attualità, politica italiana

"Il vero obiettivo azzoppare i pm", di Giuseppe D'Avanzo

La riforma della giustizia è una favola buona per gli ingenui. Nei tre striminziti fogli che il ministro della Giustizia porta in giro, al Quirinale, Montecitorio, Palazzo Madama, Palazzo dei Marescialli, non c´è alcuna traccia di riforma. Nessuna correzione di ciò che è oggi storto. Nessuna cura delle criticità del sistema. “Riforma” è un eufemismo.
Consente all´Eletto di manipolare la Costituzione per rendere innocuo il pubblico ministero, la bestia nera. Il sedicente rinnovamento della giustizia non è altro che questo: l´assalto all´autonomia e all´indipendenza delle procure; il tentativo di fare del pubblico ministero non un “potere” né un “ordine” ma “un ufficio” – sarà così definito – che rappresenta nel processo le fonti di prova raccolte dalle polizie dipendenti da una mano governativa che, a sua volta, deciderà con il ministro di Giustizia “le priorità” nell´esercizio dell´azione penale. Addio articolo 112 della Carta: “Il pubblico ministero ha l´obbligo di esercitare l´azione penale”. Liquidato l´articolo 109: “L´autorità giudiziaria dispone direttamente della polizia giudiziaria”.
C´è anche altro nel programma del governo: la separazione delle carriere; lo sdoppiamento del Consiglio superiore della magistratura e l´aumento della quota delle presenze politiche; il principio di responsabilità di giudici e pm; l´Alta Corte di disciplina; l´inappellabilità delle sentenze di assoluzione; le eccezioni al principio di inamovibilità. Ma l´intero profilo della “riforma” non perde mai d´occhio l´azione penale obbligatoria e ha un unico focus: il pubblico ministero indipendente, che si immagina debba essere diretto per vie oblique dal governo. Sono idee che non restituiranno alcuna efficacia, alcun equilibrio, alcuna ragionevolezza all´amministrazione della giustizia. Di ben altro c´è bisogno, come da anni ripetono gli addetti.
Il catalogo delle necessità è noto. Revisione delle ottocentesche circoscrizioni giudiziarie (sono 165, potrebbero diventare 60). Riduzione dei tribunali (sono oggi 1.292). Introduzione della posta elettronica per l´esecuzione delle notifiche (cinquemila cancellieri ne consegnano brevi manu agli avvocati 28 milioni ogni anno). Depenalizzazione dei reati minori per riservare il processo penale – molto costoso – alle questioni di maggiore allarme sociale. Rinnovamento della professione forense: «più avvocati, più cause» e gli avvocati in Italia sono 230mila, 290 ogni 100 mila abitanti, contro 4.503 magistrati giudicanti in un rapporto avvocato/giudice strabiliante che demolisce il processo civile. Limitazione del ricorso in Cassazione (30 mila sentenze l´anno). E soprattutto la riforma di un processo penale che ibrida tutti i difetti dei possibili modelli (inquisitorio, accusatorio) trasformandolo in un gioco dell´oca interminabile e incoerente. Oggi gli atti dell´indagine non valgono per il dibattimento (in coerenza con la logica del processo accusatorio) però le garanzie del dibattimento sono state estese alle indagini preliminari (in contraddizione con la logica accusatoria). Così l´indagine – e non il processo – è un dibattimento anticipato mentre il rinvio a giudizio, più che essere una valutazione della necessità di un dibattimento, è diventato una sentenza sull´istruttoria (sul lavoro del pubblico ministero). Il processo ne è soffocato. La sovrabbondanza di assillanti formalismi lo disintegrano in una rosa di microprocessi. Giudizio sull´inazione (archiviazione). Giudizio sui tempi dell´azione. Giudizio sulle modalità dell´azione (misure cautelari). Giudizio sulla completezza delle indagini e sul fondamento dell´azione (udienza preliminare). Un processo, in cui ogni atto può generare un microprocesso, che richiede avvisi, notifiche, discussioni, deliberazioni e consente ripetute impugnazioni, non potrà avere mai una «ragionevole durata». Figurarsi se può essere «breve» come vuole, soltanto per amore di se stesso, Silvio Berlusconi. Non lo sarà neanche domani con la sedicente “riforma” che lo conserva labirintico, obeso, avvizzito e lunghissimo, ma vuole addomesticarlo riducendo all´impotenza un pubblico ministero che – si ipotizza nei tre foglietti di Alfano – potrebbe anche essere “elettivo” con la nomina di magistrati onorari alle funzioni di accusatore.
Ci toccherà vedere pubblici ministeri con il fazzolettone verde alla Lega al collo o, nel Mezzogiorno, pubblici ministeri imposti dalle mafie? Probabilmente no. Questa riforma non si farà mai e d´altronde riscrivendo un paio di articoli della Costituzione non si trasforma il pubblico ministero in un burocrate al servizio del governo perché “la Carta non è fatta di norme disarticolate come atomi separati. È un sistema con nessi interni” (Franco Cordero). Alla fine questa favoletta della “riforma della giustizia” servirà soltanto ad avvelenare ancora di più un clima politico già attossicato; ad alzare la posta per rendere “male minore” il via libera all´impunità del premier; a distrarre l´opinione pubblica dai clamorosi fallimenti del governo; a preparare la piattaforma della campagna elettorale del 2011. Ancora una volta e come sempre, necessità dell´Eletto e non degli elettori.

La Repubblica 22.10.10