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"Firenze, ricorso sull'eterologa Legge 40 alla Consulta", di F. Fan.

La prima sezione del Tribunale civile di Firenze ha sollevato il dubbio di costituzionalità sulla norma della legge sulla fecondazione artificiale (legge 40) con la quale si vieta alle coppie sterili di accedere alla fecondazione eterologa, con ovuli o seme donati da persone esterne alla coppia. Lo hanno reso noto gli avvocati Filomena Gallo e Gianni Baldini, che assistono i coniugi che hanno presentato la richiesta.
L’uomo soffre di mancanza di spermatozoi causata da terapie fatte in adolescenza. Torna quindi alla Corte Costituzionale la legge 40 sulla fecondazione assistita.

Il governo: «Ritorno al far west»
«È ormai evidente che nei confronti della legge 40 c’è un’attacco di alcuni tribunali. Non su punti marginali ma puntando alla struttura della legge per smontarla. Si dica che si vuole tornare al Far West»: è il sottosegretario alla Salute, Eugenia Roccella, ad affermarlo dopo avere appreso dell’ordinanza che porta la legge 40 sulla fecondazione assistista in Corte Costituzione nella parte che riguarda l’eterologa. «Si vuole così colpire la volontà popolare perchè, tra l’altro, l’eterologa era uno dei punti sottoposti al voto referendario» ha detto Roccella.

La coppia: noi le vittime
«Siamo stati le vittime dei centri di fecondazione assistita che operano all’estero, non vogliamo essere anche vittime della legge 40»: a parlare è E.G., impiegata piemontese, quasi architetto di 38 anni che racconta la ragione che ha spinto lei e il marito M.C di 34 anni, a ricorrere alla magistratura per vedere riconosciuto il diritto a realizzare anche in Italia una fecondazione eterologa. «Abbiamo tentato per due anni – ha spiegato la donna che intende mantenere l’anomimato – e per caso abbiamo scoperto che il problema di mio marito – la mancanza di spermatozoi – ci avrebbe impedito di avere figli». Da quel momento cominciano, come per tante altre coppie italiane, i viaggi della speranza nei centri all’estero dove la fecondazione eterologa non è vietata. «Siamo andati in Svizzera e anche a Praga. Ho provato sei volte – ha aggiunto la donna – spesi oltre 15 mila euro. Non è servito a nulla. Ora vogliamo provarci di nuovo ma nel nostro paese».

La donna, sfinita dalla delusione per i tentativi falliti, non si è arresa e ha cominciato a informarsi, fino ad arrivare all’associazione Luca Coscioni e ai legali Baldini e Gallo che li hanno seguiti nel ricorso al tribunale di Firenze. «Bisogna far sapere i rischi per le coppie che vanno all’estero di trovare non pochi problemi – ha concluso – ma ora serve cambiare la legge. Spero solo che facciano presto».

Pollastrini, Pd: «Verso norme più sagge»
«Macchè ritorno al Far West, come paventa Roccella, piuttosto ritorno alla possibilità di avere anche nel nostro paese norme più sagge delle attuali e vicine alle speranze di tante coppie che aspirano ad essere genitori». Così Barbara Pollastrini, deputata del Pd. «Pezzo dopo pezzo- aggiunge l’ex ministro – la legge 40 viene smontata perchè pasticciata e scritta ideologicamente».

L’Unità 07.10.10

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«Siamo stati in Svizzera costretti a finire i soldi», di Federica Fantozzi

Non mi serve l’anonimato. Non mi piacciono le cose nascoste. Mi chiamo Vincenza Spriveri, ho 38 anni, casalinga, di Avola provincia di Siracusa…». Una delle migliaia di coppie che per avere un figlio è dovuta andare all’estero. Turismo riproduttivo, è il burocratico neologismo. Viaggi della speranza per i protagonisti. Suo marito, 41 anni, metalmeccanico, non l’ha mai lasciata sola. Quando comincia la vostra storia? «Siamo sposati da 9 anni. Non restavo incinta, le analisi. Mio marito soffre di azoospermia. Dopo una semplice inseminazione, abbiamo desistito. Il suo lavoro non andava bene, due cicli costarono 350 euro». Poi? «Per 5 anni niente. Non c’erano possibilità economiche, avevamo il mutuo per la casa e spese importanti. Nel 2006 ci hanno parlato del centro Hera. Abbiamo scoperto che l’infertilità di mio marito è dovuta a un cromosoma femminile nel suo Dna. E ci hanno consigliato l’eterologa». Suo marito è d’accordo? «Sin dall’inizio. Non si può fare un passo del genere senza la piena condivisione del coniuge. È stato lui a volersi controllare. E mi ha sempre accompagnato». C’era già la Legge 40. Siete andati all’estero? «I medici ci hanno indirizzato fuori. Ma non sapevamo come muoverci, non parliamo inglese. Ci consigliarono la Grecia, ma c’erano gli incendi, era difficile raggiungerla. La mia ginecologa ha contattato un medico italiano che lavora a Londra, ma era una soluzione troppo cara». L’associazione vi ha seguiti? «Ci hanno proposto di scegliere tra Svizzera, Belgio, Spagna… Difficile decidere. Abbiamo chiesto: dove mandereste vostra figlia? Alla fine, l’opzione è stata per la Svizzera». Quando avete cominciato? «Nel 2007. A maggio il colloquio, la clinica voleva conoscerci. A giugno sono tornata per un esame particolare che in Italia non fanno. A luglio, la stimolazione andando a Catania a giorni alterni e mandando fax quotidiani in Svizzera. Poi il primo impianto, e il secondo a ottobre. Invano». Avete lasciato perdere? «Altri due tentativi nel 2008. Ad aprile l’embrione non ha avuto la forza di andare avanti. A maggio non è riuscito. Basta. Eravamo con l’acqua alla gola.». Quanto avete speso? «La prima volta 4400 euro. 15mila solo di medici. In tutto ci siamo mangiati 30mila euro. Quando vedo in tv che fanno i figli e li buttano, mi viene rabbia. Il governo non ci tutela. Ecco perché all’estero le sale d’aspetto sono piene. Credevo di essere sola, non è così.». Avete fatto ricorso? «Sì, in diversi tribunali. A Roma no, perché pare che con il Papa certe istanze non vengano accolte». Avete pensato all’adozione? «Non è facile. Tempi lunghi. E quella internazionale è costosa. Se non riusciamo così, ci penseremo». È fiduciosa? «Vorrei ritentare in Sicilia. Senza viaggi. L’ansia, la fatica, l’eventuale delusione è inimmaginabile. Almeno sarei a casa mia».

