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"A Carpi il centro d´avanguardia per diagnosi e riabilitazione. Nel laboratorio dove si cura il capogiro", di Elvira Naselli

C´è la maschera che registra i movimenti oculari al buio, le pedane mobili, la sedia che ruota su se stessa e le immagini stroboscopiche per testare la stabilità. Il “Vertigo ambulatory”, come lo chiama il suo “creatore” Giorgio Guidetti, è al piano terra, in un´ala dell´ospedale di Carpi Bernardino Ramazzini, considerato il precursore della medicina del lavoro. Una decina di stanze in un padiglione accogliente dedicato all´ex tenente carpigiano Luigi Marchi, che alla sua morte lasciò tutti i suoi beni ad un´opera pia. Quella della donazione deve essere un´abitudine consolidata da queste parti, perché anche l´ambulatorio delle vertigini è stato ristrutturato interamente grazie ai fondi di alcuni privati, che hanno chiesto di restare anonimi.
Eccolo qui, l´ambulatorio, che è un unicum nel nostro paese, un concentrato di apparecchiature e professionalità interamente dedicate alle vertigini. Pareti giallino chiaro, pavimenti blu, riproduzioni colorate di impressionisti alle pareti, insieme ovviamente alle gigantografie dell´orecchio e ai poster divulgativi su come identificare e distinguere le vertigini dagli altri disturbi. Aperto solo da qualche mese qui a Carpi, piccola cittadina a pochi chilometri da Modena, l´ambulatorio accoglie ogni giorno una quarantina di pazienti che arrivano da tutta Italia. Dalle nove del mattino alle cinque di sera. Con il sistema sanitario e in intra moenia. E un´attesa che varia da circa un mese per la visita specialistica ai tre per gli esami strumentali.
Arrivano qui dopo anni di cure sbagliate, convivenze fastidiose con il disturbo, sconfortati da diagnosi imprecise. Il trenta per cento dei malati arriva da fuori regione e, scorrendo le schede che Guidetti stila ancora a mano su carta, le regioni ci sono quasi tutte: dalla Sicilia alla Valle D´Aosta, passando per Lazio e Sardegna. Per molti è l´ultima spiaggia.
Prima di Carpi, Guidetti con il suo gruppo, formato da cinque tecniche di laboratorio, lavorava all´ospedale di Modena. Anche lì, circa quattromila nuove visite all´anno. Poi, l´opportunità di avere un ambulatorio di vestibologia completo e all´avanguardia, la ristrutturazione, l´apertura più volte rimandata e alla fine l´inaugurazione di questo centro che è diventato un punto di riferimento per la vestibologia internazionale, tanto che ha appena ospitato la Vertigo Academy, con esperti arrivati da tutta Europa, dal Messico e dall´India.
Quello che offre questo centro, infatti, è una specializzazione e un percorso che va dalla diagnosi clinica agli esami di laboratorio fino alla riabilitazione, diversa per ogni paziente. Un percorso che spesso è molto faticoso per i malati, soprattutto la terapia riabilitativa per i più gravi. Stanza dopo stanza sfilano apparecchiature particolari dai nomi impronunciabili: c´è la maschera che consente di registrare i movimenti oculari al buio, le pedane che si muovono in varie direzioni per testare l´equilibrio del malato, la sedia che ruota su se stessa e la telecamera che registra i movimenti oculari quando il paziente segue una serie di stimoli su un pannello. E ancora un´apparecchiatura, simile a quelle che si utilizzano in discoteca, per sottoporre il paziente a immagini stroboscopiche mentre si trova in piedi al buio. Tutte queste apparecchiature, affiancate da altre più comuni utilizzate di solito per testare le capacità uditive o la risposta muscolare agli stimoli uditivi, puntano a “stressare” il malato provocando proprio le vertigini per cercare di individuarne la causa. Quando arrivano al centro – infatti – le descrizioni dei sintomi sono sommarie. Ma dietro a «mi gira la testa», «ho dei capogiri» o «mi sento svenire» ci sono diagnosi completamente diverse.

