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Produttività, l'allarme di Draghi "Occorre stabilizzare i precari"

ll governatore preoccupato per la “difficoltà dell’economia italiana di crescere e creare reddito”. Se non si regolarizzano i rapporti di lavoro, effetti negativi per la crescita. “Nord allineato all’Europa e sud in ritardo? Non è vero”. Produttività, l’allarme di Draghi “Occorre stabilizzare i precari” Mario Draghi, governatore della Banca d’Italia. L’economia italiana è in difficoltà, c’è un problema di crescita e di creazione di reddito, l’occupazione irregolare rimane diffusa, la competitività ridotta: un insieme di fattori che penalizza soprattutto i giovani. Lo rileva il governatore della Banca d’Italia Mario Draghi, secondo cui, prima di tutto, “senza la prospettiva di una pur graduale stabilizzazione dei rapporti di lavoro precari” si hanno “effetti alla lunga negativi su produttività e profittabilità”. Nel nostro Paese, dice Draghi, “rimane diffusa l’occupazione irregolare stimata dall’Istat in circa il 12 per cento del totale dell’unità di lavoro”.

Nel corso del suo intervento al convegno della facoltà di Economia dell’università Politecnica della Marche dedicato all’economista Giorgio Fuà, il governatore ha lanciato l’allarme sulle “difficoltà dell’economia italiana di crescere e creare reddito”, una situazione che, ha detto il governatore “non deve smettere di preoccuparci”. L’Italia, ha rilevato inoltre Draghi, rischia di “trovarsi di fronte a un bivio” tra la stagnazione e la crescita e la situazione penalizza fortemente i giovani.

Per capire “le difficoltà di crescita dell’Italia”, ha proseguito il numero uno di via Nazionale, “dobbiamo interrogarci sulle cause del deludente andamento della produttività. La stagnazione”, ha rilevato, “nel decennio precedente la crisi, è stata uniformemente
diffusa sul territorio. E’ un problema del Paese”. Draghi ha citato quindi i dati che mostrano una “evidente perdita di competitività rispetto ai partner europei”. Il governatore ha inoltre spiegato come non risponda a verità che la diminuzione della crescita del prodotto per abitante “sia media di un Nord allineato al resto d’Europa e di un Centro-Sud in ritardo. Così – ha sottolineato – non è”.

Rispetto ai partner europei, l’Italia, infatti, soffre: “Secondo le stime del Fmi – ha detto Draghi – la quota dell’area dell’Euro nel pil mondiale, pari al 18 per cento nel 2000, a parità di potere d’acquisto, scenderà al 13 per cento nel 2015, mentre quello dei paesi emergenti asiatici raddoppierà dal 15 al 29 per cento per l’aumento del pil per abitante per il mutamento radicale degli equilibri economici mondiali. La nostra economia – ha proseguito – ne risentirà più di altre dato che manifesta da anni una incapacità a crescere a tassi sostenuti; l’ultima recessione ha fatto diminuire il pil italiano di quasi 7 punti. Abbiamo subito un’evidente perdita di competitività rispetto ai principali partner europei”.

Una serie di fattori pesano in modo particolare: l’impegno per le liberalizzazioni, ad esempio, si è interrotto da tempo, ed è un ostacolo allo sviluppo. In più l’Italia soffre da tempo di una incapacità di crescere a tassi sostenuti e di un deludente andamento della produttività.

L’inerzia del Paese pesa soprattutto i giovani, sottolinea il governatore. Gli indicatori internazionali dicono che “gli italiani sono mediamente ricchi” e “sono in gran parti soddisfatti delle loro condizioni”, ma gli stessi indicatori mostrano che “l’inazione ha costi immediati. La ricchezza è il frutto di azioni e decisioni passati, mentre il pil, legato alla produttività, è frutto di azioni e decisioni prese guardando al futuro”, dice ancora Draghi.

Anche la scarsa mobilità sociale e il ruolo chiave della famiglia d’origine condizionano i giovani, più che in altri contesti: “Nel determinare il successo professionale di un giovane, il luogo di nascita e le caratteristiche dei genitori continuano a pesare molto di più delle caratteristiche personali, come il livello di istruzione”. E il legame tra risultati economici dei genitori e dei figli “appare fra i più stretti nel confronto internazionale”, conclude Draghi.

La Repubblica 05.11.10