tagliando all’accordo del 2009 e, con i sindacati tutti, firmatari e no, verificare oggettivamente lo stato dell’arte», dice Alberto Bombassei, vicepresidente di Confindustria.
Sette volte ripeterà nel suo intervento «tutti insieme». Una chiara operazione di disgelo verso la Cgil dopo gli scontri sulla questione Fiat. «Non abbiamo nessun preconcetto nei confronti di nessuno – spiega il vicepresidente di Confindustria per le relazioni industriali – più siamo, meglio è». I tempi? «Al più presto, entro l’anno mi sembra ragionevole. L’importante è che non si pongano condizioni, non si mettano limiti. Bisogna sedersi sgombri da preconcetti, con l’obiettivo di guardare avanti e non con lo specchietto retrovisore».
Gli industriali, dice Bombassei, sono anche pronti a un accordo interconfederale sulle regole di rappresentanza. «Non una legge. La legge eventualmente dopo, per darne validità generale». Bombassei non si sottrae comunque al tema caldo della Fiat. Non nomina il Lingotto, ma sostiene la richiesta di un contratto specifico per l’auto. «Dobbiamo riflettere tutti insieme sul fatto che la competizione internazionale potrebbe anche porre la necessità di avere discipline specifiche per singole realtà aziendali o di comparto». Il vicepresidente della Confindustria, sostiene che «ci dobbiamo domandare se, mentre intorno a noi è cambiato il mondo, non ci sia la necessità di ripensare agli accorpamenti settoriali che sono stati costruiti cinquanta o sessanta anni fa in un contesto totalmente diverso da oggi. Allargare il campo di applicazione dei contratti è un obiettivo, ma non può essere un vincolo. Razionalizzare è corretto, ma potrebbe risultare utile e necessario anche specializzare».
Ma in Confindustria c’è anche grande preoccupazione per l’insufficiente crescita del Paese e le pesanti ricadute sull’occupazione, soprattutto per i giovani: il 27,9%, più di uno su quattro, non ha un lavoro; se poi si guarda alle giovani donne del Sud si sale al 40,3%. Ecco perché la presidente Emma Marcegaglia sbotta di fronte all’ottimismo del governo: «Non è vero che siamo andati meglio di altri Paesi. Siamo stati fortemente colpiti, siamo entrati nella crisi già in crisi: negli ultimi dieci anni siamo cresciuti l’1% meno degli altri Paesi. La Germania, il nostro maggiore competitore, nel 2010 crescerà del 3,4%».
Sulla stessa lunghezza d’onda Banca d’Italia. «Con la crisi – spiega il vicedirettore generale di via Nazionale, Ignazio Visco – l’Italia ha sofferto una contrazione tra le maggiori osservate nei Paesi avanzati, non per le difficoltà del sistema bancario, che ha retto meglio che altrove, ma per gli effetti della recessione. Il nostro Paese è stato colto dalla crisi in un momento delicato, di trasformazione del sistema produttivo dopo quindici e più anni di stagnazione economica».
Dichiarazioni che non piacciono per niente a un irrefrenabile Renato Brunetta, ministro della Pubblica amministrazione. «I dati ufficiali e strutturali – replica stizzito – sottolineano che l’Italia ha attraversato la crisi meglio di tanti altri Paesi che ci davano lezioni. Chiedere all’Italia, con i gap infrastrutturali che ha, di crescere come la Germania è un po’ troppo». È la presidente di Confindustria a rispondere, con un sorriso tirato, al ministro. «Non chiediamo di crescere al 3,4% come la Germania, ma almeno al 2% come la media europea, questo sì. Con le riforme si può fare. Invece siamo al massimo all’1,2%. Dobbiamo concentrarci sulla crescita, tutti insieme: imprese, sindacati e politica». Oggi, con gli interventi di Luigi Angeletti, Raffaele Bonanni, Guglielmo Epifani, Maurizio Sacconi e della stessa Marcegaglia capiremo se ci sono spazi di manovra.

La Stampa 25.09.10

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“Finalmente Confindustria ha capito ma ora la smetta con la conflittualità”, di Luisa Grion

