attualità, politica italiana

"La sfida di Nichi che insidia il Pd", di Mario Lavia

Al ritmo di taranta la gragnuola di parole di Nichi Vendola, come previsto, ha impresso un segno accolto entusiasticamente, qui a Firenze, in un catino troppo piccolo ma per questo più ricco di calore, al primo Congresso di un partito che ancora non c’è – Sinistra ecologia e libertà – ma che «è diventato un po’ di moda», come ha detto il suo leader al termine di una lunga, torrenziale, evocativa relazione. L’impressione è che Nichi abbia chiare nella testa due cose.
La prima, è conquistare la leadership di una nuova sinistra non più gruppettara ma nemmeno del genere Cosa 4: una roba nuova, molto forte nella figura del leader, molto veloce nell’incunearsi in ambiti non tradizionalmente politici, molto svincolata dalle abituali liturgie della politica-politica. La seconda è che per fare questo, un partito normale sostanzialmente non serve: basta una fortissima leadership, sia pure senza arroganza (anzi, il contrario) ma semmai con quell’“autoironia” che gli ha consentito ieri di definirsi «un ragazzo di Terlizzi».
E contro i Golia della politica non è detto che non funzioni. Ma forse, nel nascente partito, su questo non sono tutti d’accordo, in fondo molti vengono da esperienze di partiti o di gruppi strutturati.
Ecco, la relazione di Vendola non è stata una relazione tradizionale, al Pd – per dire – che pure non è una cosetta da poco per uno che vuole sfidare Berlusconi, non ha riservato grande attenzione: sì, qualche battuta ma poco altro, perfino meno dell’attenzione rivolta ai compagni che lo sconfissero al congresso di Rifondazione («non ci sono più risentimenti ma solo sentimenti»), quei Ferrero e Diliberto salutati da un bell’applauso, malgrado le ferite.
Legittimo chiedersi se mediante Nichi si ritenti l’aggancio ai guastatori dell’Unione, ma forse è più importante domandarsi se il leader di SeL immagini in cuor suo una separazione nel Pd, stante – lo dicono i documenti congressuali – che la strada di Veltroni, Franceschini e Bersani è sbagliata, anzi, sbarrata dai fatti. E chissà, se il Pd o una sua parte sceglieranno di mollare gli ormeggi in vista di una nuova terra promessa a sinistra, troveranno lui, Nichi, a guidarlo.
Ma tornando al leader, nessuno poteva dubitare della efficacia della sua ars oratoria, della sua capacità non solo di svolgere un filo di ragionamento organico lungo un’ora e mezza ma di farlo con assoluta padronanza della scena, inutile negarlo, un po’ alla Obama, senza leggere (se non appunti), muovendo sapientemente il corpo da una parte e dall’altra, fissando negli occhi una platea naturalmente disposta ad accoglierne il verbo e a punteggiare con applausi e ovazioni anche i punti meno “efficaci”, e ce ne sono stati non pochi, nel profluvio di immagini, pensieri e parole estratti da diversi vocabolari, quelli della politica ma anche quelli di un vissuto intellettuale di tutto rispetto: la denuncia di «un paradigma emergenziale che accompagna le leadership carismatiche è una narrazione populista che avvolge l’Italia ferita» ne è un esempio fra tanti. Sì, c’è un che di angosciato nell’affresco vendoliano di un’epoca – la nostra, quella di Berlusconi ma anche della «modernizzazione regressiva » di Marchionne – per tanti aspetti peggiore di quella di prima, quando c’erano «le piazze e le sezioni» e il lavoro dava la misura della dignità umana che non era solo merce, addirittura di quando «papà ci leggeva le Lettere dei condannati a morte della resistenza», e viene appunto da chiedersi se l’inesorabile pasolinismo di Nichi sia conciliabile con la sua scommessa politica.
In platea, entusiasmo. Fausto Bertinotti si è commosso, e non era il solo.
Ecco il leader, dunque, l’uomo che sfiderà il Pd alle primarie, un palcoscenico perfetto, potenzialmente vincente, per un’affabulazione che ricorda Marco Paolini o Saviano: e se il Pd non sa rispondere, magari su un terreno più politico, se ne vedranno delle belle.

da Europa Quotidiano 23.10.10