attualità, politica italiana

"La Lega sente aria di elezioni", di Michele Brambilla

La battutaccia di ieri di Umberto Bossi sui «romani porci» non stupisce più di tanto: si inserisce in un’ormai più che consolidata tradizione di linguaggio da caserma, anzi da lupanare. Del resto il leader della Lega (che tra le altre cose è anche un ministro della Repubblica) già in passato ci aveva spiegato che cosa si puliva con il tricolore, aveva già urlato a Casini dove glielo aveva messo Berlusconi (aprile 2008), aveva già mostrato il dito medio, fatto pernacchie, e via con questi tocchi di classe. Nella sua ormai lunga carriera non ha risparmiato nessuno: nemmeno Berlusconi, al quale ha dato del «Goebbels» (24 gennaio 1995) e del «mafioso» (15 settembre 1995), tanto che il Cavaliere in più di un’occasione si era sentito in dovere di reagire: «Bossi quando parla sembra un ubriaco al bar»; «Bossi è un disastro, una mente contorta e dissociata, un incidente della democrazia italiana, uno sfasciacarrozze con il quale non mi siederò mai più allo stesso tavolo». Perfino il professor Gianfranco Miglio, al quale oggi un sindaco leghista ha intitolato una scuola, aveva espresso un giudizio non esattamente lusinghiero.

Si era espresso così: «Bossi è un incolto, buffone, arrogante, isterico, arabo levantino mentitore, se mi si ripresenta lo caccio a pedate nel sedere» (18 maggio 1994).

Il lettore ci perdoni tante squallide citazioni, ma questo è il livello, ormai da troppi anni, del dibattito politico in Italia. Vogliamo dire che da un certo punto di vista le esternazioni di Bossi a Lazzate, in Brianza, rientrano in una desolante routine. Chi ha occasione di seguire i suoi comizi – e soprattutto i suoi dopo-comizi – sa bene che Bossi è così: quando è con «la sua gente» non rinuncia al cabaret, e neppure al trivio e qualche volta alla dichiarazione di guerra. Tutto viene ammorbidito da un clima da strapaese, e quindi minimizzato, infine lasciato perdere nelle cronache da noi giornalisti, che quasi sempre ci limitiamo a riportare le dichiarazioni che ci paiono di spessore politico, nella convinzione che dobbiamo attenerci alla realtà ufficiale, mentre forse sarebbe più istruttivo per i lettori descrivere la realtà per quella che è, tutta intera, cabaret compreso.

Passa l’idea che tutto vada ricondotto al folclore leghista. E anche allo spirito giocherellone di Bossi, il quale soprattutto dopo la malattia è diventato meno aspro e più spiritoso, può apparire anche simpatico quando ad esempio dice che a Roma al massimo si può far la corsa delle bighe, e non delle automobili. Diciamola tutta, altrimenti è ipocrisia: molti dicono pure che Bossi è un po’ «andato».

Ma non è così. Da dopo la malattia, Bossi è sicuramente blindato da un gruppo di fedelissimi che lo tengono sotto scorta, che cercano di evitargli strapazzi ma anche esternazioni fuori controllo (da quanto tempo Bossi non rilascia più un’intervista?), insomma è particolarmente accudito e protetto. Ma è tutt’altro che «andato». La sua intelligenza politica, o se preferite la sua astuzia, è intatta: e quando Bossi dice qualcosa destinata a far rumore è perché vuole che si faccia rumore, e che quel rumore produca un risultato.

Senza voler far dietrologia, crediamo sia perlomeno lecito avanzare il sospetto che il «sono porci questi romani» di ieri non sia dovuto a qualche bicchiere di troppo, come hanno ipotizzato per minimizzare alcuni del centrodestra, ma sia piuttosto un sasso in piccionaia per agitare gli animi dei suoi. Dotato di fiuto come pochi altri, Bossi ha capito che nel centrodestra non c’è tregua che tenga, e che le elezioni anticipate sono inevitabili. E così ha cominciato a scaldare i motori, o meglio il suo elettorato, sapendo bene che per scaldarlo non c’è niente di meglio che riesumare il nemico di sempre: Roma. Contro Roma ladrona aveva cominciato la sua battaglia, contro Roma la riprende sempre ogni qual volta si avvicinano le urne. Intanto a Roma è al governo e gestisce ministeri chiave. E non si astiene né quando c’è da votare per Roma capitale, né ci sono da salvare Caliendo e Cosentino dalla giustizia.

È solo un’ipotesi, e forse qualcuno dirà che il bicchiere di troppo lo abbiamo bevuto noi. Ma snobbare le sparate di Bossi, ridurle a espressione di ignoranza e maleducazione, è un atteggiamento che per troppo tempo ha portato a una sottovalutazione delle mosse della Lega e dei loro effetti politici.

La Stampa 28.09.10