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"Guardiamo al futuro. Crediamo nella scuola", di Pier Luigi Bersani

Cari ragazzi e ragazze, insegnanti e lavoratori della scuola, genitori ed educatori,
noi sappiamo che, nonostante i tagli drammatici del Governo, che sottraggono 8 miliardi di euro e compiono il più grande licenziamento di massa della nostra Repubblica, la scuola aprirà comunque le sue porte. Ce la farà per la straordinaria passione che gli insegnanti mettono nel loro lavoro di formazione dei cittadini di domani; ce la farà perché i dirigenti scolastici, grazie anche all’aiuto dei nostri amministratori, riusciranno a salvare il salvabile del tempo scuola richiesto dalle famiglie; ce la farà perché i pochi collaboratori scolastici rimasti faranno funzionare le scuole. Grazie a loro i bambini potranno riprendere i progetti educativi interrotti.
Ma la cosiddetta ‘riforma epocale’ della scuola pubblica, approvata da Tremonti-Gelmini, assicurerà davvero la ‘qualità’ della scuola italiana? Aiuterà il nostro Paese a dimezzare il tasso di dispersione scolastica e a triplicare il numero di laureati come l’Europa ci chiede di fare entro il 2020? No, ne siamo certi. Aggraverà, al contrario, i cronici mali del nostro sistema scolastico. Aumenterà i divari nei livelli di apprendimento tra nord e sud del Paese, la dispersione e l’abbandono scolastico, gli insuccessi e le frustrazioni.
In un paese moderno il merito si sposa con i diritti e con le pari opportunità, e il sistema scolastico è centrale perché funziona da ‘ascensore sociale’, strumento di uguaglianza e libertà. Ogni studente è un cittadino che attraverso il sistema dell’istruzione pubblica può emanciparsi dalla condizione sociale di partenza, con le proprie capacità e responsabilità, se adeguatamente sostenuto. Di più, alla Repubblica spetta il compito, come recita l’Art. 3 della nostra Costituzione di ‘rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana’.
Le proposte del PD, arricchite dal confronto con le associazioni di studenti, insegnanti, genitori e sindacati, non rifiutano l’innovazione anzi la chiedono. Non ci rassegniamo all’idea che l’Italia sia ‘maglia nera’ in Europa per l’abbandono scolastico, all’idea di un nuovo analfabetismo. Vogliamo una riforma della scuola che finalmente faccia ritrovare al sistema pubblico la fiducia di tutti gli italiani. Ma questo non si ottiene con la riduzione dell’offerta formativa, della ricerca didattica, la riduzione dell’obbligo scolastico; non si ottiene lasciando per la strada professori che insegnano da anni sotto il titolo di precario mentre decine di migliaia di posti in organico continuano a restare scoperti.
La destra nega alla scuola questa funzione e quella che si sta disegnando è la scuola delle divisioni: fra ricchi e poveri, italiani e stranieri, nord e sud, dirigenti e manovalanza. E’ una scuola senza autonomia che rispecchia il modello di società che Berlusconi ha in testa: un Paese fermo che rinuncia a competere nel mondo e sottrae il uturo alle giovani generazioni. Raccontano favole sul riconoscimento del merito degli insegnanti, mentre bloccano gli stipendi; inventano percentuali sull’aumento del tempo pieno, mentre le famiglie restano senza; parlano di mondo del lavoro e chiudono i laboratori; accorpano classi e stipano i ragazzi in aule sempre piú affollate, contro ogni norma di sicurezza. I precari della scuola vanno sui tetti e fanno lo sciopero della fame e il Ministro neppure li riceve, mentre alle scuole dell’obbligo i genitori fanno collette per la carta igienica e l’ora di inglese. Ci hanno raccontato che i tagli alla scuola sono necessari. Non è vero. I recenti dati OCSE dimostrano che siamo molto al di sotto della media europea e i tagli ci spingeranno ancora piú in basso. Non è un problema di soldi, ma di scelte politiche. Il nostro ultimo governo Prodi pagava annualmente i debiti alle scuole, aveva innalzato l’obbligo scolastico e aveva avviato un piano realistico di assunzione dei precari. Eppure, diversamente dal governo attuale, aveva migliorato i conti pubblici. Anche oggi le risorse possono essere recuperate dell’evasione fiscale e da altri risparmi che abbiamo indicato. Anche oggi migliaia di cantieri per rinnovare una fatiscente edilizia scolastica potrebbero rilanciare non solo la scuola, ma anche l’economia locale. Anche oggi, se il Governo rinunciasse all’ossessione del controllo sull’universo televisivo e mettesse immediatamente a gara le frequenze liberate dal digitale terrestre, incasseremmo un po’ di miliardi che nell’emergenza potrebbero essere investiti nella scuola, nella conoscenza, nel sapere.
Le proposte del PD, arricchite dal confronto con le associazioni di studenti, insegnanti, genitori e sindacati, non rifiutano l’innovazione anzi la chiedono. Non ci rassegniamo all’idea che l’Italia sia ‘maglia nera’ in Europa per l’abbandono scolastico, all’idea di un nuovo analfabetismo. Vogliamo una riforma della scuola che finalmente faccia ritrovare al sistema pubblico la fiducia di tutti gli italiani. Ma questo non si ottiene con la riduzione dell’offerta formativa, della ricerca didattica, la riduzione dell’obbligo scolastico; non si ottiene lasciando per la strada professori che insegnano da anni sotto il titolo di precario mentre decine di migliaia di posti in organico continuano a restare scoperti.
Non è retorica ripetere che sulla scuola si gioca il futuro del Paese. Il futuro economico e quello civile si tengono e crescono insieme solo se si investe nell’istruzione e nei saperi. Noi guardiamo al futuro. Per questo crediamo nella scuola pubblica.

L’Unità 25.09.10