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Guardiamo al futuro. Dieci proposte per la scuola di domani

Gli obiettivi di Europa 2020 chiedono a tutti gli Stati membri di promuovere una crescita intelligente, inclusiva e sostenibile. Per il futuro dell’Italia, per tornare ad avere alti tassi di occupazione, produttività e coesione sociale, dobbiamo raggiungere un risultato molto concreto: dimezzare il nostro tasso di dispersione scolastica e triplicare il numero di laureati. Solo se sapremo investire sui saperi, scommettendo sulla qualità del capitale umano del nostro Paese e su una società della conoscenza diffusa, potremo tornare a crescere.

Il rapporto annuale 2009 dell’ISTAT, fa emergere un vero e proprio allarme educativo. L’Italia ha un primato negativo in Europa: 2 milioni di giovani tra i 15 e i 24 anni non sono né a scuola, né al lavoro; vivono una condizione di vuoto a grandissimo rischio. Il tasso di abbandono scolastico è del 22%: il 12,2% degli iscritti al primo anno della scuola superiore abbandona definitivamente la scuola, il 14% al Sud. I livelli di istruzione della popolazione italiana sono troppo bassi: soltanto il 12,8% della popolazione è in possesso di una laurea, il 40% di un diploma, il 46,6% ha soltanto la licenza media. Il divario nei livelli di istruzione della popolazione italiana (soprattutto adulta) è molto elevato rispetto ai paesi europei. La scuola ha storicamente ottenuto risultati importanti nella lotta all’analfabetismo, ma ancora oggi opera in un Paese con un livello culturale troppo basso. Altri dati allarmanti del rapporto Istat riguardano la lettura e l’utilizzo delle tecnologie da parte dei giovani: 1,2 milioni di giovani nel 2009 non ha letto alcun libro e non sa utilizzare il computer. Il recente rapporto Ocse 2010 evidenzia come la media di investimenti in istruzione dei paesi membri, sia cresciuta fortemente negli ultimi anni e risulti pari al 5,7% del Pil, ma l’Italia si colloca al di sotto della media, investendo solo il 4,5 % del PIL. Penultimi in graduatoria, davanti solo alla Slovacchia. Eppure è dimostrato che la maggiore spesa per istruzione produce rendimenti certi, come un maggior gettito fiscale ed una maggiore occupabilità e la stessa Banca d’Italia sostiene, sulla base di complesse analisi, che il rendimento medio dell’investimento in istruzione è dell’8.9%.

Il Governo non affronta i problemi cronici del sistema scolastico italiano, ma li aggrava, infliggendo 8 miliardi di tagli, e sottraendo 132.000 posti di insegnanti e personale ATA nel triennio. Una cura da cavallo, che sta uccidendo il malato.

Il PD non solo è impegnato a difendere il diritto universale all’istruzione ma intende rendere il sistema scolastico italiano più efficace e più equo. Vogliamo riportare gradualmente l’investimento almeno al livello medio dei Paesi OCSE. Torniamo ad investire sulla conoscenza per garantire a tutti pari opportunità di apprendimento e di educazione. La scuola, per garantire “uguaglianza e libertà”, come ci chiede la nostra Costituzione. La scuola, unico vero ascensore sociale, per ridare slancio ad una società bloccata. Non basta difendere l’esistente, dobbiamo dare a questo Paese una prospettiva di cambiamento.

Vogliamo scuole aperte tutto il giorno, tutto l’anno e per tutta la vita. Facciamo partire di qui il nostro “progetto per l’Italia”, per mobilitare energie, persone, intelligenze, per farne un nuovo movimento. Scuole aperte perché come diceva Caponnetto la mafia teme più la scuola della giustizia. Immaginiamo la scuola come luogo fondante di comunità, dove oltre ai necessari insegnamenti curricolari ci si può fermare il pomeriggio per studiare, fare sport, suonare, recitare, imparare le lingue. Dove diventa un valore anche l’apprendimento non formale e informale.

