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"Pd, il caso-Ruby e l’ombra del ricatto", di Rudy Francesco Calvo

Niente bunga bunga: il Nazareno mette nel mirino il giallo della telefonata da palazzo Chigi alla questura
Il copione si ripete: Casoria, Bari, villa La Certosa, il lettone di palazzo Grazioli, adesso Milano. Gran parte del paese parla delle avventure sessuali di Berlusconi, l’Italia diventa lo zimbello della stampa internazionale, il centrodestra fa quadrato attorno al premier rivendicandone il diritto alla privacy.
E intanto le vere questioni restano irrisolte. Com’è possibile che persone la cui identità non viene verificata abbiano rapporti personali col presidente del consiglio? Com’è possibile che entrino, senza alcun controllo né autorizzazioni, in una sede istituzionale (tale è la residenza romana di Berlusconi, per sua stessa volontà) in cui circolano dossier e documenti riservati, anche di carattere internazionale? Nel caso più recente, il premier ha effettuato pressioni indebite sulle forze di pubblica sicurezza affinché rilasciassero una giovane accusata di furto? È questa la strada che il Partito democratico ha deciso di intraprendere: non soffermarsi sui moralismi, ma costringere il governo a chiarire i buchi neri della vicenda milanese. In questo senso, a poco servirebbe presentare una mozione di sfiducia al premier (come proposto dall’Idv), anche se le richieste di dimissioni dal Nazareno sono partite in abbondanza.
Meglio piuttosto secondo i dem rivolgersi al ministro dell’interno Maroni attraverso interrogazioni urgenti ed eventualmente (è un’ipotesi che si sta verificando e che potrebbe realizzarsi mercoledì) investire della questione anche il Copasir, se si dovesse ipotizzare un coinvolgimento dei servizi segreti.
«Pretendiamo di sapere che cosa è avvenuto tra palazzo Chigi e la questura di Milano – spiega Pier Luigi Bersani – Berlusconi non pensi di poter aggirare questa domanda». E Dario Franceschini si rivolge direttamente a Maroni: «Più passano le ore e più il silenzio del ministro dell’interno è assordante. È suo dovere tutelare le forze dell’ordine da ogni pressione personale e politica, indipendentemente da chiunque provengano ». Insomma, come spiega Luigi Zanda, «il problema ancora una volta non è l’attività sessuale del premier. Personalmente trovo singolare che dei settantenni passino le serate con una diciassettenne, ma qui c’è una questione di decoro del paese: il governo egiziano ha dovuto smentire che quella giovane fosse nipote del presidente Mubarak e non voglio pensare a cosa contengano in questi giorni i dispacci inviati ai rispettivi governi dagli ambasciatori stranieri in Italia». Senza dimenticare che «in ballo c’è la possibile ricattabilità del presidente del consiglio – ricorda Emanuele Fiano – che riguarda la sicurezza del paese. Questa è la questione più grave, sulla quale nessuno può far finta di non vedere».
Ecco allora quali sono gli interrogativi che esigono una risposta nella vicenda che ruota intorno alla giovane Ruby. Innanzi tutto, com’è arrivata la notizia dell’arresto a palazzo Chigi? Quindi, il contenuto della telefonata alla questura di Milano partita dal caposcorta di Berlusconi e proseguita poi dallo stesso premier: è stata espressa solo preoccupazione o c’è stata un’interferenza oggettiva nell’attività della polizia? Perché Ruby è stata rilasciata? Sembrerebbe che non ci fosse evidenza di reato, tale da giustificare l’arresto, e che il funzionario di polizia abbia svolto fino in fondo il proprio dovere, verificando perfino l’effettiva residenza della famiglia a Letojanni, nel messinese.
Ma era possibile consegnare la minore a un consigliere regionale (l’ex igienista dentale e ballerina Nicole Minetti), con la quale non aveva alcun rapporto di parentela né di tutela? Nelle serate da lei stessa raccontate, Ruby o gli altri partecipanti hanno avuto la possibilità di scattare foto o fare registrazioni compromettenti, tali da rendere ricattabile il presidente del consiglio o da mettere a rischio la riservatezza di alcuni documenti?

da Europa Quotidiano 30.10.10

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“Il governo di Don Giovanni”, di Maurizio Ferraris

