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Allarme corruzione della Corte dei Conti. Giampaolino: "Dilaga e mina il prestigio delle istituzioni. Difficile tagliare le tasse", di Roberto Petrini

Il federalismo non si deve risolvere in un aumento della pressione fiscale, ma deve far riqualificare la spesa. È necessario sostenere i redditi bassi nonostante la crisi e garantire le prestazioni essenziali alla collettività.
La corruzione non è sconfitta, anzi «dilaga» e continua a minare il prestigio delle istituzioni. Torna il monito, quasi accorato, della Corte dei Conti sulle nuove Tangentopoli che infestano l´Italia, attraverso le parole del neo-presidente della suprema magistratura contabile, Luigi Giampaolino ieri al battesimo della cerimonia di insediamento. «Gli episodi di corruzione e dissipazione delle risorse pubbliche, talvolta di provenienza comunitaria, persistono e preoccupano i cittadini – ha detto il magistrato nel corso di una conferenza stampa – , ma anche le istituzioni, il cui prestigio e affidabilità sono messi a dura prova da condotte individuali riprovevoli».
Durante la sua prima conferenza stampa ha dovuto far fronte ad una raffica di domande su casi recenti. Il primo ad emergere è stato il tema delle società off-shore, alla ribalta dopo le vicende delle ultime settimane: «E´ un uso deprecabile?», è stato chiesto in conferenza stampa a Giampaolino? «Senza dubbio», ha replicato, poi ha precisato che si tratta di un ambito che «fuoriesce dalle competenze della Corte dei Conti» ed ha aggiunto, alludendo alla mancanza di notizie ed atti certi in mano alla magistratura contabile, di essere nella condizione di «dover escludere comportamenti illeciti».
Giampaolino non si è tirato indietro e si è espresso anche sulla scivolosa vicenda segnata dalla attribuzione alla Protezione Civile di poteri speciali per i cosiddetti «grandi eventi», come il G8 della Maddalena, gestiti dal governo con il sistema delle «ordinanze», provvedimenti che non vengono sottoposti al controllo della Corte dei Conti. Il presidente ha deplorato l´estensione negli ultimi anni di questo meccanismo giuridico a «grandi eventi a volte molto discutibili» quando – ha detto – avrebbe dovuto essere circoscritto, in base allo spirito originario, ai «disastri e alle calamità» e ha dunque auspicato che si «torni alla normalità». Un primo test potrebbe essere l´Expo 2015 di Milano: ieri il governo, attraverso il segretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta, ha «aperto» ad un ritorno dell´intervento delle Corte anche «oltre i limiti strettamente imposti dalla legge» in un quadro – ha detto Letta – di «leale cooperazione istituzionale».
L´occhio della magistratura contabile è tornato a posarsi anche sulla difficile fase economica e sociale (è costata «una perdita permanente di entrate per 70 miliardi e di Pil per 130», ha detto Giampaolino) a poche ore dall´incontro previsto per oggi del ministro dell´Economia Tremonti con i sindacati sulla questione fiscale. La prolungata bassa crescita, ha osservato il neo-presidente, rende difficile il contenimento della spesa pubblica anche perché oggi esistono «istanze non comprimibili di sostegno dei redditi più bassi e di garanzia delle prestazioni essenziali alla collettività». Dunque tanto più in una fase come quella attuale, è «essenziale riqualificare la spesa pubblica per tagliare gli sprechi e accumulare risorse in provviste virtuose da spendere a favore delle fasce più deboli del paese». Dove? Il settore in cui è possibile migliorare qualitativamente la spesa riducendo gli sprechi è, per la Corte dei Conti, in prima battuta la sanità.
Per la Corte anche sull´eventuale taglio delle tasse pesa oggi il quadro economico negativo: oggi la riduzione della pressione fiscale è possibile «solo attraverso la riqualificazione della spesa pubblica». Anche sul federalismo fiscale la Corte non ha rinunciato a lanciare un monito alla classe politica: «Una delle nostre sfide è proprio quella di fare in modo che non si risolva in un aumento della pressione fiscale».