Vogliamo che in una scuola come questa la qualità, sia intesa come raggiungimento di risultati alti per tutti gli studenti (e non solo per una parte di loro); vogliamo contrastare la dispersione scolastica la discriminazione sociale; il rinnovamento della figura del docente, non più erogatore di conoscenza, ma sollecitatore dell’apprendimento; la ristrutturazione dei luoghi e dei tempi della scuola, oggi fissati rigidamente.

La scuola di domani deve promuovere le persone e le loro conoscenze e competenze lungo tutto l’arco della vita, perché possano acquisire e mantenere i diritti di cittadinanza. Deve dare priorità all’apprendimento, tenendo conto del divenire dei ragazzi nelle diverse età e contesti sociali in cui vivono. Deve formare cittadini capaci di informarsi e aggiornarsi per tutta la vita, per partecipare attivamente e consapevolmente alla vita economica e civile. La scuola che vogliamo ha fra i propri scopi la trasmissione dei principi che fondano la convivenza civile e non può non essere conforme ai principi della Costituzione e alla Dichiarazione dei diritti dell’uomo. Questi due pilastri della democrazia implicano oggi la promozione di una cittadinanza attiva in una società e quindi in una scuola sempre più interculturale. Oltre alla necessità di stabilire un’architettura di sistema conforme a questo fine, è necessario operare sul curriculum del cittadino attivo, promuovendo un nuovo protagonismo degli studenti, la parità di genere, una didattica innovativa e interattiva, flessibile, centrata sul metodo cooperativo, laboratoriale, attenta al plurilinguismo e ai nuovi linguaggi, aperta al territorio, con nuove modalità di organizzazione dei tempi, degli spazi, dei gruppi, il che, a qualsiasi età, risulta impossibile senza una pluralità di presenze docenti. Una simile scuola della comunità per le comunità diventa “presidio pedagogico” del territorio, capace di promuovere, attraverso la formazione, nuove relazioni sociali, sviluppo, integrazione e mobilità sociale.

Per raggiungere questi obiettivi è necessario arricchire l’offerta formativa anche attraverso un lavoro di rete, tra scuole e con altri enti ed agenzie impegnate nel territorio, affinché la funzione di “mediazione” della scuola, finora prevalentemente svolta nei confronti della cultura umanistico-classica e occidentale, si rivolga anche alle altre culture, storie, antropologie; nonché alla cultura scientifica, statistica, giuridica ed economica, fortemente penalizzate dalla scuola del passato e anche da quella del presente.

Le conoscenze e le competenze necessarie alla missione culturale e civile della scuola qui tratteggiata andranno tenute in grande considerazione nella formazione iniziale e in servizio dei docenti, anche attraverso una qualificata azione di documentazione delle buone pratiche.

Una scuola veramente accogliente, per tutti, dovrebbe potenziare scambi e relazioni con istituti e famiglie di altri Paesi e promuovere la preparazione pedagogica di una nuova generazione di mediatori interculturali. Nello stesso spirito la scuola dovrebbe non tagliare, ma potenziare e qualificare il sostegno alle classi con alunni diversamente abili (con nuova attenzione ai disturbi specifici di apprendimento e al “semplice” disagio): una pedagogia inclusiva che fa bene a tutti gli alunni, di cui l’Italia è stata leader in Europa.

Oggi più del 60% degli alunni cosiddetti stranieri sono nati in Italia da famiglie immigrate; il PD è da tempo impegnato, a livello legislativo, nell’estensione della cittadinanza ai nati in Italia. Nei casi di emergenza linguistica, che pure esistono, occorre affrontare la domanda investendo, come hanno fatto i governi e le amministrazioni di centrosinistra, in didattica supplementare dell’italiano come lingua straniera ed altri programmi atti a favorire un rapido ed equilibrato inserimento. Per la generalità dei casi occorre però ripensare l’offerta e orientarsi verso nuovi programmi e modalità di apprendimento che possono diventare una ricchezza per il sistema scolastico italiano.

Un nuovo piano straordinario per un’educazione di qualita’ 0-6
Negli ultimi decenni le scienze pedagogiche, psicologiche, sociologiche, così come più recentemente le neuroscienze, insegnano dell’importanza dell’infanzia nella vita delle persone, delle condizioni materiali e relazionali in cui la si vive e delle esperienze educative che vengono offerte. Anche gli economisti oggi sottolineano la necessità che, in una società globalizzata, si investa nel capitale umano garantendo a tutti un’educazione prescolare.