Il Premier ha giustificato il proprio coinvolgimento nel caso Ruby con la frase «sono una persona di cuore». Si tratta di una citazione pressoché letterale dal Don Giovanni di Mozart e Da Ponte, atto primo, scena decima.
Don Giovanni sta riuscendo a sedurre Zerlina sottratta a Masetto nel giorno delle nozze, e la sta portando al suo “casinetto” («Quel casinetto è mio: soli saremo e là, gioiello mio, ci sposeremo»), quand´ecco che compare Donna Elvira, sedotta e abbandonata, che gli fa una piazzata. Zerlina chiede a Don Giovanni «Ma, signor cavaliere, è ver quel ch´ella dice?» e Don Giovanni si giustifica: «La povera infelice è di me innamorata, e per pietà deggio fingere amore, ch´io son, per mia disgrazia, uom di buon cuore».
Ci sono affinità impressionanti tra i due cavalieri che vanno molto al di là della singola occorrenza. C´è anzitutto la commedia e la serialità: «ogni villa, ogni borgo, ogni paese è testimon di sue donnesche imprese», «Madamina, il catalogo è questo», e ovviamente il gusto della lista, del “porle in lista”, letteralmente, come si è visto. «Sua passion predominante È la giovin principiante». C´è la promessa, «Io cangerò tua sorte» a Zerlina, e il panem et circenses, come nell´ordine dato a Leporello per distrarre gli invitati al matrimonio: «Presto, va con costor; nel mio palazzo conducili sul fatto. Ordina ch´abbiano cioccolatta, caffè, vini, prosciutti: cerca divertir tutti, mostra loro il giardino, la galleria, le camere; in effetto fa che resti contento il mio Masetto». Cioè il promesso di Zerlina.
Ma c´è anche la vendetta delle donne. Così donn´Anna «Non sperar, se non m´uccidi, Ch´io ti lasci fuggir mai!», e la tendenza a cacciarsi nei guai. Leporello «Che tumulto! Oh ciel, che gridi! Il padron in nuovi guai». E, per questo, la diffidenza per le intercettazioni «Ma mi par che venga gente; Non mi voglio far sentir». E l´insofferenza per le critiche. Leporello: «Vi posso dire tutto liberamente?». Don Giovanni: «Sì». Leporello: «Dunque quando è così, caro signor padrone, la vita che menate è da briccone». Il Cavaliere non gradisce e minaccia di ammazzarlo, in barba al giuramento. Leporello: «Non parlo più, non fiato, o padron mio». Don Giovanni: «Così saremo amici».
Sono le contraddizioni del Partito dell´Amore. Il buon cuore, in Don Giovanni, non vieta, come sappiamo, comportamenti criminali, per esempio violentare Donn´Anna e ucciderne il padre, venuto a vendicarla (commenta Leporello: «Bravo, due imprese leggiadre! Sforzar la figlia ed ammazzar il padre»). Ma è tutto in regola, se si legge l´autobiografia di Da Ponte troviamo lo stesso atteggiamento: grande spregiudicatezza nei comportamenti, accompagnata sistematicamente da auto-assoluzioni, molto probabilmente convinte, e proteste di onestà civile e di pietà cristiana
C´è molto del carattere dell´italiano, dunque, ma c´è anche una cupa grandezza, nella fine (Don Giovanni muore piuttosto che pentirsi), che viceversa non è tanto nel carattere italiano. A parte questo, si capisce come questa figura operistica possa suscitare passioni e identificazioni. Ci sarà tutto uno stuolo di Leporelli che nei confronti del Cavaliere sviluppa un rapporto di odio e amore «Notte e giorno faticar, Per chi nulla sa gradir, Piova e vento sopportar, Mangiar male e mal dormir. Voglio far il gentiluomo E non voglio più servir… Oh che caro galantuomo! Vuol star dentro colla bella, Ed io far la sentinella! Voglio far il gentiluomo E non voglio più servir…».
L´ipotesi che gli scandali siano un boomerang per gli avversari è probabilmente fondatissima: questa è una vita che fa sognare moltissime persone, e che forse e soprattutto redime molte esistenze tristi, che possono trovare una sorta di realizzazione allucinata nelle imprese del Cavaliere. Il fatto è però che il governo di Don Giovanni (ammesso che si possa parlare di un governo: «Troppo mi premono queste contadinotte; le voglio divertir finché vien notte») fa paura o alla lunga stufa. La prima del Don Giovanni ebbe luogo a Praga nel 1787, e solo due anni dopo sappiamo che cosa successe a Parigi.

La Repubblica 30.10.10