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"La sicurezza sul lavoro è uno spot «vergogna»", di Federica Fantozzi

«Quella notte c’erano ragazzi con davanti molti anni di vita e con l’unico peccato di dover lavorare per vivere. E si volevano bene. A se stessi e ai loro familiari. C’era Antonio (Schiavone, ndr) di 35 anni con un figlio di 2 mesi, a cui voleva così bene da voler solo tornare a casa per prenderlo in braccio». Antonio Boccuzzi, operaio sopravvissuto al rogo dell’acciaieria torinese Thyssenkrupp in cui morirono 7 colleghi, che Veltroni ha voluto in Parlamento con il Pd, è tra i firmatari dell’appello contro lo spot governativo anti-incidenti sul lavoro: «È vergognoso. Una sconfitta per il lavoratore, offensivo per i familiari, una presa in giro per precari e manovali in nero».

Nel video, pochi frame. Scritta iniziale: «Quando lavori pensa a chi ti ama e attende il tuo ritorno». Immagini: un agricoltore extracomunitario solleva il figlio, un capo cantiere torna a casa dalla famiglia, una giovane operaia abbraccia il fidanzato. Scritta finale: «Sicurezza sul lavoro. La pretende chi si vuole bene».
Appello «ipocrita», lo boccia Carlo Lucarelli, che alle morti bianche ha dedicato una puntata della prossima serie di Blu Notte, «il governo da un lato non mette il lavoratore in grado di pretendere nulla e dall’altro lo colpevolizza». Messaggio «ambiguo» anche per Mimmo Calopresti, che alla tragedia Thyssen ha dedicato il docufilm La fabbrica dei tedeschi: «È un problema complesso e vasto, di democrazia. Dipende da quanto potere ha un operaio sul lavoro, quanto può organizzarsi sindacalmente, essere protagonista. Sembra che sia sempre colpa del lavoratore. alla Thyssen non è stato così. La responsabilità principale è di chi ti mette in certe condizioni».

Partita ad agosto (e prevista fino a maggio 2011) la pubblicità progresso radiotelevisiva del ministero del Lavoro e Politiche Sociali è già molto contestata. Ha raccolto circa 400 firme un appello al ministro Sacconi per il ritiro dello spot. Medici del lavoro, operai, sindacalisti, impiegati, studenti, ricercatori, precari, pensionati, volontari civili. Tra i nomi Corrado Guzzanti, Nicola Tranfaglia, il giornalista del Tg3 Santo Della Volpe, il ferroviere Dante De Angelis, Federico Orlando, Beppe Giulietti. Una campagna «vergognosa», si legge nel testo promosso dagli operatori del settore Andrea Bagaglio, Leopoldo Pileggi, Marco Bazzoni e Daniela Cortese. Slogan «inutili, costati 9 milioni e dannosi per l’immagine di chi rischia la vita ogni giorno, non perché ami gli sport estremi. Spot che colpevolizzano sottilmente il lavoratore nascondendo che… ha poche possibilità di ribellarsi a condizioni sempre più precarie» e che «sottovalutano i rapporti di forza e non dicono nulla su chi deve garantire la sicurezza, ovvero il datore di lavoro». E la nota ministeriale esplicativa della campagna chiarisce che «dalle statistiche emerge che la maggior parte degli incidenti sul lavoro possono definirsi di natura “comportamentale”» il che però non porta «certo a imputare la responsabilità del fenomeno al lavoratore». Freddina anche la formulazione del traguardo: ridurre gli infortuni del 25% «non solo in relazione ai costi che il fenomeno produce… ma principalmente per l’attenzione dedicata alla dimensione sociale e umana del problema».

Boccuzzi è preoccupato: «È molto pericoloso che si stia mettendo al centro il lavoro e non il lavoratore. Questo spot non sottintende: dice che ci si infortuna perché non ci si attrezza, non si mette al centro della missione lavoro la propria incolumità. Un precario ha una bomba a orologeria in tasca, non può pretendere alcunché da un datore di lavoro non virtuoso». Altrettanto grave è «la frantumazione del sistema di norme voluto dal governo Prodi, con la riduzione drastica delle sanzioni per i datori di lavoro e l’aumento di quelle a carico dei lavoratori». Invece: «Servono controlli che facciano rispettare le norme. Alla Thyssen gli operai hanno fatto attenzione: è dimostrato che le colpe sono altre».

D’accordo lo scrittore Lucarelli: «Per pretendere sicurezza devi essere in grado di farlo: se hai bisogno di lavorare un sacco per arrivare a fine mese… ». Poi: «Una cosa è l’italiano, magari specializzato, altra il marocchino magari clandestino. Che fa, si mette a chiedere il casco? E chi controlla?». Lapidario Beppe Giulietti, firmatario con Articolo 21, che ricorda come molte misure degli ex ministri Turco e Damiano siano state congelate dall’esecutivo in carica: «Spot melenso fatto per salvarsi l’anima mentre bisogna fare leggi per salvare vite».

da www.unita.it