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«Sicurezza sul lavoro, l’Italia deve applicare le regole Ue», di Felicia Masocco

Lo stabilisce un giudizio della Corte di giustizia europea bocciando le deroghe del governo Sotto accusa la catena dei subappalti. Ancora ieri altre due vittime sul lavoro

Piaccia o no, le leggi europee sulla sicurezza sul lavoro valgono anche per l’Italia. Lo ha sentenziato la Corte di giustizia europea bocciando alcune deroghe previste dal nostro governo. In pratica se all’interno di un sito operano più imprese (leggi subappalti), deve esserci un coordinatore per la sicurezza. Vale per tutti. Mentre le nostre norme «allentano » le maglie e prevedono, ad esempio, deroghe per i lavori privati in edilizia. «Meno male che c’è l’Europa – commenta Sergio Cofferati -. È di grandissima importanza il giudizio emesso dalla Corte che depenna la deroga che la legge italiana concedeva».Un giudizio importante in sé, per l’eurodeputato pd, «e lo è ancora di più in una fase nella quale la sicurezza di chi lavora è sacrificata sull’altare di un’indistinta riduzione dei costi fissi d’impresa». Le troppe morti ed i troppi infortuni sul lavoro si combattono con investimenti mirati alla sicurezza «e con l’applicazione rigorosa delle norme, senza eccezione alcuna». Questo rigore in Italia non c’è. E anche le campagne di comunicazione del governo si prestano a pesanti critiche. Lo spot con lo slogan «Sicurezza sul lavoro. La pretende chi si vuol bene», scarica di fatto tutte o molte responsabilità sui lavoratori. È in corso una raccolta di firme (a fianco la prima pagina de l’Unità di ieri) per chiedere che la campagna del ministero del Welfare venga fermata. «È un fatto importante» dice in proposito il segretario confederale della Cgil Vincenzo Scudieri, non è possibile che «si scarichi tutto sui lavoratori». È evidente che anche l’impresa deve rispondere delle «proprie responsabilità». Quello spot «offende i lavoratori», afferma l’assessore alla sicurezza della regione Umbria, Stefano Vinti. «Il governo lo ritiri e applichi la normativa piuttosto di smantellarla».

ALTRE DUE VITTIME Masotto accusa è anche la catena dei subappalti. «La recente tragedia di Santa Maria Capua Vetere dimostra che senza un controllo sulla corretta esecuzione dei lavori in appalto i rischi di incidenti mortali moltiplicano », afferma Cesare Damiano commentandola sentenza della Corte europea. «Non basta la regolarità del committente – aggiunge il deputato pd- se questo non esercita un controllo su tutta la catena degli appalti. Insistiamo sull’esigenza di rivedere la normativa degli appalti al massimo ribasso». Ieri, intanto, altre due vite spezzate. Daniele Cappella aveva 33 anni, è precipitato dal tetto di un capannone della Scavolini cucine, a Pesaro. Lavorava per una società di Senigallia, la Edra Ambiente che a sua volta collabora con la ditta Energy Resources che dalla Scavolini aveva avuto l’incarico di smantellare la copertura del capannone per far posto a un impianto fotovoltaico. Da una prima ricostruzione Daniele avrebbe calpestato una lastra non rinforzata che non ha retto il suo peso. Le indagini diranno com’è andata. Giovanni Bruno, invece, di anni ne aveva 24. Ha smesso di vivere in un’azienda per la commercializzazione di prodotti agricolia SanMarcoArgentano, in provincia di Cosenza. Era alla guida di un muletto che si è ribaltato. Piaccia o no, le leggi europee sulla sicurezza sul lavoro valgono anche per l’Italia. Lo ha sentenziato la Corte di giustizia europea bocciando alcune deroghe previste dal nostro governo. In pratica se all’interno di un sito operano più imprese (leggi subappalti), deve esserci un coordinatore per la sicurezza. Vale per tutti. Mentre le nostre norme «allentano » le maglie e prevedono, ad esempio, deroghe per i lavori privati in edilizia. «Meno male che c’è l’Europa – commenta Sergio Cofferati -. È di grandissima importanza il giudizio emesso dalla Corte che depenna la deroga che la legge italiana concedeva».Un giudizio importante in sé, per l’eurodeputato pd, «e lo è ancora di più in una fase nella quale la sicurezza di chi lavora è sacrificata sull’altare di un’indistinta riduzione dei costi fissi d’impresa». Le troppe morti ed i troppi infortuni sul lavoro si combattono con investimenti mirati alla sicurezza «e con l’applicazione rigorosa delle norme, senza eccezione alcuna». Questo rigore in Italia non c’è. E anche le campagne di comunicazione del governo si prestano a pesanti critiche. Lo spot con lo slogan «Sicurezza sul lavoro. La pretende chi si vuol bene», scarica di fatto tutte o molte responsabilità sui lavoratori. È in corso una raccolta di firme (a fianco la prima pagina de l’Unità di ieri) per chiedere che la campagna del ministero del Welfare venga fermata. «È un fatto importante» dice in proposito il segretario confederale della Cgil Vincenzo Scudieri, nonè possibile che «si scarichi tutto sui lavoratori». È evidente che anche l’impresa deve rispondere delle «proprie responsabilità». Quello spot «offende i lavoratori», afferma l’assessore alla sicurezza della regione Umbria, Stefano Vinti. «Il governo lo ritiri e applichi la normativa piuttosto di smantellarla».

ALTRE DUE VITTIME Masotto accusa è anche la catena dei subappalti. «La recente tragedia di Santa Maria Capua Vetere dimostra che senza un controllo sulla corretta esecuzione dei lavori in appalto i rischi di incidenti mortali moltiplicano », afferma Cesare Damiano commentandola sentenza della Corte europea. «Non basta la regolarità del committente – aggiunge il deputato pd- se questo non esercita un controllo su tutta la catena degli appalti. Insistiamo sull’esigenza di rivedere la normativa degli appalti al massimo ribasso». Ieri, intanto, altre due vite spezzate. Daniele Cappella aveva 33 anni, è precipitato dal tetto di un capannone della Scavolini cucine, a Pesaro. Lavorava per una società di Senigallia, la Edra Ambiente che a sua volta collabora con la ditta Energy Resources che dalla Scavolini aveva avuto l’incarico di smantellare la copertura del capannone per far posto a un impianto fotovoltaico. Da una prima ricostruzione Daniele avrebbe calpestato una lastra non rinforzata che non ha retto il suo peso. Le indagini diranno com’è andata. Giovanni Bruno, invece, di anni ne aveva 24. Ha smesso di vivere in un’azienda per la commercializzazione di prodotti agricoli a San Marco Argentano, in provincia di Cosenza. Era alla guida di un muletto che si è ribaltato.

da www.unita.it