Vogliamo la riunificazione del sistema di educazione prescolare. Serve un nuovo piano straordinario triennale per l’implementazione del sistema territoriale dei servizi educativi della prima infanzia, per raggiungere l’obiettivo del 33% di copertura.

Vogliamo trasformare l’asilo nido da servizio a domanda individuale a diritto educativo di ogni bambino e bambina, come già proposto da molti anni e da molte parti (Legge di iniziativa popolare 0-6 depositata al Senato da Anna Serafini) e garantire ad ogni bambino e bambina del nostro Paese un posto nella scuola della scuola dell’infanzia (oggi le liste di attesa nelle scuole dell’infanzia sono tornate a crescere).

I divari abnormi tra nord e sud del Paese nei livelli di istruzione, si spiegano anche così: nel mezzogiorno sono pochissimi i posti al nido e una rarità il tempo pieno nella scuola primaria.

La scuola primaria: nessun bambino sia lasciato indietro
I modelli educativi del tempo pieno e del modulo con le compresenze degli insegnanti, sono considerati un’eccellenza a livello europeo, e producono, proprio grazie al lavoro in piccoli gruppi, i più alti livelli di apprendimento degli alunni. I test Invalsi e i dati OCSE Pisa parlano chiaro: il rendimento scolastico degli alunni è più alto laddove è più diffuso il modello educativo del tempo pieno.

Noi i gioielli di famiglia del sistema scolastico italiano “tempo pieno e modulo a 30 ore con le compresenze” li rimetteremo in vetrina e li estenderemo in tutto il Paese.

Una scuola autonoma nel sistema delle autonomie locali
Per raggiungere l’obiettivo di dimezzare la dispersione scolastica, come chiesto dagli obiettivi di Europa 2020, non basteranno di certo le pesanti catene dell’ordine e disciplina con cui la Gelmini vuol tenere i ragazzi legati ai banchi delle nostre scuole.

Occorre attribuire piuttosto alla scuola autonoma e all’autonomia di insegnamento quelle risorse necessarie per innovare la didattica della scuola superiore di primo e secondo grado.

E’ solo investendo in un più stretto rapporto tra autonomie locali e scuole autonome, che riusciremo a sconfiggere davvero i mali del sistema scolastico italiano, colmando i divari tra nord e sud del Paese, che questo Governo sta invece ampliando.

Uno degli aspetti fondamentali che concorre alla crescita della qualità della scuola è costituito infatti dal rapporto positivo, dalla collaborazione tra la scuola stessa e le autonomie locali. È, quindi, fondamentale incrementare le relazioni tra autonomie scolastiche e autonomie locali, rendendo la scuola un luogo aperto, un centro in cui la comunità si ritrova e si identifica; inoltre, la scuola deve fruire delle opportunità del territorio.

Il Partito Democratico propone di sottoscrivere definitivamente l’accordo sull’attuazione del Titolo V, già licenziato dalla Commissione Tecnica della Conferenza StatoRegioni.

Un cambiamento così radicale del quadro normativo e della distribuzione delle competenze tra Stato e Regioni comporta una trasformazione profonda del funzionamento del Ministero dell’Istruzione, oggi fortemente impegnato in una gestione amministrativa centralizzata sulla vastissima organizzazione scolastica, che conta più di 1 milione e 200mila dipendenti, che si articola in autonomie scolastiche distribuite in modo capillare in tutto il Paese. Il Ministero deve potenziare e qualificare le proprie funzioni di indirizzo, di programmazione alta, di verifica, valutazione e controllo rispetto al funzionamento delle autonomie scolastiche e ai risultati di apprendimento dei ragazzi. Gli uffici scolastici regionali, attuali articolazioni del Ministero della Pubblica Istruzione, devono essere trasferiti per le loro competenze e per la maggioranza del personale dipendente alle Regioni.

Alle Regioni spetta definire il dimensionamento e il numero delle autonomie scolastiche, la distribuzione nel territorio delle scuole, le specializzazioni nella scuola superiore.

