attualità

Il delitto di Maricica e i ragazzi del muretto figli dei pregiudizi

Poche ore dopo la morte di Maricica Hahaianu, il sindaco di Roma Alemanno annunciava l’intenzione del Comune di Roma di costituirsi parte civile, aggiungendo che si deve superare «ogni pregiudizio» verso la comunità rumena. Nel vicino quartiere di Cinecittà, gli amici di Alessio Burtone, l’aggressore di Maricica, esprimevano solidarietà ricorrendo a maldestre difese, come quelle riportate da questo giornale: «che dovremmo dire noi che i mariti delle romene stuprano le nostre ragazze” oppure “quella poteva avere nella borsa un ombrello”. Intendiamoci: bene ha fatto il sindaco di Roma a offrire solidarietà; così come appaiono per quello che sono le parole dei giovani di Cinecittà: pregiudizi, talmente inefficaci come attenuanti da rivelarsi paradossalmente aggravanti, qualora assunti come difesa. Quello che colpisce è, piuttosto, il richiamo all’ombrello, vale a dire alla vicenda di Doina Matei, la giovane rumena responsabile – di nuovo la scena è il metrò di Roma – della morte di un’altra giovane, Vanessa Russo. Nello spazio temporale (2007-2010) tra i due episodi, accomunati da evidenti somiglianze (l’irreparabilità della morte, la rovina dei due responsabili “preterintenzionali”) ci sono le tante parole pronunciate da istituzioni, autorità pubbliche, esponenti della politica, compreso il sindaco di Roma. Un tempo durante il quale l’intera comunità rumena (o buona parte di essa) è stata dipinta come causa di degrado, insicurezza, pericolosità sociale. Così come insicura e aggressiva è stata dichiarata la città nella quale sono avvenuti i due episodi. Difficile, poi, far capire ai ragazzi del muretto di Cinecittà, quanto poco quei pregiudizi possano aiutare Alessio Burtone.

L’Unità 20.10.10

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«Eterni stranieri, quindi colpevoli», di Maria Serena Natale

Il sociologo polacco Zygmunt Bauman su diaspore e Stato contemporaneo.
Precarietà esistenziale, migrazioni incrociate, paura dello straniero. Zygmunt Bauman, l’eminente sociologo polacco teorico della «modernità liquida» nata dalla fine delle «grandi narrazioni», inquadra il caso rom nella riflessione sull’«età delle diaspore e il sentimento d’incertezza che caratterizza le nostre società, diventato fonte di legittimazione alternativa per lo Stato contemporaneo».
Professor Bauman, quali meccanismi vede dietro la linea dura di Sarkozy?
«Additare lo straniero come responsabile del malessere sociale sta diventando un’abitudine globale. Nel caso delle espulsioni è in gioco il conflitto inseriti-outsider esaminato mezzo secolo fa da Norbert Elias: più di amici e nemici, gli outsider sono imprevedibili, il senso d’impotenza che deriva dall’incapacità di intuire le loro risposte ci umilia». Con i rom la dinamica è amplificata? «Sì, perché sono percepiti come perpetui stranieri, colpevoli fino a prova contraria, preceduti da storie di criminalità più o meno accertate ma assenti dai luoghi deputati alla formazione delle opinioni, privi di élite capaci di promuovere le ragioni delle comunità».
Le ansie legate ai flussi migratori sono un tratto dominante di quella che lei descrive come una diaspora universale.
«Oggi assistiamo a ondate migratorie organizzate per arcipelaghi planetari e interconnessi di insediamenti etnici, religiosi, linguistici. Ogni Paese è virtualmente bacino di emigrazione e meta di immigrazione, le rotte non sono più determinate da legami imperial-coloniali: queste diaspore frammentate e trasversali ci impongono di ridefinire il rapporto tra identità e cittadinanza, individuo e luogo fisico, vicinato e appartenenza». Come risponde la politica? «Lo Stato contemporaneo proclama come primo compito del potere la rimozione dei vincoli alle attività orientate al profitto. Diventa così prioritario per i governi trovare al senso di vulnerabilità dei cittadini cause non riconducibili al libero mercato ma a rischi di altra natura. La priorità è la sicurezza, minacciata da pericoli per la persona fisica, la proprietà e l’ambiente che possono venire da pandemie, attività criminali, condotte anti-sociali di sottoclassi, terrorismo globale ma anche da gang giovanili, pedofili, stalker, mendicanti, regimi alimentari insani».
Uno stato d’allerta permanente. «Nel quale è impossibile sapere dove e quando le parole diventeranno carne. La mancata materializzazione di una catastrofe paventata è presentata come il trionfo della ragione governativa su un fato ostile, risultato di vigilanza e cura delle autorità».
Come va ridefinito il patto sociale?
«La migrazione universale porta in primo piano e per la prima volta nella storia l’arte del convivere con la differenza. Un’alterità non più concepita come transitoria richiede un ripensamento delle reti sociali, più tolleranza e solidarietà, nuove abilità e competenze».
E come s’innesta questa differenza radicale sul terreno del multiculturalismo?
«Forme di vita antagoniste si fondono e separano in una generale assenza di gerarchie: non valgono più ordini di valori consolidati né il principio di evoluzione culturale ma si sviluppano battaglie per il riconoscimento interminabili e non dirimenti». In che modo risponde la democrazia? «Ha abdicato alla funzione di scoraggiare il ritrarsi dei singoli nella sfera privata, rinunciato a proteggere il diritto delle minoranze a una vita dignitosa. La democrazia non può fondarsi sulla promessa dell’arricchimento. Il suo tratto distintivo è rendere servizio alla libertà di tutti. Ha di fronte una sfida senza precedenti: elevare i principi della coesistenza democratica dal livello degli Stati-nazione a quello dell’umanità planetaria».

