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Liliana Cavani "Basta violenza donne difendetevi", di Silvia Fumarola

La regista firma per RaiUno “Troppo amore” storia di una giovane perseguitata dall´ex fidanzato. Nel cast Liskova e Poggio
Le vittime non si accorgono subito dei segnali che arrivano. Nel nostro caso il protagonista è un professore, un uomo socialmente rispettato. Gli uomini considerano le donne oggetti di loro proprietà e non accettano il rifiuto: vanno educati da ragazzini al rispetto. La vittima e il carnefice abitano una di fronte all´altro, nel centro della città; lei è solare, indossa jeans e maglietta, lui è un architetto elegante, professore universitario, di buona famiglia. Liliana Cavani segue la scena dal monitor, Massimo Poggio scende le scale di corsa, si avvicina a Antonia Liskova, è gentile, lei sale in auto. È riuscito a conoscerla. Non immagina, la ragazza bionda con lo smalto turchese sulle unghie, che quell´uomo con cui avrà una relazione arriverà a perseguitarla – inviandole prima cento rose poi togliendole la libertà – e si trasformerà in orco.
Troppo amore è una storia come tante, la fotografia di quello che sta succedendo in Italia, dal Nord al Sud. Gli uomini uccidono le donne che li lasciano, sparano alle mogli che hanno chiesto la separazione, strangolano le ex fidanzate. Non accettano che siano le donne a decidere. «Socialmente» osserva la regista «la vedono come una sconfitta». Il film – scritto dalla stessa Cavani con Angelo Pasquini e Roberto Tiraboschi – prodotto da Claudia Mori per RaiFiction, fa parte della collezione di quattro titoli per RaiUno sulla violenza alle donne Un corpo in vendita (Margarethe Von Trotta dirige La fuga di Teresa, Marco Pontecorvo Il segreto del web e Helena e Glory). «Ciò che rende il fenomeno drammatico è il ritardo nel cogliere la gravità di una vera emergenza» spiega Claudia Mori, che ha tenacemente difeso la fiction «Violenza domestica, stupro, stalking, prostituzione forzata purtroppo sono termini entrati nel linguaggio corrente. Un corpo in vendita indaga i temi legati a questa violenza, cercando di entrare, per quanto possibile, nella mente di chi la perpetua: l´uomo».
Un bollettino di guerra: secondo l´Organizzazione mondiale della sanità la violenza contro le donne rappresenta la prima causa di morte per il sesso femminile fra i 25 e i 44 anni. Nel mondo, una donna viene uccisa ogni otto minuti, l´Italia è la prima nazione in Europa per omicidi in famiglia. Tale è l´allarme sociale che su tutte le reti vanno in onda gli spot col numero verde antistalking («Ogni ora una donna è vittima di violenza: chiama il 1522»), istituito dal Ministero per le pari opportunità.
«Denunciare è il primo passo, ma c´è un problema culturale alla base» osserva la Cavani «le donne sono ancora considerate oggetti da parte degli uomini, che pensano di poter esercitare un possesso. Giorni fa, parlando con un attore, mi diceva di aver mandato un mazzo di fiori alla ragazza, accompagnato da un bigliettino: “Sei mia, sei mia, sei mia”. Me lo sono mangiato. Lei non è tua e non è di nessuno: è sua. Una volta “Io sono mia” era scritto sui muri, ma non è entrato abbastanza in testa, evidentemente: forse è tempo di pensare a un nuovo femminismo».
La regista di Portiere di notte, adottata dalla tv (De Gasperi, Einstein), parla con grande passione. «Vede, la storia che raccontiamo è comune, perché le donne non si accorgono subito dei segnali. Nel nostro caso Poggio interpreta un uomo socialmente rispettato, ma fragile: quando viene lasciato tira fuori la vera personalità. Non accetta il rifiuto. Le donne vengono uccise dal marito, dal fidanzato, non da una persona esterna al nucleo familiare. E sempre, nelle cronache, i vicini dicono che era “un uomo tranquillo”. Questo è sconvolgente, che nel 2010 un uomo non ammetta il rifiuto; manca la cultura del rispetto dell´altro».
Sopravvive l´idea del possesso. «È radicata in modo forte, nasce da secoli di patriarcato: l´uomo si accasa e “prende” moglie. La donna è sua: come il giardino, la casa, l´auto, l´idea di perderla non è contemplata» spiega la regista. «Un colonnello che lavora in un centro antiviolenza mi ha spiegato che spesso le donne non denunciano perché l´uomo porta a casa i soldi, perché così pensano di proteggere i figli». In Troppo amore il protagonista, una volta conquistata, cerca di cambiare la ragazza che ama. «Poggio è un professore universitario», continua la Cavani «non è rozzo, ha gli strumenti culturali, ma vuole gestire anche la compagna. Non accetta che vada a cena con gli amici, le dice come deve vestire, cerca di esercitare un controllo totale, le toglie l´autonomia e l´identità: la considera, appunto, una sua proprietà. Quando non ottiene quello che vuole inizia a picchiarla. Nel film la protagonista reagirà. Ma lo sa quante donne, di tutti i ceti sociali, vengono prese a botte e non parlano? Gli uomini vanno educati da ragazzini al rispetto, si danno per scontate troppe cose. Pensi solo ai comandamenti: “Non desiderare la donna d´altri”, “Non desiderare la roba d´altri”; sono il nono e il decimo. Non c´è “Non desiderare l´uomo d´altri”. Per questo insisto nel dire che c´è un problema culturale. Mi sembra, lo dico da cattolica, che anche la cultura cattolica non abbia aiutato molto le donne».

La Repubblica 18.10.10