attualità, politica italiana

"Riforme a rischio ricatto", di Michele Ainis

C’è una virtù che cercheremmo invano nelle parole dei politici: la franchezza. Volete uno scudo processuale per Silvio Berlusconi? E allora ditelo. Volete estenderlo alle accuse che lo inseguono per i fatti più remoti, quando il presidente del Consiglio usciva ancora con i calzoni corti? Ditelo di nuovo, ditelo guardando in faccia gli elettori. Qualcuno non sarà d’accordo, qualcun altro potrà osservare che dopotutto la serenità dei governanti è un bene costituzionale, l’ha stabilito pure la Consulta. Ma invece no, la politica preferisce strade più tortuose. Il processo breve, col rischio d’ammazzarne cento per salvarne uno, dato che alla fine della giostra le 170 mila prescrizioni che si consumano ogni anno nei nostri tribunali diventeranno il doppio. Oppure il lodo Alfano redivivo, tirando in mezzo il Capo dello Stato per non lasciare troppo solo il presidente del Consiglio. Anzi: in questo caso con una fava si possono catturare due piccioni. Domani, perché no?, Berlusconi potrebbe trasferirsi al Quirinale, e dunque non è male costruirsi un salvacondotto preventivo, non si sa mai, queste procure comuniste non hanno rispetto per nessuna istituzione.

C’è un problema, però, su queste colonne ne avevamo già parlato. Ieri lo ha segnalato il presidente Napolitano in una lettera ufficiale, sicché il problema è diventato alto come un grattacielo. Si dà il caso infatti che la Carta del 1947 ospiti una sola norma sulla responsabilità penale del Capo dello Stato: l’art. 90, per i delitti di alto tradimento e d’attentato alla Costituzione. In tali fattispecie può metterlo in stato d’accusa il Parlamento, ma a maggioranza assoluta dei suoi membri, la stessa maggioranza con cui si può riscrivere la Carta costituzionale. Invece il lodo Alfano copre i reati comuni, e s’accontenta della maggioranza semplice, ossia la maggioranza di governo. Per intenderci: nel primo caso servono i finiani, nel secondo probabilmente no. Significa che Napolitano sarà più tutelato se organizza un golpe o se vende la Patria allo straniero, piuttosto che se testimonia il falso o ruba la spesa alla vecchietta. Ma significa altresì che finisce sotto lo schiaffo del governo: facile ricattarlo con l’arma dell’autorizzazione a procedere, tanto un giudice anticomunista che gli si scagli addosso prima o poi si trova. Ecco perché il Presidente ha evocato l’indipendenza che dovrebbe accompagnarsi alla sua carica, e ha puntato l’indice contro l’irragionevolezza di questa disciplina.

Oltretutto nel suo caso non serve affatto la sospensione dei processi penali, dato che l’improcedibilità viene già sancita dalla prassi. Quando s’incide sui poteri dello Stato, sul loro reciproco equilibrio, bisognerebbe affrancarsi dal tornaconto di giornata. Bisognerebbe farsi carico delle conseguenze, delle reazioni, dei danni a lungo termine. Ma la lungimiranza, da queste parti, è una virtù smarrita, come la franchezza, come la buona creanza.

La Stampa 23.10.10