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«Ordigni di pace e di guerra», di Michele Ainis

C’è un che di surreale nel modo in cui la politica italiana ha reso omaggio ai quattro alpini uccisi nel lontano Afghanistan. Il ministro della Difesa ha detto che a questo punto bisogna armare i nostri aerei con le bombe. Il suo predecessore gli ha risposto che non si può fare, è vietato dalla Costituzione. Il successore del predecessore ha controrisposto che tutto dipende dal bersaglio delle bombe. Insomma i nostri arsenali ospiterebbero bombe costituzionali e bombe incostituzionali, bombe di pace e bombe di guerra.

In realtà a venire bombardata ormai da tempo è proprio la nostra vecchia Carta. Che non è affatto una Costituzione pacifista, e dunque imbelle, come costantemente si ripete; tant’è che in quel testo la parola «guerra» risuona per 6 volte (erano 7 nel documento licenziato dai costituenti), innervando altrettante disposizioni costituzionali. Per quale ragione? Perché tutta la civiltà giuridica moderna nutre l’ambizione di porre l’emergenza sotto il prisma del diritto, d’imporle procedure e regole, anche nella condizione più estrema, quando l’emergenza incendia i cannoni.

E perché i nostri padri fondatori le bombe in testa le avevano sperimentate per davvero, avevano vissuto una guerra di conquista e una di resistenza all’esercito invasore, senza che il popolo italiano fosse mai stato convocato dal fascismo per esprimere la sua libera opinione.

Sicché dissero: mai più. Però non adottarono la scelta pacifista della Costituzione tedesca, o quella neutralista della Costituzione giapponese, le altre due nazioni sconfitte dalle truppe alleate. Dissero mai più alle guerre d’aggressione, e così scrissero l’art. 11: «L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali». Fu approvato con due soli voti contrari in Assemblea costituente, dai cattolici e dai marxisti insieme, saldando una lezione illuminista (quella consegnata alla Costituzione francese del 1791) all’etica professata da don Sturzo (che nel febbraio 1947 definì la guerra «atto immorale, illegittimo e proibito»). E fu scritto distillando ogni parola, a partire dal «ripudio» della guerra. Non «rinuncia», come qualcuno aveva suggerito, perché possiamo rinunciare all’esercizio di un diritto, e perché la guerra non è affatto un diritto.

Non «condanna», termine che esprime una valenza etica piuttosto che giuridica. Loro scelsero di ripudiare la guerra per sconfessare ogni intervento armato fuori dai nostri confini.

Ma che è accaduto negli anni successivi? Nel 1949 l’Italia ha aderito al patto Nato, dal quale è scaturito un obbligo di mutua assistenza militare fra gli Stati contraenti, sul presupposto che ogni attacco armato contro uno di essi «sarà considerato quale attacco diretto contro tutte le parti». Da qui una prima incrinatura nell’edificio costituzionale, benché lo stesso art. 11 menzioni limitazioni di sovranità in favore d’organizzazioni sovrannazionali. Ma soprattutto dagli Anni Ottanta in poi si sono moltiplicate le occasioni d’intervento militare all’estero, con o senza Nato, con o senza l’egida dell’Onu: il Libano, la Somalia, l’Iraq, la Bosnia, il Kosovo, o per l’appunto l’Afghanistan. E l’art. 11? Desaparecido. O meglio apparve come un Ufo sui cieli di Montecitorio nella primavera del 1999, durante il dibattito parlamentare che accompagnò i bombardamenti in Kosovo. Per un istante la Lega Nord e la sinistra estrema ne scoprirono difatti l’esistenza, nonché la manifesta violazione; al punto che un esponente della maggioranza – Clemente Mastella – consigliò di riformularlo per riallineare i principi costituzionali alle nuove circostanze.

Ma è stato un attimo, un battito di ciglia. Prima, durante e dopo quel dibattito tutto è continuato come sempre: le guerre ormai non si dichiarano (come vorrebbe l’art. 87 della Costituzione), si fanno e basta; non si deliberano (come vorrebbe l’art. 78); e naturalmente non servono mai a difendere il nostro territorio, a prescindere dalle bombe sugli aerei. L’unico effetto dell’art. 11 è un’ipocrisia verbale, come tante altre cui ci ha abituato la politica. Niente più guerre, solo conflitti armati, o meglio ancora operazioni di polizia internazionale. D’altronde in Italia non ci sono più spazzini, solo operatori ecologici. Ma si tratta pur sempre di monnezza.

da www.lastampa.it