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"Il fragile patto con la geologia", di Mario Tozzi

Indonesia, settore settentrionale di Sumatra: il vulcano Toba diede vita alla più terribile eruzione che gli uomini possano ricordare. Poco ci mancò che non fosse l’ultima, visto che, dopo l’immensa ricaduta di ceneri (2800 km3, a confronto il Monte Saint Helens, nel 1980, ne emise uno solo) su tutto il continente asiatico, ci furono cinque anni di freddo polare e dieci secoli senza estate.

Gli uomini si ridussero forse a un paio di migliaia su tutta la Terra, resistendo in enclave localmente più calde, scossi da continui terremoti e tsunami e terrorizzati dal futuro. Questo è stato il nostro ultimo «collo di bottiglia», circa 74.000 anni fa. Ma non sarà certo l’ultimo.

Terremoti di magnitudo superiore a 7,5 Richter, eruzioni vulcaniche esplosive che generano gigantesche nubi ardenti e tsunami che spostano grandi volumi di oceano: cosa sta accadendo in Indonesia? Non ci sono cause contingenti particolari per spiegare questi fenomeni: la quotidiana attività della Terra prevede scenari di questo tipo, anzi, questa sarebbe la normalità di un pianeta per fortuna ancora giovane e attivo. Se la Terra non avesse vulcani e terremoti assomiglierebbe alla Luna, un pianeta sostanzialmente morto. Semplicemente quello che accade in Indonesia è piuttosto la regola per il nostro mondo, anche dal punto vista degli uomini, che si ostinano a vivere nelle regioni più attive (Mediterraneo, regioni costiere in genere) e tralasciano le regioni interne più tranquille. Perché l’attività della Terra è data dall’incastro di un gigantesco mosaico di blocchi crostali (le placche) che producono fenomeni solo dove si separano o dove scorrono le une accanto alle altre oppure dove una finisce sotto l’altra (come è il caso indonesiano).

La sequenza degli eventi naturali del Sud-Est asiatico (che diventano poi catastrofi per colpa nostra) è impressionante: 1797, 1833, 1843, 1861 e 1883, queste le date degli tsunami scatenati da sismi o da eruzioni vulcaniche, l’ultima delle quali, quella della Krakatoa, si risentì con ondate anomale fino a Calais sulla Manica. Per non parlare poi dello tsunami del 2004, che ha aperto gli occhi del mondo sulla realtà di una delle regioni più attive della Terra. Addirittura lo stesso termine geologico lahar (cioè colata di fango), la maggior causa di morte al mondo legata ai vulcani, è stato coniato da queste parti. Il Merapi in eruzione dispensa sempre colate di fango, tanto che, in genere, gli abitanti si guardavano bene dal dormire in vista delle pendici del vulcano.

Terremoti e eruzioni sono la regola, ma ce ne accorgiamo solo ora perché oggi la comunicazione è globale e i fenomeni vengono visti nel loro aspetto drammaticamente spettacolare, non perché in passato non avvenissero. Solo che la memoria degli uomini è troppo corta rispetto a quella della Terra, che scandisce i suoi tempi usando i milioni di anni, mentre noi siamo già a disagio con i secoli. L’umanità è passata attraverso colli di bottiglia micidiali, ma tutti dovuti alla natura del pianeta stesso, alla sua normale attività. Non dovremmo dimenticare che l’Indonesia è un paradigma del mondo attuale, in cui le civiltà (tutte le civiltà, passate e future) esistono solo grazie a un consenso geologico temporaneo. Soggetto a essere ritirato senza preavviso.

La Stampa 27.10.10