La valorizzazione dell’autonomia scolastica costituisce per noi una assoluta priorità, non ancora realizzata a distanza di dieci anni dall’approvazione della legge che la ha istituita.

Occorre, quindi, una legge che rimotivi nella scuola la partecipazione degli studenti, delle famiglie e di tutto il personale scolastico, riaffermando l’autonomia e la libertà di insegnamento. Le scuole hanno fatto molto per migliorare i livelli di appren- dimento e combattere la dispersione: hanno prodotto sperimentazioni importanti, molto al di là delle innovazioni di carattere normativo e delle risorse statali alle stesse dedicate. Si tratta di esperienze basate su ricerche e sperimentazioni di grande valore, che dovrebbero essere maggiormente conosciute e diffuse, proprio perché costituiscono buone pratiche per la qualificazione della scuola. E’ importante sostenere questa azione di ricerca e di formazione sul campo dei docenti, affinché diventi un patrimonio comune di tutte le scuole, non solo di quelle che le hanno messe in atto.

Dai livelli essenziali delle prestazioni (lep)
Ai livelli essenziali degli apprendimenti e delle competenze (leac).

In maniera ormai malcelata, la questione dei Livelli Essenziali delle Prestazioni, per il Governo, assume la declinazione di livelli minimi, fondati sui tagli dall’art. 64 della legge 133 del 2008.

La sfida che il nostro Partito vuole lanciare su questo tema è nel merito, fondata su elementi concreti e comprensibili per l’opinione pubblica, ovvero declinare i LEP come livelli essenziali di apprendimenti e competenze necessari LEAC.

La scelta degli apprendimenti e delle competenze, quale elemento determinante per la definizione dei LEAC, consente di garantire l’unitarietà dell’ordinamento dell’istruzione, (un ragioniere di Torino deve avere le stesse competenze di uno di Trapani) e queste competenze devono essere utili a raggiungere quegli obiettivi che la strategia di Lisbona ha indicato e che gli standards internazionali richiedono e rilevano.

Nella definizione dei costi standard occorre far riferimento alla quota capitaria pesata, riferita ad ogni ragazzo in età scolare, ponderata sulla base delle caratteristiche socio-culturali e geomorfologiche del territorio, sulla base della presenza di alunni disabili e di alunni stranieri; questa quota dovrà essere definita sulla base di numerosi indicatori di carattere quantitativo e qualitativo.

Risorse umane e finanziarie certe per la scuola dell’autonomia
Dagli organici di diritto e di fatto, all’assegnazione di un organico funzionale a ciascuna scuola autonoma.

La scuola autonoma, per poter assolvere pienamente il proprio mandato educativo ha bisogno di una stabilità pluriennale delle risorse finanziarie e professionali.

Per questo occorre innovare le norme per dare soluzione al problema dei residui attivi e ricondurre a binari paralleli ed omogenei la tempistica dell’erogazione annuale dei finanziamenti secondo il calendario dell’anno scolastico, per determinare una maggiore trasparenza e responsabilità, permettere una migliore programmazione delle risorse ed altrettanto migliore capacità di analisi e gestione della spesa.

Non può più essere che i finanziamenti della legge 440/97 arrivino con oltre un anno di ritardo, sempre più parcellizzati e in minima parte rispetto allo stanziamento globale. Questi dovrebbero essere attributi integralmente alle scuole subito dopo l’approvazione del bilancio dello Stato, modificando la legge laddove questa prevede un iter molto complicato e ormai privo di senso (come il parere delle commissioni parlamentari sul piano di riparto e la registrazione della direttiva annuale da parte della Corte dei Conti). Questa modifica alla legge 440/97 è una riforma a costo zero ma d’immediato beneficio. C’è poi un problema di trasparenza che va superato con la pubblicazione da parte del MIUR dei parametri utilizzati per inviare i fondi e della composizione delle tranche.

Le scuole autonome oltre ad aver bisogno di certezze sulla dotazione di risorse finanziarie su cui poter contare per poter organizzare al meglio il POF, hanno bisogno di certezze anche sugli organici professionali a disposizione.

