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"Università, quella riforma fatta con i tagli", di Sergio Pimpinelli

A leggere i giornali appare evidente che le diatribe e le accuse reciproche di nefandezze all’interno della maggioranza hanno reso collettivamente molti dei suoi componenti una sorta di rei confessi e quindi il governo oggettivamente inaffidabile.
È sconcertante constatare come la prevalenza di disvalori quali il perseguimento del successo e dell’arricchimento personale abbia innescato un Big bang inculturale che sta barbaramente soffocando diritti e doveri considerati naturali, e sanciti dalla costituzione, come il lavoro, la salute, la solidarietà, l’istruzione e la cultura il cui soddisfacimento rappresenta il grado di civiltà di un paese.
A fronte degli scandalosi sperperi nella finanza pubblica, che viene trattata come un pozzo senza fondo a cui attingere per soddisfare interessi indecenti, il governo, per tamponare la crisi che stiamo attraversando, propone tagli indiscriminati in tutti i settori della vita pubblica le cui nefaste conseguenze sono facilmente intuibili.
Per esempio, dovrebbe andare in discussione alla camera la legge di riforma dell’università. Come può essere credibile una riforma elaborata da un governo che non sembra avere a cuore le sorti della cultura e dell’istruzione pubblica? Un dato su tutti rende assolutamente logica questa diffidenza: i tagli economici già effettuati nel passato e quelli futuri ventilati con la prossima legge finanziaria renderanno gli stanziamenti così miserrimi da vanificare la più virtuosa delle riforme!
La situazione è già così compromessa da indurci a esultare perché due nostre università occupano il fondo della classifica delle prime duecento università a livello internazionale mentre l’Italia è, almeno teoricamente, tra le prime dieci nazioni industrializzate. Ciò è ancora più sconfortante se si pensa che la gran parte delle nazioni europee hanno raggiunto livelli di eccellenza nella ricerca e addirittura la Germania, come riportato in un recente articolo sulla prestigiosa rivista scientifica Nature, dopo essere stata praticamente distrutta e divisa per molti decenni e quindi aver vissuto una situazione di gran lunga peggiore dell’Italia, oggi ha riconquistato il ruolo di leader mondiale in questa attività. In questo quadro l’Italia riveste prevalentemente il ruolo di serbatoio di esportazione intellettuale.
In questo periodo in cui l’università pubblica sta cadendo sotto pesanti colpi cosiddetti riformisti, che in realtà non riformano nulla, è bene richiamare l’attenzione delle istituzioni accademiche ai loro doveri istituzionali di custodia dei principi civili fondamentali che sono alla base dell’unità nazionale e non tradire tale missione con comportamenti ruffiani o accondiscendenti verso il potere politico come suggerito, per esempio, dall’incredibile proposta, riportata dalla stampa, per il conferimento di una laurea Honoris causa in scienze della comunicazione al ministro Umberto Bossi e sostenuta, in maniera del tutto irrituale, dal ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, Mariastella Gelmini.
Anche se per il ministro Bossi questa potrebbe essere finalmente l’occasione di organizzare una festa di laurea autentica dopo quelle propiziatorie organizzate in passato tale proposta risulta irricevibile in quanto riguarda un personaggio che, pur essendo un ministro della repubblica, non riconosce il nostro paese come nazione, ha vilipeso la bandiera nazionale e ha mostrato sentimenti razzisti. Secondo l’articolo 169 del testo unico delle leggi sull’istruzione superiore approvato con regio decreto del 31 agosto 1933, n. 1592, e ancora in vigore, «La laurea ad honorem può essere conferita soltanto a persone che, per opere compiute o per pubblicazioni fatte, siano venute in meritata fama di singolare perizia nelle discipline della facoltà o scuola per cui è concessa». Non risulta che il ministro Bossi abbia prodotto opere o pubblicazioni significative in una delle discipline della facoltà in scienze della comunicazione. Pertanto, il riconoscimento delle sue doti di comunicatore, per quanto straordinarie, fanno al massimo di lui soltanto un interessante oggetto di studio. Anche perché, se per assurdo bastassero le doti comunicatorie, allora si potrebbe conferire la laurea ad honorem (questa può essere conferita a persone decedute) anche a grandissimi comunicatori e persuasori, ovviamente non accostabili al ministro Bossi, come Mussolini, Hitler e altri sanguinari dittatori della storia mondiale passata e recente. A questo proposito, è bene ricordare la recente polemica sulla proposta per il conferimento della laurea ad honorem a Gheddafi (sic!) da parte di una facoltà universitaria del nostro paese.
Vista l’inadeguatezza del governo, sarebbe auspicabile che il mondo accademico, o almeno la parte migliore di esso, insieme a una forte azione di protesta, prendesse l’iniziativa di una conferenza nazionale sull’università pubblica per individuare in modo spietato le proprie colpe e responsabilità ed elaborare un piano di riforma razionale, che ponga finalmente al centro la formazione e la ricerca, da imporre all’attenzione delle forze di opposizione per costruire un barlume di speranza a cui migliaia di giovani vorrebbero disperatamente aggrapparsi. E questo sì che sarebbe un miracolo.

da Europa Quotidiano 06.10.10