attualità

"La violenza dentro di noi", di Michele Serra

ue liti di strada, due pugni micidiali, un tassista in fin di vita a Milano, una ragazza gravissima a Roma. Del secondo crimine esiste un video dei carabinieri (è avvenuto in una stazione videosorvegliata). Immagini che diffondono all´infinito lo scandalo della violenza e ce ne rendono partecipi quasi in tempo reale. Poiché lo scandalo è scandalo (fortunatamente), la prima reazione è di pancia, di repulsione e di allarme. La seconda è provare a dare un peso razionale ai due episodi. È legittimo domandarsi, per esempio, quanto l´aumento della “violenza percepita” sia suffragato dai fatti, e quanto sia influenzato dalla pervasività dei media: anche la violenza è nell´epoca della sua riproducibilità tecnica, e la cronaca nera lievita, nel nostro Paese, molto più rapidamente e potentemente di quanto lieviti la sua materia prima, che è il crimine (vedi lo studio di Ilvo Diamanti pubblicato lunedì scorso su questo giornale).
A fronte di questa constatazione, che ci invita a includere anche la “vendibilità” della violenza tra i suoi connotati più rilevanti, e più contemporanei, non c´è dubbio che l´aggressività spicciola, specie nelle metropoli, sembra in costante aumento a chiunque viva in mezzo agli altri. E l´aggressività è una paglia che avvampa alla minima scintilla. Nel traffico, ai semafori, nei parcheggi, nei centri commerciali, ovunque il fluido della folla si raggrumi, quella che comunemente definiamo “maleducazione” – sopravvalutazione dei propri comodi e disprezzo degli altri – aleggia nei comportamenti, negli atteggiamenti (perfino nell´abbigliamento trucido) più di quanto eravamo abituati a rilevare, e soprattutto a sopportare.
Anche quando non sfoci in veri e propri atti di violenza, l´aggressività intossica, rende vulnerabili, alimenta la catena dell´ostilità. Nell´humus di una asocialità diffusa, l´istinto di sopraffazione germina con speciale vigore, e l´idea stessa delle regole diventa sfocata, sempre più sfocata: a Milano qualche abitante del quartiere dove è caduto il tassista ha accolto la polizia al grido di “sbirri ebrei”, saldando in uno slogan ripugnante la cultura di camorra e quella ultras.
La cocaina e altre droghe, oramai generi di largo consumo popolare, sono ulteriore benzina sul fuoco. Ci sono zone di Milano dove, la sera, le sgommate dei gipponi suonano “drogate” quanto la truce frenesia dei loro driver. L´aggressività, specie nei maschi giovani, è ovviamente sempre esistita: ma non c´è dubbio che in molti aspetti della vita contemporanea abbia trovato facili varchi, quando non un vero e proprio sdoganamento culturale.
Nello stessissimo novero (un impressionante collasso del concetto di legge e di legalità) vanno iscritte le reazioni isteriche di chi vorrebbe “armare i tassisti”. E perché allora non armare le ragazze, i tramvieri, i postini, i passanti, le massaie, tutti gli inermi che escono di casa senza immaginare di potere incappare nel pugno di un iracondo, o nella coltellata di un delinquente? Ogni sbrego della vita quotidiana richiama, ormai, torme di profittatori politici che cercano di allargarlo, come chirurghi al contrario, perché più sangue e paura ne escono, più potente è la zoomata sul fattaccio, maggiore è il profitto politico. A costo di falsare statistiche (è accaduto) e di gonfiare dolore e insicurezza (è accaduto, accade continuamente).
Si tratterebbe, piuttosto, di disarmare i prepotenti, i guappi, i sopraffattori. Attraverso la repressione e il controllo, ovviamente. E poi, molto meno ovviamente, con un lungo lavoro (lungo e per giunta mai definitivo) che faccia leva su socialità, spirito civico, solidarietà, rispetto delle regole, tutta merce controcorrente che qualche sciagurato, un po´ di anni fa, ebbe la pessima idea di chiamare in blocco “buonismo”, lanciando una delle mode culturali di maggior successo, e di maggiore perniciosità, degli ultimi decenni.
Quanto ai media, le stesse telecamere che diffondono a dismisura i gesti della violenza, servono a incastrare i colpevoli, e a diffondere l´idea che non l´occhio di Dio, ma almeno quello del commissariato più vicino possa aiutare le vittime e perseguire i colpevoli. È l´opinione pubblica, siamo noi spettatori che dovremmo imparare la giusta distanza, non quella del solo sgomento, non quella della sola ragione. La violenza è sempre esistita, delitti orribili, sevizie immonde sono state inflitte all´oscuro di qualunque telecamera, di qualunque sguardo. Questo ci deve servire a evitare il panico: quando diciamo «non ci sono mai state epoche più violente», diciamo una sciocchezza. Per contro, il quasi obbligo di vedere e di sapere, la replica infinita di gesti ferini antichi come l´uomo, ma oggi quasi impossibili da nascondere, ci impedisce di far finta di niente, di ignorare il dolore degli altri. La riproducibilità tecnica della violenza ha i suoi svantaggi e i suoi vantaggi. Dipende da noi evitare i primi per non diventare paurosi, usare i secondi per non diventare cinici.

La Repubblica 13.10.10