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"Slitta il voto sul ddl. Gelmini si arrabbia", di Roberto Ciccarelli

Lo slittamento del voto sulla riforma Gelmini dell’università a dicembre è una nuova affermazione del movimento dei ricercatori che hanno bloccato l’anno accademico nella maggioranza degli atenei italiani. Nella seduta della conferenza dei capigruppo tenuta ieri mattina a mezzogiorno a Montecitorio, è stato rigettato il progetto del governo di strozzare i tempi di discussione nella commissione cultura e di votare in aula il provvedimento a partire da martedì 4 ottobre. Il presidente della Camera Gianfranco Fini ha deciso di fissare la discussione generale giovedì 14 ottobre e di rimandare l’approvazione del disegno di legge al termine della sessione di bilancio. «Una scelta obbligata» ha commentato Fini il quale, pur riconoscendo le ragioni del governo, ha ricordato che non è possibile esaminare «provvedimenti onerosi» durante la sessione di bilancio.
Al dibattito mattutino non ha potuto assistere il ministro dell’università Maria Stella Gelmini, costretta a restare sulla porta perché il governo era già rappresentato dal ministro per i rapporti con il parlamento Elio Vito. Nel corso della seduta della commissione cultura convocata alle tre del pomeriggio, sembra che abbia manifestato una profonda delusione per la decisione di Fini. «Ognuno si prenderà le proprie responsabilità», avrebbe affermatoi, facendo così intendere che è a rischio l’«accordo» che tiene in vita la sua riforma. Più tardi, nelle dichiarazioni ufficiali, i toni sono stati ammorbiditi. Il ministro ha confessato solo un «rammarico» nel rispetto delle «decisioni del Parlamento».
A quale accordo avrebbe alluso Gelmini nella sua replica in commissione? Non certo con i ricercatori della rete 29 aprile i quali hanno espresso soddisfazione per la prima, vera, battuta d’arresto della riforma più impopolare della storia dell’università italiana. La riforma Gelmini «è una legge indecente – affermano in un comunicato – che smantella l’università pubblica e ne consegna le briciole in mano ai rettori. Ci auguriamo che il governo sfrutti la pausa di riflessione per dare ascolto al mondo universitario e dare avvio a una riscrittura radicale del ddl». «Quella di ieri è stata una grande vittoria del movimento – sostiene Domenico Pantaleo, segretario della Flc-Cgil – Per l’università è fondamentale una riforma condivisa alla quale mi auguro che partecipi la Conferenza dei Rettori che fino ad oggi ha accettato il baratto del governo: prima la riforma, poi vi diamo le risorse».
E se fosse proprio questo l’accordo al quale si è riferita il ministro? «Se confermata – è intervenuto Enrico Decleva, presidente della Crui – questa decisione porterà alla rottamazione del provvedimento». Nel timore di questo scenario Mariastella Gelmini ha prima alluso a una richiesta di ope legis da parte del movimento degli indisponibili e poi ha rilanciato la proposta che il governo sta usando per spaccare il fronte tra ricercatori e studenti: garantire 10 mila posti da professori associati nei prossimi 6 anni a partire dal 2011. «Non abbiamo mai chiesto ope legis, pensarlo è solo offensivo – ribatte la Rete 29 aprile – Il governo vuole far credere che una normale progressione di carriera sia una gentile concessione invece che un diritto dei ricercatori che se lo meritano. I ricercatori non sono intenzionati a diventare professori in mezzo alle macerie di un’università aziendalizzata».
Una posizione molto determinata che viene sostenuta da un crescente movimento di opposizione. Solo ieri la facoltà di Architettura-Quaroni della Sapienza di Roma ha ospitato un’assemblea con 800 studenti, mentre 500 studenti di ingegneria bloccavano la fermata metro Colosseo. A Padova sono stati in mille a partecipare ad un corteo davanti al Palazzo del Bò, subendo una carica della polizia.
«I tentativi di accelerazione da parte del governo erano finalizzati ad anticipare il movimento degli studenti – riflette Claudio Riccio, della Rete della conoscenza – La nostra mobilitazione ha risvegliato un’opposizione balbettante». La settimana scorsa Manuela Ghizzoni, capogruppo Pd in commissione cultura, ha infatti abbandonato l’aula per protestare contro il contingentamento dei tempi. Ieri, insieme al capogruppo alla camera Dario Franceschini, ha ottenuto lo slittamento del voto. «E’ il momento di giocare a carte scoperte – ha affermato – all’università mancano 1,3 miliardi di euro. Il governo dica come intende compensarli e quali risorse aggiuntive stanzierà».

