lavoro, politica italiana

Operai in piazza. Il governo deve essere il loro obiettivo

Operai in piazza. Il governo deve essere il loro obiettivo
Grandissima sarà la manifestazione della Fiom, due cortei percorreranno la Capitale fino a piazza San Giovanni, tradizionale luogo dei grandi appuntamenti sindacali. Concluderà Guglielmo Epifani, segretario generale della Cgil, con un discorso atteso e particolarmente difficile. Davanti a lui ci sarà una massa imponente di lavoratori e giovani che protestano per le sempre peggiori condizioni di lavoro e soprattutto per dire al governo che bisogna cambiare strada, rafforzando le politiche per lo sviluppo e l’occupazione. Ma non è un mistero che la Fiom ha ingaggiato in questi mesi un durissimo confronto non solo con gli imprenditori ma anche con le altre organizzazioni sindacali, Cisl in testa. E la preoccupazione per provocazioni e presenze estranee al movimento sindacale è salita di molto, anche a causa degli allarmismi di Maroni, che ieri al Viminale ha incontrato Epifani per spiegare il senso della sua esternazione.
Sul piano politico, in piazza ci saranno SeL, Idv, Federazione della sinistra e diversi esponenti e militanti del Pd, che ha precisato che non aderisce alla manifestazione pur sottolineando che in piazza ci saranno alcuni suoi dirigenti.
da www.europaquotidiano.it

******

«Dalla parte giusta»», di Rinaldo Gianola
Ci ha pensato la Banca d’Italia, noto covo di estremisti, a dare la benedizione finale alla manifestazione di oggi della Fiom-Cgil che, ne siamo convinti, sarà popolare, pacifica e responsabile. Chi scenderà in piazza a Roma lo farà per difendere il lavoro e i diritti, per affermare che l’unica strada per uscire dalla crisi è quella dello sviluppo nel rispetto della Costituzione, dei contratti e dei lavoratori tutti. Sono richieste che la Fiom e la Cgil hanno argomentato e sostenuto nei mesi passati assieme all’intero movimento sindacale europeo.
Non c’è alcun isolamento della Fiom e della Cgil, come qualcuno vorrebbe far credere. Sarebbe sufficiente leggere le piattaforme dei sindacati in Spagna, in Francia, in Grecia, persino in Gran Bretagna dove stanno tornando di moda le trade unions dopo la lunga “cura” di Margaret Thatcher e Tony Blair, basterebbe sapere che Zapatero ha dovuto subire il più grande sciopero generale della Spagna democratica e che Sarkozy barcolla davanti ai tagli alle pensioni, ai sacrifici imposti al mondo del lavoro, per comprendere che non basta sedersi, in esclusiva, al tavolo con Maurizio Sacconi per pensare di aver ragione. Scioperi e proteste investono l’Europa perchè, come viene affermato oggi a Roma, non si esce dalla crisi colpendo ancora i lavoratori, le famiglie, i ceti più deboli. C’è bisogno di nuova, diversa, più equa politica di sviluppo. Questa è la realtà.
Ma c’è di più. Come se un regista raffinato avesse preparato attori e scenografia, ieri il Bollettino economico della Banca d’Italia ha stroncato il povero Documento economico di Giulio Tremonti che appena il giorno prima aveva imposto le sue tabelline all’intero consiglio dei ministri. La Banca d’Italia spazza via tutte le illusioni, le false promesse, le balle di Berlusconi e compagnia. Non c’è ripresa che tenga, siamo in mezzo ai guai e, anzi, sotto il profilo della tenuta sociale, dell’occupazione che non riparte, i prossimi mesi saranno i più dolorosi. La disoccupazione reale, dice via Nazionale, è all’11%, comprendendo anche cassintegrati e scoraggiati, cioè soprattutto donne e giovani che non riescono nemmeno ad affacciarsi sul mercato del lavoro. I consumi sono fermi, la crescita del pil è stimabile all’1% nel 201O: se questo è il ritmo della nostra ripresa ci vorranno sei anni per tornare ai livelli in cui eravamo nel 2008.
Dove volete andare con questi numeri? Non è finita. La Fiat perde quote di mercato, crolla, non si vede un modello nuovo neanche a sognarlo. Marchionne dice di aver previsto tutto, ma intanto le vendite precipitano.
Colpa della Fiom? Colpa dei tre operai di Melfi o dell’impiegato Capozzi di Mirafiori, tutti licenziati ingiustamente come ha detto la magistratura? C’è la crisi? Certo che c’è, ma mentre le immatricolazioni della Fiat scendono del 20% al mese, la Volkswagen registra nei primi nove mesi del 2010 il record storico di vendite: 5 milioni di vetture, il 12%in più rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Volete il modello tedesco?
Bene, prendiamo ad esempio la Volkswagen: organizzazione, ritmi produttivi, ricerca e naturalmente anche i salari. Pensate davvero che moltiplicando
le deroghe, le presunte riforme contrattuali, gli accordi separati o declamando «dieci, cento, mille Pomigliano» (che brutto slogan, segretario Bonanni), togliendo agli operai la pausa mensa o i dieci minuti per lavarsi, si possa recuperare efficienza e produttività, cambiare le sorti della nostra economia? Da «Fabbrica Italia» ai piani di Tremonti è giunta l’ora di vedere finalmente investimenti, sostegni alla ricerca e alla formazione, una svolta di politica industriale ed economica, una riduzione della pressione fiscale sui salari e le pensioni. Altrimenti tutte le promesse, tutti i programmi resteranno solo deboli illusioni. I sindacati, tutti i sindacati, sono pronti a far la loro parte, ma senza trucchi, senza divisioni.
La manifestazione di oggi è una prova importante, soprattutto per la Fiom che l’ha proposta, per la Cgil che la condive, per le forze sociali, politiche, culturali che hanno compreso il messaggio. È bene che la manifestazione rimanga sindacale e non assuma altri significati.
È opportuno che la manifestazione, per la credibilità della Fiom, sia per il lavoro, i diritti e lo sviluppo e non contro questo o quel politico o sindacalista. È indispensabile che finisca il lancio di uova e di insulti contro altre sedi sindacali. Anche se ci verrebbe da dire che nelmomentoin cui monsignor Fisichella invita a «contestualizzare » le bestemmie di Berlusconi, forse si potrebbero «contestualizzare » altre rabbie, altre proteste, altre parole. La manifestazione di oggi sarà molto ampia, partecipata e pacifica.
La Fiom e la Cgil hannouna lunga esperienza di iniziative democratiche e popolari. I pericoli di infiltrazione, denunciati dal ministro Maroni, ci sono sempre. Ma è bene che il ministro sappia che nei cortei sindacali è molto difficile che ci siano provocatori infiltrati. A meno che non ci sia chi lavora per infiltrali.
da www.unita.it