L’Unità 07.10.10

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“Sei anni di battaglie e sentenze così la legge è stata smantellata
Dalla diagnosi pre-impianto agli embrioni congelati, quanti pezzi persi per strada”, di Maria Novella De Luca

Sei anni di battaglie e di ricorsi. Di bimbi nati e di altri attesi invano. Di coppie con la valigia sempre pronta per viaggi della speranza nelle cliniche della fertilità. Di donne e uomini affetti da malattie genetiche esclusi dalla possibilità di diventare genitori. Ora che il divieto di fecondazione eterologa, ultimo cardine della legge 40 sulla procreazione assistita approvata il 19 febbraio del 2004, verrà sottoposto alla Consulta, l´intera legge appare come bombardata, di fatto priva di senso e di autorità. A forza di sentenze di tribunali civili, tribunali regionali, e soprattutto di pronunciamenti della Consulta, tutti gli articoli più contestati sono stati via via smantellati.
Approvata dopo una battaglia più politica e ideologica che scientifica, la legge è stata poi confermata dal referendum del 2005, che doveva abrogarne alcuni articoli, ma non è riuscito a raggiungere il quorum. Ed è iniziata allora, nel 2005, la battaglia legale, così come avevano promesso le associazioni. «Faremo una valanga di ricorsi in nome di tutte le coppie sterili, discriminate da questa legge». Sia nelle aule dei tribunali che con atti di vera e propria disubbidienza civile. Ed è stata una donna sarda, Simona, affetta da talassemia, a compiere nella primavera del 2005 la prima azione di resistenza. Simona rifiuta di farsi impiantare gli embrioni che aveva prodotto con una fecondazione assistita, violando l´articolo della legge che prevedeva l´obbligatorietà. «Chiedo di fare la diagnosi pre-impianto, altrimenti rischio di mettere al mondo un bimbo malato». I ginecologi dell´ospedale Microcitremico di Cagliari sono costretti a congelare gli embrioni. Nel settembre del 2007 Simona vince la sua battaglia, e il tribunale del capoluogo sardo ammette la diagnosi pre-impianto sugli embrioni, pur in presenza del divieto della legge 40.
Migliaia di coppie intanto “migrano” ovunque nel mondo pur di riuscire ad avere un bambino. La Spagna è la meta preferita, ma i paesi dell´Est inaugurano il low cost della fecondazione, in una corsa, spesso pericolosa, al ricchissimo business della procreazione. Intanto aumentano i ricorsi di coppie che chiedono di poter congelare gli embrioni, di non doverli impiantare tutti e tre, e di accedere alla fecondazione eterologa. Nel 2008 il ministro della Salute Livia Turco vara delle nuove linee guida: è una piccola rivoluzione. Pur nelle strettissime maglie della legge 40 la Turco introduce un´apertura alla diagnosi pre-impianto e ammette il ricorso alle tecniche per le persone affette da Hiv o epatite C. Avvocati e coppie, medici e costituzionalisti, insieme ad associazioni come Hera di Catania, Amica Cicogna e Luca Coscioni, si costituiscono in vere e proprie class action contro la legge.
Nell´aprile del 2009 arriva la spallata più forte: la Consulta dichiara incostituzionali gli articoli che riguardano il divieto di crioconservazione degli embrioni, il divieto di congelarli, e la diagnosi pre-impianto. In moltissimi centri si ricominciano ad eseguire le tecniche vietate da oltre 5 anni. Un anno dopo, siamo ormai allo scorso inverno, si ricostituisce la class action contro l´articolo 4, ossia il divieto di fecondazione eterologa. Il 21 maggio del 2010 è tribunale di Strasburgo a pronunciarsi: «La fecondazione eterologa è un diritto», dicono i giudici europei. Poi le date incalzano: pochi giorni fa Robert Edwards, inventore della fecondazione in vitro riceve il Nobel per la Medicina. La Chiesa insorge, tuona contro l´etica violata. Ieri infine il tribunale di Firenze che rinvia la parola alla Consulta. Che dovrà ora pronunciarsi sull´articolo 4, il più difficile, il più controverso.

La Repubblica 07.10.10