La Repubblica 02.11.10

“Vertigini, istruzioni per l´uso”, di Elvira Naselli

Quasi sempre la patologia è benigna ma difficile da individuare: non è la paura del vuoto né quella dell´altezza. Le forme più diffuse sono legate agli otoliti, i sassolini che si spostano nell´orecchio provocando rotazioni, nausea e vomito. I rimedi: farmaci e rieducazione vestibolare
Spesso ai malati non si offre una terapia ma il consiglio di imparare a convivere con il disturbo. Che invece può essere affrontato e risolto
Cominciamo con il dire che la vertigine vera non è la paura del vuoto, né dell´altezza, così come non è paura di cadere o la sensazione di ubriachezza. E che soltanto chi ne soffre o ne ha sofferto può capire la paura che colpisce i malati, una paura che impedisce di poter anche solo pensare di poter continuare la propria normale vita quotidiana, fatta di percorsi in auto o scooter, di camminate a piedi, di scale o ascensori. Tecnicamente la vertigine è rotatoria: il malato vede ruotare tutto intorno a sé o si sente lui stesso come infilato nella centrifuga di una lavatrice, con il mondo che gira vorticosamente e il terrore, anche se si è seduti o sdraiati sul letto, di rovinare per terra. E poi, nausea, conati di vomito. Colpiscono a qualunque età, più donne che uomini, possono avere frequenza e durata diversa, possono presentarsi una sola volta o diventare ricorrenti, per esempio nei cambi di stagione. In alcuni casi diventano croniche.
«È una delle patologie più diffuse – racconta Giorgio Guidetti, responsabile del servizio di Audio vestibologia e rieducazione vestibolare dell´ospedale Ramazzini di Carpi – almeno il venti per cento della popolazione mondiale ha un episodio di vertigini nella vita. Il guaio è che spesso ai malati non si offre una vera e propria terapia ma solo il consiglio di imparare a convivere con disturbi che invece sono debilitanti, fisicamente e psicologicamente. È necessario un approccio diverso, una strategia che chiamo “arriba strategy”, perché punta a svegliare alle cellule cerebrali spingendole a compensare e ad adattarsi alle lesioni, che sono sempre alla base delle vertigini vere».
La forma più frequente di vertigini è la labirintolitiasi, ovvero la formazione di microcalcoli che si muovono all´interno dell´orecchio e generano stimoli sbagliati nel labirinto. In genere si guarisce con le manovre liberatorie. In alte percentuali, vicine al 70 per cento, se non ci si sottopone a trattamento le vertigini ritornano, se invece si ricorre alle manovre il rischio scende fino al dieci. Praticamente si guarisce. La buona notizia, infatti, è che, per quanto fastidiose, le vertigini sono una patologia benigna e che solo raramente si nasconde dietro a questo sintomo una malattia più grave, come l´ictus o un tumore cerebrale che una buona visita è comunque in grado di individuare. È l´approccio a essere diverso. «Noi non abbiamo un farmaco nuovo ma un nuovo modo di affrontare la malattia. Non ha senso dare farmaci sedativi per mesi – continua Guidetti – si ottiene soltanto il risultato di ridurre l´attività cerebrale di adattamento. La strategia punta invece a dare dei farmaci per i primi giorni per ridurre i sintomi, lo stress e la paura. E, subito dopo, spingere per l´adattamento, tranquillizzando il malato e cominciando a fargli riprendere la vita normale favorendo il recupero fisiologico e nuovi processi cognitivi e di memoria».
Ma qual è l´approccio del centro di Carpi? «Prima di tutto l´anamnesi – spiega Guidetti – con un´analisi del tipo di vertigini. Poi la diagnostica, con apparecchiature in grado di valutare se il problema è a carico del labirinto o del cervello ed eventualmente ulteriori approfondimenti che, esaminando i movimenti oculari o irrigando il canale uditivo o ancora sottoponendo a rotazione il paziente, ci indicano dov´è la lesione e quanto è grande. Infine la terapia, che può essere farmacologica, chirurgica o riabilitativa».
Tecnicamente quest´ultima si chiama rieducazione vestibolare e viene proposta a quei malati, circa il dieci per cento del totale, che manifestano incapacità ad adattarsi alla nuova condizione della malattia. «È un percorso lungo, una o due ore al giorno di esercizio per una settimana – conclude Guidetti – e già dopo sette giorni ci sono miglioramenti notevoli. I più gravi fanno tre o quattro cicli. E il bello è che funziona sempre».

La Repubblica 02.11.10