******

«Tutta l’opposizione in piazza. Concerto a più voci nel Pd», di Laura Matteucci
La Fiom porta in piazza l’opposizione: Sel, Federazione della sinistra, Verdi, Idv, movimenti, studenti, associazioni, intellettuali. Il Pd nonaderisce ufficialmente
(e Bersani non c’è), ma molti dirigenti partecipano.

In piazza con la Fiom ci sarà tutta l’opposizione, politica, sociale, civile. Sì deciso di Nichi Vendola («Con la Fiom, per un Paese migliore», è lo slogan dei manifesti di Sel), Antonio Di Pietro, Paolo Ferrero, Oliviero Diliberto, dei Verdi di Angelo Bonelli, e poi degli studenti, dei centri sociali, dei movimenti della sinistra radicale e di quelli contro la privatizzazione dell’acqua, del Popolo Viola e degli intellettuali vicini alla rivista MicroMega. Hanno aderito Andrea Camilleri, Antonio Tabucchi, Carlo Lizzani, Margherita Hack, per dirne alcuni. Dal palco parlerà (anche) il fondatore di Emergency Gino Strada, in collegamento da Firenze l’ex presidente della Corte costituzionale Gustavo Zagrebelsky.
Contro il «Patto di Pomigliano», per i diritti e la democrazia, arriveranno a migliaia da tutta Italia (anche Giuliano Pisapia, candidato alle primarie del centrosinistra per il sindaco di Milano).
LA LINEA SOTTILE
Per il Pd, sulla linea sottile della non adesione ufficiale ma della numerosa partecipazione di militanti e dirigenti, tra la sostanziale condivisione dei motivi della manifestazione e le preoccupazioni per le divisioni sindacali, la faccenda è più complessa.
Pierluigi Bersani non ci sarà, per evitare di prestare il fianco a strumentalizzazioni, ma ci saranno l’ex ministro del Lavoro Cesare Damiano, Stefano Fassina, responsabile Economico, membro della segreteria e tra i più stretti collaboratori del segretario, Paolo Nerozzi, Gavino Angius, Vincenzo Vita, Barbara Pollastrini, Matteo Orfini, Sergio Cofferati, Roberto Della Seta del MoDem. Presente anche il senatore Ignazio Marino, in piazza con la Fiom per battere «la paura». Quella «di perdere il lavoro – dice – di non riuscire a pagare il mutuo, l’istruzione o un paio di scarpe per i propri figli. Questa è la paura che serpeggia nel Paese ed è per questo che la tutela del lavoro e l’uscita dalla crisi debbono essere le nostre priorità. Vado in piazza perché dove ci sono i lavoratori deve esserci la politica». In corteo anche i Giovani democratici, perchè «dove c’è un disagio espresso dai lavoratori abbiamo il dovere di esserci», dichiara il segretario nazionale Fausto Raciti.
Assenti Veltroni e Franceschini, ma chi mancherà per scelta precisa sono i moderati che ritengono un grave errore aderire. Per essere chiari, il vicesegretario Enrico Letta parteciperà al forum organizzato dalla Confindustria di Prato. Ma a lamentarsi in modo esplicito è l’ex popolare Beppe Fioroni, che definisce «opportunista» l’atteggiamento del «non aderisco, ma i miei verranno».
Rispetto agli allarmi sicurezza lanciati in questi giorni da Maroni, Sacconi cui ha fatto eco pure il segretario Cisl Bonanni, Letta ricorda che «sarà una grande prova anche per il governo».E Sabina Rossa, parlamentare Pd e figlia del sindacalista ucciso dalle Br, è molto chiara: «È inaccettabile il paragone con gli anni bui della strategia della tensione: non c’è alcun segnale di ritorno a quel periodo, e manifestare rimane un diritto dei lavoratori»

