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"Salviamo l'Università, tutti insieme, vendendo le frequenze televisive", di Pierluigi Bersani

Caro direttore, spesso tra le parole e i fatti c’è un abisso. Il governo ne ha dato tante prove ma si è proprio superato con il disegno di legge sull’università. È stato presentato come il trionfo della meritocrazia. Avrebbe il nostro plauso se davvero fosse così. Noi stessi siamo interessati ad introdurre innovazioni anche dopo la nostra stessa esperienza di governo. La realtà è purtroppo ben diversa. Il testo introduce circa cinquecento nuove norme che dovranno essere attuate mediante circa mille regolamenti negli atenei. È un monumento alla burocrazia. I professori passeranno le loro giornate a districarsi nel pantano normativo già oggi molto appesantito. Ciò spingerà gli atenei a diventare uguali tra loro, secondo lo standard imposto per legge. Mentre la politica del merito dovrebbe fare esattamente il contrario, cioè promuovere le differenze, incoraggiare gli innovatori e penalizzare chi non merita. A tale scopo bisognerebbe eliminare burocrazie inutili e affidare la regolazione del sistema alla valutazione dei risultati. Ma proprio questa è mancata finora.

A metà del suo mandato il ministro Gelmini non è ancora riuscito a far funzionare la nuova agenzia di valutazione degli atenei – l’Anvur, già approvata a suo tempo dal governo di centrosinistra – e ci vorrà ancora qualche anno prima che essa fornisca risultati utili. Non si è nemmeno accelerato, nel frattempo, il lavoro della struttura ministeriale esistente, il Civr (Comitato di indirizzo per la valutazione della ricerca). La valutazione è bloccata e per misurare la produzione scientifica degli atenei si usano dati vecchi di quasi dieci anni. Sono ritardi inaccettabili in ambiti così legati alla velocità del mondo globalizzato. Questa si chiama meritocrazia delle chiacchiere. E infatti non scontenta nessuno. Alla fine il ministro ha promesso sottobanco che gli atenei con i risultati più negativi perderanno pochi soldi. Tutto cambia perché nulla cambi.

Secondo il governo questo paracadute è necessario a fronte della caduta dei finanziamenti. È vero. Una politica del merito la si può fare solo con risorse crescenti, almeno per un primo periodo. Si dice che il deficit non lo consente. Devo qui rifare l’elenco dei soldi buttati via in questi due anni mentre si tagliavano scuola e università? Comunque, per il 2011 il Pd propone un forte aumento delle risorse per la scuola e l’università mettendo in vendita le frequenze liberate dalla transizione al digitale, come fece già il governo dell’Ulivo nel 2001 con le licenze Umts. I Paesi che hanno messo a gara le frequenze hanno incassato un bel po’ di miliardi. Potremmo spenderli a favore dei migliori atenei, per piani di ricerca ben selezionati, per investimenti nel diritto allo studio e per la realizzazione di infrastrutture scientifiche nel Mezzogiorno, che solo con la politica della conoscenza può rimettersi in cammino. Un fatto simile potrebbe modificare la prospettiva dell’università italiana.

Pochi giorni fa è stato assegnato il Nobel per la fisica a Kostantin Novoselov, uno scienziato anglo-russo di 36 anni. Da noi con la legge Gelmini a quell’età faticherebbe perfino a diventare professore e non saprebbe dove trovare i soldi per realizzare le sue ricerche. Del resto la ricerca universitaria è ormai quasi scomparsa dai compiti dello Stato e non se ne trova traccia neppure nel testo all’esame del Parlamento. Intanto, circa cinquecento veri innovatori, selezionati tra i migliori dipartimenti universitari e le aziende hi-tech, attendono da anni di ottenere i finanziamenti già stanziati dal progetto Industria 2015. Si può chiamare riforma solo una politica della ricerca che convinca e appassioni ogni ricercatore italiano. La sfida riguarda tutti, anche noi di centrosinistra e ci prendiamo la nostra parte di responsabilità.

Chiediamo però un ripensamento alla maggioranza che ha governato l’università quasi l’intero decennio passato con risultati negativi. È dovere di tutti cercare soluzioni diverse dal passato. È urgente una svolta. La crisi picchia anche qui. L’occupazione dei laureati è in costante diminuzione. Gli studenti e le famiglie sembrano averne già preso consapevolezza facendo diminuire il numero di immatricolazioni. I primi a rinunciare agli studi sono i figli dei ceti sociali più deboli. Nel disegno di legge il potenziamento del diritto allo studio è affidato al buon cuore di improbabili benefattori, mentre c’è bisogno di un welfare studentesco di tipo europeo, in particolare per le residenze che consentono di spostarsi in città diverse. Perciò non saremo disponibili a discutere di norme senza un quadro certo dei finanziamenti, che non possono dipendere da quel che decide inappellabilmente il ministro del Tesoro, ma solo da una decisione del Parlamento. Stiamo infatti parlando dell’Università cioè del pilastro su cui costruire il progresso civile, culturale ed economico dell’Italia.

