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"Il dissesto del suolo costa 213 miliardi", di Valeria Uva

Un’emergenza continua che ci è costata 213 miliardi di euro. Questo è il conto – attualizzato ai valori 2009 – che abbiamo pagato dal dopoguerra a oggi per tamponare e rincorrere le mille fragilità del suolo italiano, dai terremoti alle frane, dalle alluvioni alle esondazioni.
A fare i conti con una fotografia dei costi del dissesto stavolta sono i geologi, addetti per mestiere alla valutazione (e alla prevenzione) del rischio. Il nuovo centro studi dell’Ordine, guidato da Pietro De Paola, ha aggiornato la mappa delle emergenze in Italia, ha incrociato per la prima volta i dati statistici sulle presenze sul territorio con le carte del rischio sismico e idrogeologico, ha rastrellato e attualizzato i mille rivoli in cui dal dopoguerra a oggi si sono incalanati gli stanziamenti pubblici per fronteggiare le emergenze, dall’alluvione di Firenze del 1966 al terremoto in Abruzzo.
Il dato più significativo è proprio quel conto finale: 213 miliardi per la ricostruzione e il risanamento dopo le emergenze, spesi dal 1944 al 2009. Di questi, 161 a coprire i danni da terremoti (il 48% pari a 48 miliardi solo per l’Irpinia) e 52 a riparare quelli per il dissesto.
Una cifra enorme se si pensa che, sempre secondo le stime dei geologi e le richieste dei Piani delle Autorità di bacino, per mettere in sicurezza tutto il territorio dal rischio idrogeologico di miliardi ne basterebbero (si fa per dire) 40, il 68% dei quali dovrebbe andare al centro Nord.
Già perché il dossier «Terra e Sviluppo – Decalogo del territorio 2010 – messo a punto con la collaborazione scientifica del Cresme – che i geologi presenteranno a Roma mercoledì (primo di quello che sarà un appuntamento annuale sul uso e sul consumo di suolo e sui costi anche economici delle emergenze) contiene alcune preziose informazioni.
Si scopre ad esempio che il nostro Paese ha speso per la protezione dell’ambiente (difesa del suolo, riduzione dell’inquinamento e assetto idrogeologico) 58 miliardi nel decennio dal 1999 al 2008, una cifra inferiore alle attese, ma non trascurabile. Ma il problema è che ben 31 di questi (il 54%) è stata assorbita dalle spese di parte corrente (stipendi soprattutto) e solo 26 miliardi sono veramente andati alla prevenzione dei rischi.
«Per cinquant’anni non abbiamo fatto pianificazione – ricorda amaro De Paola – dal 1998, dopo la tragedia di Sarno qualcosa lentamente si sta muovendo e siamo ormai arrivati, anche con il contributo dei geologi, ad avere una mappatura dettagliata del rischio».
«Ma ora – aggiunge – occorre intervenire e frenare il consumo di suolo». Come? De Paola è diretto: «I sindaci hanno in mano tutto il potere di controllo, sorveglianza e gestione del territorio, spetta a loro, ad esempio, reprimere l’abusivismo». Ma avverte: «Sembriamo non ricordarci quanto sia importante la manutenzione del territorio: non più tardi di una settimana fa tre donne sono morte a Prato in un sottopassaggio allagato per una banale fognatura ostruita».
Il rapporto lo dice chiaro: l’89% dei nostri Comuni è a rischio idrogeolico. Vivono con questa minaccia 5,8 milioni di italiani che abitano dentro 1,3 milioni di edifici in zone pericolose. E invece 2,4 milioni di italiani e 6,3 milioni di edifici si trovano in zone ad alto rischio sismico, con il record di Napoli in cui il 92% della popolazione corre pericoli. «I nostri numeri confermano una realtà a tutti nota – lamenta Lorenzo Bellicini, direttore del Cresme – spendiamo male le nostre risorse con interi capitoli di spesa dirottati dalla prevenzione all’emergenza».
Un’emergenza che può arrivare a durare anche cinquant’anni. Il rapporto dei geologi ci ricorda che ancora oggi dopo 42 anni paghiamo (e pagheremo fino al 2018) un obolo di 168 milioni all’anno (8,4 miliardi in tutto) per il sisma che rase al suolo la valle del Belice, nel lontano 1968.

da www.ilsole24ore.com