La Repubblica 20.10.10

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“La troppa fretta negli appalti pubblici sta accelerando il giro delle mazzette”, di Emilio Randacio

Le leggi in vigore non aiutano la lotta alle tangenti, e le proposte del ministro Alfano non introducono novità.
Politica incapace di fare norme più stringenti per combattere il fenomeno delle mazzette. Ma anche troppe deleghe in bianco nell´assegnazione degli appalti pubblici che aumentano gli appetiti famelici degli affaristi.
Gerardo D´Ambrosio, l´ex responsabile del pool di Mani pulite, risponde al telefono mentre al Senato è in corso una vibrante discussione. L´esponente del Pd, dopo i molti allarmi lanciati negli anni scorsi, appare quasi scoraggiato di fronte alle parole usate dal presidente della Corte dei Conti, Luigi Giampaolino nel suo discorso di insediamento.
«Che la corruzione sia un fenomeno diffuso, non c´è dubbio. Basta elencare i numerosi casi venuti alla luce ultimamente».
Senatore, quindi il passato non sembra non essere proprio servito a nulla?
«La corruzione è un reato difficile da scoprire di per sé. Per la mia esperienza non è mai stato denunciato, perché non è nell´interesse né di chi paga, né tantomeno del funzionario infedele. In più, le mazzette sono un fenomeno sommerso che ha una caratteristica: i funzionari corrotti di solito lo diffondono. Se un dipendente lavora in un ufficio in cui è presente la corruzione, difficilmente se ne va, ma è più facile che finisca per adeguarsi anche lui al sistema».
Sta dicendo che è un aspetto culturale?
«Che ci sia corruzione è evidente, lo dimostrano i fatti di cronaca recenti. Perché ultimamente continui a diffondersi penso sia solo la conseguenza alle deroghe sugli appalti, licenziati dalla politica come “opere urgenti” e “grandi opere”. Queste deroghe facilitano episodi di abuso d´ufficio, ma perseguirli è diventato difficile a causa di norme che non contrastano più l´interesse dei privati in atti d´ufficio. Basta pensare che per questo reato non è più consentito disporre le intercettazioni telefoniche».
Ma qui, senatore, stiamo parlando di mazzette.
«Con l´inizio di Tangentopoli spesso si cominciava un´inchiesta perseguendo un abuso d´ufficio e si arrivava a scoprire le grandi corruzioni. Adesso tutto questo è scomparso perché la legge non lo consente più».
Quindi sono le norme vigenti che non aiutano la lotta alla corruzione?
«Il disegno di legge proposto in materia dal ministro Angelino Alfano non presenta alcuna novità in questa direzione. Si è limitato ad aumentare le pene per la corruzione, senza cambiare i tempi della prescrizione. D´altra parte, il governo non ha nemmeno creato nessun organo indipendente di controllo per prevenire i fatti di corruzioni. Il fenomeno è sempre lo stesso. Durante Mani pulite si giustificava l´abuso dicendo che si finanziavano i partiti, anche se a volte occorreva avere funzionari corrotti o funzionari nella stesso ordine di idee del potere».
Le ultime inchieste hanno dimostrato che non è più la procura di Milano a trainare il contrasto al fenomeno. Da cosa dipende?
«A Milano c´era un gruppo di magistrati eccezionale. Mi vengono in mente Piercamillo Davigo, Ilda Boccassini, Gherardo Colombo e anche Antonio Di Pietro, che si occupavano solo di questo fenomeno. Tra loro è rimasta solo la Boccassini, che però è diventata coordinatrice dell´antimafia. Anche Fabio Napoleone, che era un pilastro per le inchieste sulle tangenti negli appalti pubblici, ha lasciato Milano. Quella mole immensa di carte e inchieste prodotta durante Mani pulite era il frutto del lavoro di una ristretta cerchia di magistrati. Non so se, attualmente, sia stata ricreata un équipe di pm competenti come allora».

La Repubblica 20.10.10