Il Manifesto 01.10.10

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Tecnica della scuola: Riforma Università, il Pd fa slittare a novembre l’esame finale della Camera”, di Alessandro Giuliani
L’esame in Aula alla Camera del disegno di legge sulla riforma dell’Università si svolgerà non prima di novembre: lo slittamento è dovuto alla necessità di considerare gli aspetti economici del ddl al termine della sessione di bilancio. Ma anche perché la commissione Cultura non ha ancora concluso l’esame del testo. La decisione – non proprio attesa – è stata espressa il 30 settembre dal presidente della Camera, Gianfranco Fini, nel corso della conferenza dei capigruppo della Camera.

Il ministro Gelmini, con la maggioranza, avrebbero voluto portare la riforma all’esame dell’Assemblea già dalla prossima settimana, ma il presidente dei deputati del Pd, Dario Franceschini, ha protestato contro i tempi troppo stretti concessi a un provvedimento che è stato “fermo sette mesi nell’altro ramo del Parlamento”. Così sono state determinate le nuove date: la discussione generale del ddl, inizialmente fissata per la prossima settimana (il 4 ottobre), si svolgerà dieci giorni dopo, il 14 ottobre (la Flc-Cgil ha annunciato un presidio davanti Montecitorio), e l’esame degli emendamenti a novembre, dopo la sessione di bilancio.

Inutilmente il ministro Gelmini ha tentato di partecipare alla conferenza dei capigruppo, ma ha ricevuto un no visto che, spiegano dalla presidenza della Camera, “alla riunione era già presente un rappresentante del governo – il ministro per i Rapporti con Parlamento, Elio Vito – e durante la capigruppo non si entra nel merito dei provvedimenti”.Secondo la capogruppo del Pd nella commissione Cultura della Camera, Manuela Ghizzoni, e la deputata Donata Lenzi, dell`Ufficio di Presidenza democratico, lo slittamento dell`esame parlamentare della riforma universitaria ottenuto dal Pd dopo la richiesta in ufficio di presidenza del capogruppo, Dario Franceschini va considerato positivamente. “Ci muoviamo – si legge in una nota congiunta – perché alle università, a tutti gli atenei, venga restituito il maltolto di questi due anni di governo Berlusconi e vengano aggiunte risorse per l`ingresso di giovani e la progressione in carriera di chi è già in ruolo. Queste sono le precondizioni per poter affrontare i temi di merito e le modifiche, sicuramente necessarie a migliorare l`efficienza del sistema universitario”.Soddisfazione è stata espressa anche dai ricercatori, che proprio con il nuovo anno non accetteranno incarichi per sostenere corsi di insegnamento privi di titolare. Ma anche dagli studenti: secondo Claudio Riccio, portavoce dell’associazione Link-coordinamento universitario, lo slittamento dell’esame del ddl rappresenta un segnale incoraggiante per chi intende fermare la sua approvazione: “La mobilitazione – dichiara Riccio – sta crescendo e ottiene i suoi primi risultati: la paura del Governo e il risveglio dell’opposizione”. Secondo gli studenti il mese di ottobre sarà quindi cruciale per l’esito delle contestazioni, peraltro in crescita: il 4, 5 e 6 ottobre in tutti gli atenei italiani si svolgeranno mobilitazioni coordinate con i ricercatori: assemblee, lezioni in piazza, blocco delle lezioni, azioni e iniziative, cortei; l’8 ottobre, in molte città gli universitari scenderanno in piazza al fianco dell’Unione degli Studenti; il 16 ottobre gli studenti saranno in piazza con la Fiom e il 17 alla Sapienza assemblea dei movimenti sociali

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“Università, slitta la riforma”, di ALESSANDRA MIGLIOZZI

ROMA – Si allungano i tempi per l’approvazione della riforma dell’università alla Camera, con uno slittamento della discussione in aula che rischia di portare il disegno di legge Gelmini su un binario morto, lontano dal sì definitivo entro l’anno, lontanissimo dall’ok entro l’autunno chiesto dallo stesso ministro. Ieri, infatti, la riunione dei capigruppo di Montecitorio ha deciso che il testo non arriverà più in aula la prossima settimana, ma il 14 ottobre, alla vigilia della sessione di bilancio. In pratica la legge farà capolino in assemblea e poi sarà bloccata fino a che si parlerà di Finanziaria alla Camera. Quando tornerà in aula sarà «certamente modificata», spiega la relatrice in commissione Paola Frassinetti, per cui il ddl dovrà ripassare dal Senato dove rischia di ”scontrarsi” con la sessione di bilancio di palazzo Madama. E se la legge sarà approvata entro l’anno c’è da sperare che il quadro politico si ricomponga perché in caso di elezioni anticipate le norme rimarrebbero carta morta. Anche per questo ieri il ministro Gelmini non ha nascosto il suo malumore: «Sono rammaricata, ma rispetto le decisioni del Parlamento», ha detto uscendo dalla commissione Cultura dove era arrivata carica di promesse: «Con il ministro Tremonti abbiamo trovato le risorse per gli stipendi, per il diritto allo studio e per i ricercatori». Per ricercatori c’è un pacchetto ad hoc che ruota attorno a due misure. «Per prima cosa- ha detto Gelmini- intendiamo garantire con un cofinanziamento alle università la messa a concorso di un congruo numero di posti di associato all’anno nei prossimi 6 anni, a partire già dal 2011». Alla fine è stato disposto il rinvio della discussione al 14.
Anche i rettori hanno espresso tutta la loro preoccupazione: discutere la riforma, spiega una nota della Conferenza dei capi di ateneo, alla vigilia della sessione di bilancio «equivale molto probabilmente, nella situazione politica attuale, alla rottamazione del provvedimento».