Per questo proponiamo il superamento della distinzione tra organico di diritto e organico di fatto, per passare all’assegnazione a ciascuna scuola autonoma di un ORGANICO FUNZIONALE, che includa per reti di scuole anche una quota di personale per le supplenze brevi e professionalità specializzate a supporto dei ragazzi con bisogni speciali (autismo, dislessia, discalculia, etc). L’assegnazione deve poter essere almeno triennale, e concordata con la programmazione attuata dagli Enti Locali dei piani di offerta formativa territoriale. Questo sistema, che costa non molto di più della spesa attuale complessiva dello Stato (ai supplenti vengono pagate comunque la disoccupazione e le ferie non godute), comporterebbe innumerevoli vantaggi, come: il superamento del precariato scolastico; la programmazione certa dei fabbisogni di insegnanti e conseguente piano di reclutamento; la piena autonomia delle scuole nell’organizzazione della didattica per raggiungere l’obiettivo del successo scolastico dei ragazzi e delle ragazze.

Un moderno sistema di valutazione per una scuola pubblica di qualità
Una piena realizzazione dell’autonomia necessita di un sistema di valutazione, di carattere nazionale, con modalità di interlocuzione con i territori, soprattutto con le Regioni, indipendente dal Ministero e responsabile verso il Parlamento, che includa la valutazione dell’intero sistema scolastico, delle scuole,dei dirigenti e dei docenti su base volontaria in relazione all’avanzamento di carriera – come parti integranti di una valutazione complessiva dell’autonomia scolastica (vedi il documento del Forum Politiche dell’Istruzione PD specificamente dedicato al tema della valutazione e rilancio della scuola italiana).

Formare e reclutare gli insegnanti di domani
La situazione in cui versa il precariato dei docenti e ATA richiede attenta considerazione e interventi immediati. La stabilità del personale è essenziale; il precariato è un problema che compromette la qualità complessiva della scuola e potrà essere pienamente superato solo attraverso una più articolata e autonoma organizzazione del lavoro scolastico.

Occorre perciò rendere immediatamente disponibili per l’immissione a tempo indeterminato i posti attualmente coperti con incarico annuale e riprendere in prospettiva il piano di stabilizzazioni intrapreso dal governo Prodi. In previsione del momento in cui cominceranno ad essere disponibili gli abilitati del nuovo sistema di formazione iniziale, va garantito un equilibrio tra immissioni dalle graduatorie e nuovo reclutamento attraverso un’opportuna relazione fra numero chiuso e fabbisogno.

Contrariamente a quanto finora previsto, il nuovo sistema di formazione iniziale dovrà valorizzare le esperienze positive maturate nell’ambito delle SSIS, e in partico- lare i supervisori SSIS, figure chiave per il raccordo scuola-università. E’ necessario introdurre una formazione in servizio obbligatoria e certificata.

La continuità didattica è un bene essenziale: salvo rare e motivate eccezioni, il personale docente dovrebbe rimanere in servizio presso la stessa scuola per non meno di 3 anni. L’accesso all’insegnamento deve avvenire in ogni caso per pubblico concorso; rimane aperto l’ambito territoriale in cui il concorso può essere effettuato, fermo restando il pari diritto di accesso per tutti i cittadini italiani (e ormai anche dell’Unione Europea, unico vincolo essendo quello della conoscenza della lingua).

Nella condizione attuale non riteniamo che ci siano le condizioni giuridiche e gestionali per affidare il reclutamento alla scelta delle singole scuole, scelta di carattere discrezionale, senza alcuna procedura di selezione.

Completare il processo dell’autonomia scolastica implicherà anche l’introduzione della “carriera” dei docenti e la possibilità di istituire figure professionali diversificate, al fine di affrontare la sfida della complessità educativa alla quale l’autonomia stessa deve rispondere.