******

«Il governo della rabbia», di Stefano Menichini
Delle persone che saranno oggi a Roma a manifestare – degli operai veri, non dei tanti che si imbucheranno, magari per far danni – bisogna aver rispetto.
Non è giusto comprimere in una delle scatole della politica la loro condizione reale, la paura di un futuro vuoto, l’esperienza quotidiana di fabbriche e uffici che chiudono, di famiglie alle quali viene mancare un reddito certo, progetti di vita da rivedere, magari da cancellare.
Non c’è da stupirsi che, dopo una prima fase di depressione e di tentativi di arrangiarsi, venuta meno la speranza che la crisi fosse passeggera, a un certo punto stia subentrando la rabbia.
Anche gli operai leggono i giornali, anzi forse li leggono più degli altri. E oggi troveranno riportate le analisi del Financial Times, le ennesime dopo molte altre: oggi la crisi distrugge posti di lavoro, ma la cosa più grave è che la ripresa, quand’anche arrivasse, non li restituirà.
Il ministro Sacconi può anche fare dello spirito sulle valutazioni pessimistiche, come ieri su quelle di Bankitalia. Purtroppo l’unica cosa davvero «esoterica» in questa situazione molto materiale è il governo di cui lui fa degnamente parte: un governo che mette le pezze (neanche tutte) in termini di ammortizzatori, ma è paralizzato in termini di iniziative positive. Un governo di fantasmi.
Il presidente del consiglio per primo.
E Sacconi per secondo, come denuncia Pietro Ichino a proposito dell’assenteismo ministeriale sul tema della riforma del contratto di lavoro.
La rabbia dei lavoratori però è un problema serio.
Stasera, dopo la manifestazione romana della Fiom, potremmo anche ritrovarci a doverla distinguere dal calcolo cinico dei professionisti della violenza, o anche solo dalle azioni strumentali delle frange settarie del sindacato. La violenza si teme (spetterà in primis al Viminale prevenirla e reprimerla), il settarismo è ormai endemico, come sanno bene i vertici della Cgil e della stessa Fiom.
Entrambi i fenomeni si combattono e si battono con grande capacità di governo.
Sì, di governo. E se quello insediato a palazzo Chigi è latitante, un altro tipo di governo della crisi deve subentrare e rendersi visibile.
Chi dovrebbe comporre questa sorta di «governo fantasma», da contrapporre al fantasma dell’attuale governo?
È presto detto. Sindacati capaci di ritrovare unità (anche Cisl e Uil devono sapere che una stagione di rapporti preferenziali sta per finire, e senza aver portato molto).
Imprenditori che voltino le spalle definitivamente, senza furbizie, alla stagione dei programmi fotocopiati con Berlusconi. E i partiti ora all’opposizione, a cominciare dal più forte, cioè il Pd: che la smetta di inseguire ora una protesta operaia, ora una leadership tecnocratica, per esprimere invece una compiuta proposta di alternativa nel famoso «interesse generale». Una proposta realistica, senza promesse miracolistiche che nessuno può mantenere, innovativa e consapevole che ormai c’è molto lavoro, molta produzione e molta disoccupazione fuori dall’universo rappresentato a Roma dagli operai dell’industria.
C’è la rabbia, è vero. Ma non chiede di sfasciare vetrine. Chiede autorevolezza e credibilità. I lavoratori – anche quelli sulle posizioni più radicali espresse oggi dalla Fiom – sarebbero prontissimi a riconoscere e a premiare risposte serie, riformiste, all’altezza dell’emergenza, concrete.
Berlusconi è l’emblema del fallimento, proprio dal punto di vista della serietà e dell’autorevolezza. Il massimo del paradosso sarebbe che non fosse lui a pagare, per un collasso di credibilità che ha contagiato l’intera classe politica, e che la stagione della protesta finisse invece per dividere e indebolire la possibile alternativa.

da www.europaquotidiano.it