dal Corriere della Sera

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Riforma Gelmini senza soldi. Stop per almeno un mese
La ragioneria dello Stato certifica che non ci sono i fondi per assumere 9.000 ricercatori. Meloni: “Le bugie hanno le gambe corte, non ci si può fidare del ministro”
Ragazzi non c’è un euro, la riforma è rimandata a data da destinarsi.
Cose che succedono nell’Italia di Berlusconi e Tremonti, dove le riforme prima si vendono a giornali e tv come cosa fatta per gli elettori, poi si verifica se hanno copertura finanziaria. Ecco, la riforma Gelmini dell’Università, e l’emendamento dell’ultimo minuto che prevedeva l’assunzione di 9.000 ricercatori, la copertura non ce l’ha e il voto slitta a dopo la Finanziaria, tra non meno di un mese, con tanti saluti alla corsia preferenziale per una rapida approvazione. Un bluff svelato dal PD in Commissione Bilancio dove è arrivata la relazione tecnica della Ragioneria di Stato che attesta come non ci sia la copertura economica sufficiente per attuare il provvedimento.
L’analisi tecnica della Ragioneria dello Stato che pubblichiamo in allegato ha segnalato che «sono stati approvati numerosi emendamenti che determinano effetti finanziari negativi tali da pregiudicare la stabilità dei conti di finanza pubblica». E ha espresso «parere contrario» a una serie di modifiche: su tutte, la creazione di un fondo con cui finanziare lo scatto di carriera di novemila ricercatori strutturati – ovvero ricercatori con un contratto stabile a tempo indeterminato, quindi non ricercatori precari – che in questo modo diventerebbero professori associati. Il costo previsto per l’operazione era stato fissato a 80 milioni di euro per il primo anno, 1,7 miliardi in sei anni.

“Le bugie hanno le gambe corte. Dopo aver impegnato per una settimana Parlamento e mondo dell’università a discutere di un emendamento sui ricercatori comunque del tutto insufficiente, oggi abbiamo avuto l’ennesima riprova che delle promesse del governo in fatto di risorse per l’università
non ci si può minimamente fidare – dice Marco Meloni Responsabile PD Università e Ricerca –
la Gelmini ormai non è in grado di assumere alcun impegno: prenda atto del suo fallimento, rinunci all’estremo tentativo di trovare la copertura finanziaria per qualche decina di milioni di euro che
non risolverebbero alcun problema e al tentativo di approvare con un blitz una pessima legge. E lasci al Parlamento la responsabilità di definire nella legge di bilancio le risorse da destinare all’Università”.

Donata Lenzi, deputata del Pd componente dell’ufficio di presidenza del gruppo, rivendica i meriti dei democratici: “Quanto accaduto in commissione Bilancio alla Camera ha svelato il bluff del ministro Gelmini che prometteva risorse che in realtà non ci sono. Adesso aspettiamo il governo alla prova dei fatti della finanziaria e continueremo ad impegnarci affinché agli atenei vengano restituiti i fondi e previsti ulteriori finanziamenti visto che le riforme non si possono fare senza risorse”.

Vi ricordate il siparietto di Tremonti e Gelmini, che solo poche settimane fa annunciavano ‘nuove risorse’ per gli atenei? Noi ce l’abbiamo ancora in mente, ma non ci fa sperare visto che quelle risorse, come dimostra il parere della Ragioneria, non sembrano nella disponibilità del Governo. “Mentre il taglio di 1 miliardo 350 milioni di euro al fondo di finanziamento ordinario dell’università è una cruda realtà scritta nei bilanci dello Stato – ricorda la capogruppo del Pd nella commissione Cultura della Camera, Manuela Ghizzoni – intanto sulla riforma la maggioranza va in tilt e salta anche la discussione generale del ddl Gelmini prevista per venerdì: tutto l’esame avverrà dopo la sessione di bilancio. E’ un fatto positivo – aggiunge – perché ci darà del tempo per verificare la certezza delle risorse e consentirà a tutte le forze politiche di modificare, anche in profondità, i punti più critici di questa riforma che giudichiamo fortemente centralistica, che non risponde alle esigenze degli studenti e che non garantisce la valorizzazione del personale universitario strutturato e precario. D’altronde anche dal dibattito in commissione era emersa l’insofferenza di larghi settori della maggioranza, come dimostra la sintonia su molti emendamenti sui punti più critici. Era solo il governo ad incaponirsi per un esame sprint”.

Per Ignazio Marino ormai è chiaro come il governo sia “un gigante dai piedi di argilla che annuncia grandi riforme ‘di sistema’ senza avere i soldi per attuarle concretamente. La relazione della Ragioneria generale dello Stato ne dà conferma: non ci sono i fondi, quindi il provvedimento è
svuotato di significato e si prende gioco di atenei e ricercatori. Gli investimenti in ricerca, scuola e università – continua Marino – sono essenziali per il paese. L’Italia dovrebbe prendere esempio dalla Germania, che ha investito in istruzione e innovazione, tagliando le spese sugli armamenti. Basta con i venditori di fumo e i prestigiatori che fingono di tirare fuori dal cappello nuovi orizzonti e grandi cambiamenti senza averne davvero le possibilità”.

Ma.Lau. da www.partitodemocratico.it