Cambiare la scuola per dimezzare la dispersione scolastica il passaggio cruciale dalla preadolescenza all’adolescenza L’insuccesso e la dispersione scolastica, i bassi livelli di apprendimento degli studenti e delle studentesse rispetto ai propri coetanei europei, si manifestano nella scuola secondaria di primo e secondo grado. Come tutti sappiamo, il punto di sofferenza è lo snodo che va dagli 11 ai 16 anni, che coincide con il passaggio dalla preadolescenza all’adolescenza e costituisce il punto debole dell’azione orientativa. E’ qui infatti che si registra il tasso più alto di dispersione scolastica, con punte del 30%, soprattutto nel primo anno degli istituti professionali e tecnici.

Occorre promuovere progetti ed esperienze di continuità e di raccordo curricolare tra i due segmenti scolastici. Invece, il passaggio dalla scuola del primo ciclo alla scuola del secondo ciclo è tuttora problematico.

Perché il biennio diventi realmente orientativo a partire dal primo anno, anzi dai primi mesi della secondaria di secondo grado, è necessario progettare una azione di orientamento incentrata sul recupero e sul riallineamento delle competenze di base, soprattutto di quelle afferenti all’area di istruzione generale (sviluppo degli assi culturali) relative all’equivalenza formativa. Mentre nel secondo anno, invece, dovrebbe essere predisposta ed attivata un azione di ri-orientamento.

Perché questo si realizzi è necessario che si renda effettiva la pari dignità dei percorsi e la loro equivalenza formativa, dei bienni, dei licei, dei tecnici, dei professionali e della formazione professionale, indicando con precisione le competenze culturali in uscita riferite ai quattro assi culturali del biennio, in modo da garantire i passaggi da un indirizzo all’altro senza costringere gli studenti a dover affrontare gli esami di idoneità.

Il Partito Democratico inoltre ritiene l’Anagrafe per combattere la dispersione scolastica strumento utile e necessario, se fatto con criteri che rispondano in modo efficace ed efficiente all’obiettivo di dimezzare il tasso di dispersione scolastica, che l’Europa 2020 impone al nostro Paese. Vogliamo dare impulso alla nascita delle Ana- grafi Regionali degli Studenti (oggi hanno o stanno istituendo le anagrafi solo 11 regioni su 20).

Le norme generali ministeriali secondo noi devono indicare soltanto i criteri per individuare i dati sensibili non acquisibili, salvaguardando le competenze regionali e garantendo allo Stato la possibilità di acquisire, dal sistema delle anagrafi regionali, i dati di cui necessita per l’esercizio delle funzioni che l’ordinamento gli riconosce, tra cui il sistema di valutazione. Nella bozza di Accordo sul Titolo V raggiunta all’unanimità nella Conferenza Stato Regioni, è già prevista la realizzazione di un sistema unitario di raccolta dei dati, a partire dai livelli regionali e quale sistema integrato degli stessi, che consente l’accesso e l’utilizzo da parte di tutti i protagonisti istituzionali (Stato, Regioni, Enti locali e istituzioni scolastiche) e che prevede anche la loro partecipazione nella predisposizione dei criteri che lo governano.

Istruzione e formazione professionale di qualità
Per rilanciare il made in italy nel mondo Occorre connettere organicamente il sistema dell’istruzione, di competenza dello Stato, il sistema della formazione professionale, di competenza delle Regioni nonchè le competenze dello Stato, delle Regioni e degli Enti Locali relative allo sviluppo e al lavoro.

Riteniamo che sia opportuno che esista ampia collaborazione tra i due sistemi, che le Regioni e le autonomie locali attuino una programmazione integrata. Non riteniamo opportuno un processo di unificazione tra i due sistemi, che farebbe perdere ai due sistemi le proprie peculiari caratteristiche e la propria identità, né una concorrenza tra gli stessi.

Occorre allineare i sistemi, qualificarli, migliorare le dotazioni strumentali, sanare e ammodernare strutture e edifici spesso fatiscenti. Il divario territoriale è una delle criticità più rilevanti, da affrontare attraverso (i) la fissazione dei LEAC (ii) la legge sull’apprendimento permanente (iii) il riconoscimento, la validazione, la certificazione pubblica dei crediti e delle competenze e l’accreditamento delle strutture formative (iv) l’offerta di servizi di trasporto e per il tempo libero. È indispensabile un maggior controllo sulla spesa destinata alla formazione e sull’impiego dei fondi strutturali comunitari.