«Bene, finalmente anche la Confindustria si è accorta che siamo messi male e che in termini di politica industriale questo paese non sta facendo nulla. Ora però la Marcegaglia passi dalle parole ai fatti». Così Maurizio Landini, leader della Fiom-Cgil, commenta le parole della presidente degli imprenditori, che critica l´ottimismo del governo e di chi continua a dire che – quanto ad economia – «siamo messi meglio degli altri».
Landini, Confindustria dice sulla crisi quello che vuoi dite da tempo. Soddisfatto?
«No, perché vedo tante dichiarazioni e niente di concreto. Per fortuna gli industriali hanno preso atto che il governo non fa nulla sul terreno della politica industriale. Ma quello stesso governo – d´accordo proprio con Confindustria – sta mettendo in discussione i diritti dei lavoratori e tenta di cancellare il contratto nazionale. Ora mi aspetto che l´atteggiamento delle imprese cambi».
Cosa dovrebbe fare Confindustria?
«Smetterla di perdere tempo firmando accordi separati e investire piuttosto sul lavoro. Non si esce dalla crisi puntando sulla conflittualità. Non si rilancia l´economia se invece di guardare ai veri problemi delle imprese e alla mancanza di innovazione dei prodotti, si continua a pensare che tutti i guai siano dovuti ai salari dei lavoratori e ai loro diritti».
Lei parla di innovazione dei prodotti, ma va pur detto che dove la crescita è più forte, ad esempio la Germania, ci sono aiuti alla ricerca che le nostre imprese si sognano.
«Vero. Ma in quegli stessi paesi le imprese, da sole e senza aspettare i governi, da sempre investono in innovazione molto più delle nostre».
Ma la Marcegaglia chiede anche meno tasse sia per le imprese che per i lavoratori, non è un buon punto di partenza?
«La riforma fiscale va fatta certo, ma non pensando ad un generico taglio delle tasse. Bisogna tenere conto di come – durante la crisi – lavoratori e pensionati abbiano pagato di più e di come, sul fronte delle imprese, sia invece aumentata l´evasione fiscale. Il fisco va riformato, ma bisogna parlare di lavoro, estendere a tutti l´utilizzo degli ammortizzatori sociali e bloccare i licenziamenti. E´ così che si riparte».
Il fatto che oggi la Marcegaglia e i leader sindacali si vedano per discutere di contrattazione, può segnare una svolta nei vostri rapporti con le imprese?
«Non vedo fatti e non basta parlare ai seminari: bisogna discutere ai tavoli della contrattazione, firmare intese che coinvolgano tutto il sindacato e convalidarle con i referendum dei lavoratori. Ma su questo fronte direi che non ci siamo: nei prossimi giorni le imprese hanno piuttosto in calendario appuntamenti per disdire il contratto nazionale dei metalmeccanici ed estendere agli altri settori gli accordi di Pomigliano. Bisogna cambiare strada, e lo dico non solo per difendere i lavoratori, ma perché questo atteggiamento danneggia le imprese e il Paese».

La Repubblica 25.09.10

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E il duro Bombassei dialoga con la Fiom

Prima ha guidato la manifestazione della Fiom sino all’ingresso del Porto Antico dove, 500 metri più avanti, si teneva il convegno organizzato da Confindustria. Poi ha chiesto di poter parlare dal palco: un breve intervento per poter illustrare i perché della protesta genovese. Franco Grondona, segretario della Fiom di Genova, è un uomo pragmatico. Duro e puro, vecchio stampo forgiato dai lunghi anni trascorsi allo stabilimento siderurgico dell’Ilva, ma lontano anni luce dalla protesta fine a se stessa e inconcludente. Si sciopera, si lotta, anche a oltranza, ma per raggiungere poi un accordo, un risultato per i lavoratori.
Alberto Bombassei, vicepresidente di Confindustria per le relazioni sindacali e ieri, in attesa di Emma Marcegaglia, padrone di casa al centro congressi dei Magazzini del Cotone, non è certo una mammoletta, ha fama di duro nelle trattative. Eppure ieri è rimasto colpito da quella richiesta a sorpresa. Non se l’è sentita di far parlare il sindacalista dalla tribuna, ma lo ha invitato a un faccia a faccia in una saletta riservata.
Nell’incontro Bombassei e Grondona hanno parlato di contratto e occupazione, con particolare riferimento alle vicende di Fincantieri e Ilva. «Abbiamo posto a Confindustria – riferisce Grondona – il problema della rappresentanza. Bombassei ci ha detto che c’é un problema di competitività, che è necessario salire sul treno di Pomigliano e nessuno può avere diritti di veto. Noi abbiamo sottolineato che gli accordi separati non possono valere per tutti. Un accordo è tale se non è una capitolazione, se entrambe le parti ci perdono qualcosa, ma Confindustria chiede al sindacato di perderci troppo».
Alla fine Grondona ha commentato: «Un incontro fra persone educate, in cui ognuna è rimasta della propria opinione». Ma al di là dei contenuti – nessuno pensava di trovare un qualche clamoroso accordo – resta il segnale, positivo di questi tempi randagi, che persone su fronti opposti tornino comunque a parlarsi e a confrontarsi. In questo senso Bombassei ha dimostrato la propria coerenza con il messaggio lanciato dalla tribuna genovese.
Alla manifestazione della Fiom al Porto Antico, fra decine di bandiere rosse e uno striscione con lo slogan «Mai schiavi», hanno partecipato, secondo gli organizzatori, poco meno di 2 mila persone. Al corteo ha preso parte anche una rappresentanza degli orchestrali del Teatro Carlo Felice che si oppongono alla cassa integrazione: un breve concerto di ottoni davanti all’Acquario e poi il serpentone sino al cordone di polizia e carabinieri che proteggeva l’accesso al centro congressi. Slogan, urla e canzoni ironiche, ma tutto si è svolto senza incidenti. Momenti di tensione si sono registrati solo al passaggio di alcuni congressisti di Confindustria che hanno sfilato davanti al corteo della Fiom, bloccato dalla polizia a circa 500 metri dai Magazzini del Cotone. Un gruppo di persone si è staccato dal corteo e, urlando alcuni slogan, ha cercato di avvicinarsi ai congressisti, ma è stato bloccato dallo stesso servizio d’ordine della Fiom.

La Stampa 25.09.10