attualità, politica italiana

"Scene da fine impero. E Alemanno si genuflette", di Mariantonietta Colimberti

Sarà stato per avvicinare le istituzioni ai cittadini che ieri è stata inscenata a Roma la pagliacciata con location, come si dice oggi, in piazza Montecitorio. E per la stessa ragione i romani e il paese intero hanno potuto vedere il sindaco della capitale in veste di maggiordomo e la presidente della regione Lazio nelle funzioni di badante mentre, rispettivamente, accompagnavano e imboccavano il “nemico padano” divenuto ospite.
Il pranzo “della pace” tra la delegazione leghista e le massime autorità locali (con l’eccezione encomiabile del presidente della provincia Nicola Zingaretti) si è svolto secondo un cerimoniale e una coreografia sguaiati, tanto più indecorosi per il valore simbolico del luogo scelto: tovaglia a quadroni da trattoria, gigantesco paiolo per la polenta, la Polverini che imbraccia il tarél per rimestarla mentre sorride giuliva ai fotografi, Alemanno che accende il sigaro a Bossi, il tegame per i rigatoni con la pajata, il parmigiano, la cicoria, la coda alla vaccinara, i cuochi padani col grembiale verde e Alberto da Giussano stampato sopra. E le guardie padane di fronte al palazzo della camera dei deputati; e i cori da stadio delle tifoserie avversarie obbligate a condividere l’armistizio.
Umberto Bossi che risponde alle domande di carattere culinario con la stessa serietà con cui dice che «se non ci sono i numeri, meglio andare a votare» e chiede «dove c…. corri a Roma il Gran Premio?» è meno ridicolo del sindaco padrone di casa che con voce chioccia e un po’ imbarazzata cerca di stemperare il sicuro riacutizzarsi delle polemiche: «Su questo ci verificheremo… l’importante… senza insulti, con il massimo, diciamo così, rispetto reciproco…». Uno statista.
Perché in fondo l’unico che non ride e neanche tanto sorride in questa rappresentazione da fine impero, da romanità del “magna-magna” (alla lettera) e di orgoglio padano da osteria, è lui, il Senatùr. Ha dovuto accettare prima di scusarsi e poi di partecipare al pranzo riparatore per aver sciolto in modo offensivo l’acronimo dell’antica Roma. Non appare molto interessato a questo rito di pacificazione; soprattutto, non ha alcuna intenzione di apparire ai suoi quello che si è piegato e che arriva col cappello in mano o con la cenere sui capelli. Bossi spalanca la bocca e mangia, come gli altri, ma non accondiscende, non concede parole gentili o appena di circostanza. Accetta i gesti ossequiosi e servili che gli vengono rivolti con indifferenza e distacco. Sembra quasi disprezzare un po’ queste cariche istituzionali che lo riveriscono. Si concede persino l’insulto diretto a una anziana signora gli aveva gridato: «Magnate ‘a polenta, no ‘a coda…». Le risponde: «Cornuta!». Quando Alemanno dice a un giornalista che sì, questa giornata è una cosa seria, «rispetto reciproco, Italia unita e federale», il ministro per le riforme insiste sul secondo aggettivo costringendo il sindaco a ripetere: «E anche unita».
In un evento targato Lega – con Bossi c’erano Roberto Calderoli, Luca Zaia, Roberto Cota – si sono inseriti anche due ex colonnelli di Gianfranco Fini, da tempo affrancatisi dalle vecchie obbedienze: Maurizio Gasparri a tavola e Ignazio La Russa in piazza. Quest’ultimo ha sfiorato la rissa con alcuni militanti del Pd che avevano intonato il coro di «fascista, fascista». Il ministro – secondo quanto hanno riferito alcuni presenti – si è diretto verso di loro «in maniera provocatoria, con gli occhi spiritati e aggressivi». Su questa descrizione il commento ironico sarebbe anche troppo facile.
Dopo tutto, cosa resterà di questo spettacolo indecente? Quale immagine di Roma e della romanità promuoveranno la genuflessione di Alemanno e il banchetto pagano senza la solennità dei funerali antichi? Ma forse non c’è niente di cui stupirsi, perché i protagonisti del pranzo di ieri sono i sodali di chi in senato strappava a morsi la mortadella quando cadde il secondo governo Prodi e i sostenitori del presidente del consiglio che racconta barzellette, bestemmia e insulta le donne. E però è quasi certo che, anche quando tutto questo sarà finito, la Polverini che imbocca Bossi resterà come un cult nell’archivio indelebile di internet.

da Europa Quotidiano 07.10.10

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Roma, questo ti meriti
Il punto più basso nella storia, già non esaltante, dell’amministrazione di Roma. La giornata più umiliante per la gente della Capitale. Roba da sprofondare per la vergogna. Garantendosi però che i primi a sprofondare siano Alemanno e Polverini. Cioè un sindaco che svende funzione e dignità per uno strapuntino al tavolo del potere nazionale; e una governatrice della cui unica specialità nota ci si è dimenticati troppo presto: la fabbricazione di tessere sindacali fasulle, un’attività che la Lega nord può apprezzare solo ora, dopo essersi riempita a sua volta di scandali e di questioni morali.
L’abbuffata di piazza Montecitorio seppellisce Roma sotto una montagna di stereotipi, luoghi comuni, anacronismi dai quali aveva tentato per decenni di liberarsi.
Il riscatto nei confronti del Nord Italia che guarda alla Capitale con diffidenza si affida alla pajata e al vino dei Castelli. È anche inevitabile: per quanto riguarda tutto il resto (ciò che conta davvero), sotto Alemanno Roma è tornata in pieno la città dove le regole sono calpestate e i servizi disattesi, dove prevale la legge del più forte sulla strada e negli uffici pubblici, dove la vigilanza è crollata e l’efficienza dimenticata. Torna ad affidarsi alla coda alla vaccinara una metropoli che ha perduto l’ambizione di entrare nella competizione globale. Ancorché pugliese, Alemanno ne è il sindaco perfetto quando indossa la toga e le foglie d’alloro alle sfilate dei finti legionari: incapace di elaborare progetti strategici, il primo cittadino si rifugia nel folclore, e solo per difendere il suo posticino nelle manovre per il dopo-Berlusconi.
Pazzesco, ripensando alle polemiche della destra contro i sindaci progressisti delle notti bianche e delle feste del cinema: vette del pensiero, rispetto ai rigatoni al sugo di Alemanno.
Tutto questo nella dura persistenza di un colossale problema politico. Il Bossi imboccato e coccolato di ieri può fare pena o rabbia. Ma il barbaro da blandire e addolcire, vezzeggiare e riverire, rimane l’emblema del disprezzo e della negazione di un ruolo alto, orgoglioso, della Capitale. Un ruolo che del resto, in questi termini e con questi personaggi, Roma non merita neanche di riconquistare.

da Europa Quotidiano 07.10.10

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