L’istruzione e formazione tecnica superiore (IFTS) va potenziata e gli Istituti Tecnici Superiori (ITS) vanno istituiti come esperienze di formazione terziaria non accademica, distinguendo tra un’offerta regionale flessibile, non stabile, legata alle condizioni locali in continua trasformazione, e un’offerta di eccellenza, da consolidare nei settori strategici dello sviluppo del Paese. L’effettiva co-progettazione fra scuola e imprese dei percorsi, e in particolare degli stage, vetrina delle aziende, è uno strumento potente, se ben concepito e utilizzato. Vanno infine individuate forme efficaci di monitoraggio e controllo.

Occorre poi un provvedimento di legge per riconoscere il diritto individuale all’apprendimento permanente, estensione del diritto all’istruzione che condiziona l’accesso a tutti i diritti. Anche la formazione continua va riconsiderata, nel senso di orientare le iniziative verso i soggetti che sono più bisognosi di essere formati, ag- giornati, riconvertiti, e sono più a rischio di perdita del posto di lavoro. Occorre anche un maggior coordinamento tra programmazione regionale e programmazione dei fondi interprofessionali, ampliandone il campo di intervento (apprendisti, lavoratori atipici e discontinui…)

Un piano straordinario per l’edilizia scolastica
Due edifici scolastici su tre non sono a norma di legge, per questo è urgente mettere subito in sicurezza il 65 per cento delle scuole italiane. Da uno studio della KRLS Network of Business Ethics, emerge che in Italia solo il 46 per cento delle scuole ha il certificato di agibilità statica, contro il 98 per cento della Germania, il 93 per cento della Francia, il 92 per cento dell’Inghilterra, l’89 per cento della Spagna, il 77 per cento della Polonia, il 71 per cento del Portogallo, il 64 per cento della Romania, il 58 per cento della Bulgaria e il 53 per cento dell’Albania che chiude la classifica.

Così come sappiamo che tanti Istituti funzionano fuori norma ed in violazione del decreto che per la sicurezza antincendio prevede la permanenza in classe di non più di 26 persone in presenza di una unica porta quale via di fuga, ora a causa dell’aumento del numero degli alunni per classe, deciso dal Governo in carica, spessissimo il limite viene sforato giungendo anche ad avere presenti in classe più di 38 alunni .

E’ in gioco la vita dei ragazzi.

Il Partito democratico propone un piano straordinario per la manutenzione, la messa in sicurezza degli edifici scolastici e l’edificazione di nuove scuole.

Le risorse stanziate, anche dall’ultimo governo di centro sinistra, talvolta non possono essere spese dagli enti locali per i lacci troppo stretti del patto di stabilità interno,che altrimenti verrebbe sforato. Per questo chiediamo di escludere dal patto di stabilità le spese per l’edilizia scolastica , come più volte da noi sollecitato anche in Parlamento. Lo snellimento delle procedure per reperire , liquidare e spendere le risorse, l’apertura di nuovi cantieri per la messa a norma e la ristrutturazione degli istituti scolastici esistenti, oltre che l’edificazione di nuove scuole, permetterebbero anche di dare avvio a centinaia di nuovi cantieri, con un impatto positivo sull’economia e l’ occupazione. Va programmata con le Regioni e gli enti locali, soprattutto nel mezzogiorno, una razionalizzazione e un rinnovamento radicale delle strutture scolastiche destinando a questo scopo, nelle aree sotto utilizzate, i fondi FAS. Togliendo le scuole dagli “appartamenti” in locazione ed edificando nuovi poli scolastici progettati con una architettura innovativa eco sostenibile in linea con le nuove tecniche di risparmio energetico, che sostenga e renda possibile una nuova didattica a classi aperte ed interdisciplinare. Dotando gli Istituti scolastici di palestre, biblioteche e laboratori, facendo intervenire nel controllo e nell’indirizzo dell’utilizzo delle risorse per l’edilizia scolastica il consiglio di istituto delle scuole autonome, rimotivando così anche la partecipazione dei genitori e degli studenti, oltre che dei docenti e di tutti coloro che nell’istituto operano.