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"Disagio 2.0", di Marina Boscaino

Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare. Esiste un divario ampissimo tra le competenze che un insegnante dovrebbe avere e quelle che i docenti italiani effettivamente possiedono.
Prendiamo, ad esempio, le tecnologie: sempre “nuove”, a dispetto dello scorrere dei decenni. Ci muoviamo in apparenza in uno scenario che tende a sostituire il libro cartaceo con l’e-book, ma svolgiamo ogni giorno le nostre lezioni in aule in cui esiste spesso una sola presa per la corrente. Un mondo in cui molti di noi, come ha dimostrato una ricerca condotta dal prof. Domenici dell’Università RomaTre, non sono in grado di usare un computer, se non per approcciare con fatica programmi di scrittura. D’altro canto, celebriamo il trionfo della Lavagna interattiva multimediale, nuovo totem tecnologico dell’apparente modernità cui circolari, rappresentazioni mediatiche e intenzioni organizzative (rigorosamente e volontariamente abbandonate alla fase dell’annuncio) vogliono adattare la scuola. Una scuola che non c’è, ora più che mai, assillati come siamo da problemi di stentata manutenzione del quotidiano, da cure che sono il segno del declino inarrestabile dell’idea di scuola della Costituzione, di scuola emancipante, favorito e accellerato da una lettura governativa che la vede luogo di risparmi attraverso la scellerata politica dei tagli.
Tecnologia e modernità, come Europa, sono parole che taumaturgicamente, per loro stessa natura, sembrano schiudere scenari comunque positivi. E invece, si stanno dimostrando, giorno dopo giorno – nell’abuso e nell’indifferenza al rapporto necessario tra annuncio e realizzazione – categorie dell’auspicabile e specchio del fallimento delle apparenti intenzioni. Perché le intenzioni, se non sono corroborate da precisa e ferma progettazione, da studio attento, da convinzioni motivate, rimangono etichette vuote e malinconiche di ciò che sarebbe potuto essere.
La scelta è far finta di credere che alle parole corrisponda una sostanza; o continuare a denunciare il drammatico divario tra parola e realtà, nella speranza che non prevalga lo scetticismo, affogando il poco entusiasmo che resta nell’avere nel proprio profilo prefessionale la – un tempo nobile – etichetta di insegnante. Nella scuola di un mio amico sono state rimosse dalle aule prescelte le lavagne di ardesia murate per lasciar posto alle Lim che dovranno essere lì collocate. I colleghi, in assenza della lavagna, hanno cominciato a scrivere sul muro: non artistico ritorno al graffito, ma simbolica risposta di una categoria che non trova più la propria dimensione identitaria e professionale. Se fa ridere o fa arrabbiare, non so. È certo che molti di noi questo sono diventati. E che gli annunci della Scuola 2.0 che il ministro e i suoi luogotenenti continuano a propagandare, dimenticando volontariamente lo stato dell’esistente e usando una demagogia tanto più periocolosa perché riduce drammaticamente la speranza di ripresa culturale della nostra scuola, aumentano il disagio.

Apparso su Flcgil.it 26.10.10