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"Contro le donne. Consultori: la controriforma parte dal Lazio" di Giulia Rodano

Il Consiglio regionale del Lazio ha avviato l’iter di discussione della proposta di controriforma della legge istitutiva dei consultori familiari, presentata da Olimpia Tarzia, presidente del Movimento per la vita del Lazio e consigliere regionale della lista Polverini. Se la legge fosse approvata, i consultori familiari nel Lazio scomparirebbero, per essere sostituiti da confuse, non solo private ma confessionali strutture di consulenza alla famiglia, naturalmente solo quella fondata sul matrimonio.
Il patrimonio costruito in trent’anni che ha fatto del consultorio un esempio di lavoro d’équipe per prendere in carico le donne, le coppie, gli adolescenti per tutelarne la salute riproduttiva, renderne consapevoli e libere le scelte verrebbe cancellato. Il lavoro compiuto per promuovere la procreazione responsabile, contribuendo, come dimostrato, a far diminuire il numero degli aborti, verrebbe bruscamente interrotto. La porta aperta libera, gratuita, esente da ticket per tante donne, sole, deboli, oggi per tante immigrate, verrebbe chiusa.
Cosa verrebbe creato al posto dei consultori pubblici, liberi e gratuiti? Basta leggere la presentazione della legge: «Non più strutture deputate a fornire una serie di servizi sanitari e parasanitari alle famiglie, bensì istituzioni vocate a sostenere e promuovere la famiglia ed i valori etici di cui essa è portatrice». Verrebbero create strutture controllate da un comitato di bioetica che dovrebbe verificare il comportamento “etico” degli operatori, solo quelli pubblici naturalmente. Quelli privati, se riconosciuti da questa legge, non potrebbero che essere di per sé coerenti con i valori propugnati dalla legge. Nei nuovi consultori le donne verrebbero costrette a un calvario aggiuntivo, illegittimo, crudele e inutile, per accedere alla interruzione di gravidanza, durante il quale gli operatori dovrebbero ricordare alla donna «il suo dovere morale di collaborare nel tentativo di superare le difficoltà che l’hanno indotta a chiedere l’interruzione volontaria di gravidanza», e indurla a firmare una sorta (del tutto illegale) di consenso informato.
Si tratta di un percorso a ostacoli, una vera e propria “lapidazione psicologica della donna”.
È evidente dunque lo scopo della proposta, iniziare cioè a scardinare il sistema di diritti e dignità costruito nel nostro Paese attraverso tanti anni di battaglie di civiltà. Un rischio che non possiamo permetterci.
Molte associazioni e molti cittadini, non solo donne, si sono già mobilitate, nelle piazze e sulla rete. Si tratta di una battaglia difficile, anche per i numeri espressi nel Consiglio regionale. Abbiamo bisogno di uscire dal silenzio. Per questo chiediamo aiuto a quanti, uomini e donne, possano aiutarci a farlo.

L’Unità 29.09.10

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