Il Messaggero 01.10.10

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Tempi lunghi per il ddl università

I rettori temono apertamente la «rottamazione della riforma», le reti dei ricercatori più contrari alle novità sottolineano la «vittoria» contro il provvedimento. Da dovunque la si guardi, è chiaro a tutte le parti in causa che la scelta di far debuttare nell’aula della Camera la riforma dell’università il 14 ottobre, in ritardo di dieci giorni rispetto alle previsioni, va ben oltre le questioni di calendario parlamentare. Il 15, infatti, a Montecitorio inizia la sessione di bilancio, che può rimandare fino a novembre, se non addirittura a gennaio, il voto sugli atenei. Uno slittamento che potrebbe anche tramutarsi in affossamento per un disegno di legge presentato alle camere quasi un anno fa.
Se modificato – come appare ormai pressoché certo – il provvedimento dovrebbe tornare al Senato per il terzo passaggio parlamentare. In un periodo in cui il barometro della politica potrebbe già indicare un fortissimo rischio di elezioni.
Un rischio che basta a spiegare la reazione del ministro Mariastella Gelmini che, dopo la decisione assunta ieri mattina dalla conferenza dei capigruppo, è sbottata: «Abbiamo garantito una lunga fase di elaborazione e approfondimento – ha rivendicato la responsabile dell’Università –, abbiamo lavorato con Tremonti per assicurare le risorse, abbiamo fatto quanto era nelle nostre possibilità. Rispetto le scelte del parlamento, ma l’attività del governo finisce qui». E non è mancato un curioso fuori programma con la Gelmini che ha provato a partecipare alla capigruppo mattutina ma si è vista sbarrare le porte della sala dove si stava svolgendo la riunione, con la motivazione che all’interno fosse già presente per l’esecutivo il titolare dei rapporti con il parlamento, Elio Vito.
Di tutt’altro tenore le reazioni del Pd che ha criticato il «blitz fallito» della Gelmini. Ed era stato proprio il capogruppo democratico a Montecitorio, Dario Franceschini, a rivolgere il giorno prima un appello al presidente dell’emiciclo Gianfranco Fini affinché venisse garantita una discussione più lunga. Trovando d’accordo l’Udc. Per Manuela Ghizzoni (Pd) proprio il tempo potrebbe essere un utile alleato nell’ottica di avere dal governo «una garanzia sulla certezza delle risorse».
Quello dei fondi è uno dei grandi interrogativi che circondano la riforma. Mercoledì scorso, in una conferenza stampa congiunta a Palazzo Chigi, la Gelmini e il ministro dell’Economia Giulio Tremonti, avevano assicurato di ripristinare il taglio al fondo di finanziamento ordinario degli atenei con il decreto milleproroghe atteso per fine anno.
Ma novità sono attese anche sul testo come confermato dalla stessa responsabile del Miur. Che ha confermato di attendersi «una soluzione per i ricercatori» che rischierebbero di rimanere fuori dagli atenei. Il suo appello è stato raccolto dalla relatrice, Paola Frassinetti (Pdl), che ha definito la riforma «necessaria» e ha garantito che si proverà comunque ad approvarla entro l’anno. Il termine per la presentazione degli emendamenti in commissione Istruzione scade lunedì 4 ottobre alle 19. In quella sede, proprio attraverso la relatrice, il governo potrebbe presentare una proposta di modifica con un piano di concorsi in spalmato su cinque-sei anni che consenta a 9-10mila ricercatori di passare nei ruoli da associato.
Come detto, l’allungamento dei tempi è stato accolto con stati d’animo diversi all’interno delle università. Mentre il presidente della conferenza dei rettori (Crui), Enrico Decleva, ha evidenziato il rischio che «il conseguente vuoto legislativo potrebbe per contro prolungarsi di nuovo per anni, bloccando le procedure sul reclutamento che interessano tanti giovani studiosi meritevoli», un sospiro di sollievo è giunto dalle associazioni dei ricercatori. La rete 29 aprile l’ha interpretato come «una pausa di riflessione che consentirà evidentemente di inserire nel provvedimento anche correttivi di tipo finanziario».

Il Sole 24 Ore 01.10.10