Il Corriere della Sera 20.10.10

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“Quell’applauso ad Alessio che ferisce i romeni”, di Chiara Saraceno

Non ho dubbi che Alessio Burtone non intendesse uccidere l´infermiera romena quando le ha sferrato un pugno nel metrò di Roma. Ma lo stesso vale forse per la giovane romena che qualche anno fa colpì con l´ombrello un´altra giovane donna, italiana, perforandole un occhio e causando così un´emorragia violenta che provocò una morte quasi immediata.
Eppure, la reazione dell´opinione pubblica, dei politici, persino dei cosidetti “esperti” è stata molto diversa. Gli applausi ad Alessio Burtone quasi che fosse un eroe vendicatore e gli insulti ai carabinieri che lo portavano in carcere sono speculari al modo in cui fu invece trattata la giovane rumena diventata assassina per un gesto maldestro: accusata di essere una belva violenta e assetata di sangue. E l´episodio fu subito inquadrato come esempio della pericolosità dell´immigrazione, in particolare rumena, di “loro” contro “noi. Tantomeno ci fu chi, tra politici e penalisti, sollevò la questione della giovane età, della vita rovinata per un gesto inconsulto, nonostante la dura condanna della giovane donna a molti anni di carcere privasse una bambina della presenza della madre. Sono assolutamente d´accordo: un omicidio preterintenzionale va considerato diversamente da un omicidio intenzionale. E a chi è giovane deve essere lasciata aperta la via per recuperare, per non perdere del tutto la propria vita, specie se le conseguenze sono andate molto al di là delle intenzioni. Ma ciò deve valere per tutti. Nessuno invece ascoltò a suo tempo la giovane rumena. Nessuno prestò fede al suo sbalordimento e al suo pentimento. Perché era una rumena, per definizione pericolosa e soprattutto estranea: facile capro espiatorio di tutte le paure e insicurezze.
Sbaglia Fini a considerare l´episodio della solidarietà scomposta al giovane romano solo un esempio della violenza urbana, senza connotati etnico-razziali. Non si tratta solo dell´omertà con cui sono stati protetti gli aggressori del tassista milanese. La solidarietà qui è provocata innanzitutto dalla nazionalità della vittima: immigrata, rumena, che non sapeva stare al proprio posto. Più simile, nell´immaginario distorto continuamente alimentato da un discorso pubblico troppo spesso irresponsabile, alla giovane assassina preterintenzionale di qualche anno fa, che non alla sua vittima.
Questo discorso pubblico, che usa scientemente la paura e la stereotipizzazione dell´altro, che distingue vittime e carnefici a seconda della nazionalità, sta lentamente corrodendo il senso comune civile ed ha effetti devastanti su chi manca di adeguati strumenti di auto-controllo.

Repubblica 20.10.10