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"ll Nordest resta una periferia", di Ilvo Diamanti

Continua a piovere nel Veneto. A Caldogno, Cresole, Rettorgole Lobbia. E a Vicenza. Dove il Bacchiglione è esondato a Ognissanti. Ha sommerso case, botteghe, aziende, garage. L´acqua è arrivata improvvisa, violenta e limacciosa. Ha fatto danni pesanti. Alle abitazioni, alle attività, alle cose. Alcune persone sono morte. Migliaia di sfollati. Al proposito ho scritto una Bussola (su Repubblica. it) quasi una settimana fa. In tempo reale. Come alcuni sanno, io abito a Caldogno, anche se il lavoro mi porta spesso – anzi: prevalentemente – lontano. L´alluvione mi ha sfiorato. Si è fermata a pochi chilometri da me. La strada che attraversa Rettorgole e si dirige a Vicenza ora è transitabile. Ma ai lati, ammassate, vi sono ancora le cose – mobili, elettrodomestici e altri oggetti – abbandonate dai residenti. Distrutte dall´acqua e dal fango.
La strada per Cresole, invece, è ancora chiusa. Vi transitano solo i residenti e i mezzi della protezione civile. Prima di arrivare a Ponte Marchese, al confine tra Caldogno e Vicenza, sulla destra si scorge il presidio dei No Dal Molin. Il Bacchiglione non l´ha risparmiato. “Presidia” la base americana, che, intanto, cresce a vista d´occhio.
Oggi quell´area, a differenza di un tempo, non funziona più da bacino dove si scaricano le acque del Livelon (così si chiama il Bacchiglione da queste parti) quando è in piena. È impermeabilizzata, per motivi di sicurezza. Così la “grande onda” è scivolata via, sempre più gonfia. E si è abbattuta su Vicenza senza ostacoli, senza freni, senza limiti. Quando si è capito che l´acqua stava davvero uscendo dall´argine, scavalcava il Ponte degli Angeli, invadeva piazza Matteotti, Santa Lucia e i dintorni: era troppo tardi per difendersi. Ancora oggi il centro di Vicenza è sottosopra. Più sotto che sopra. Al di là dei danni – enormi – alle case e alle cose, l´inondazione ha inferto ferite profonde alle persone. Più che fuori: dentro. I vicentini: hanno perduto tranquillità e sicurezza. Oggi hanno paura dell´acqua. Cioè: di se stessi, del proprio mondo di vita. Perché anche Vicenza, Verona, Padova, Treviso – non solo Venezia – sono città d´acqua. Attraversate da fiumi, rogge, canali. Vicenza e l´area colpita dall´alluvione: galleggiano su un bacino di falde fra i più grandi d´Europa. L´alluvione della settimana scorsa ha suscitato inquietudine. Non che non ce ne siano state altre, prima. Molti ricordano – ed evocano – quella del 1966. Che ha provocato danni minori. E allora aveva piovuto molti giorni, dal 28 ottobre fino al 4 novembre. Questa volta sono state sufficienti 36 ore di pioggia improvvisa, battente e ininterrotta, insieme allo sciogliersi rapido delle nevi nelle montagne vicine (complici lo scirocco e un veloce rialzo della temperatura). Il Livelòn si è trasformato nel Nilo in piena. Inimmaginabile, per me – come per molti vicentini. Anche se, in questi anni, ho visto cose che voi umani…
Un territorio verde: urbanizzato senza limiti e senza regole. Le strade, punteggiate di rotatorie, sempre più numerose. Spesso sorgono isolate, in mezzo ai campi – indicano che lì nascerà, presto, una nuova entità immobiliare. Un nuovo non-luogo abitato da stranieri. (Perlopiù “italiani”; ma stranieri perché estranei l´un l´altro.) E poi capannoni, zone artigianali e commerciali, piscine, centri sportivi. Difficile chiedere ai torrenti di domare piene improvvise e imprevedibili. In molti punti, gli argini non ci sono più. I campi intorno non tengono. Non drenano. Anche perché, di frequente, sono stati “livellati” dai cavatori.
I vicentini temono che un evento come questo possa ripetersi ancora. Se son bastati due giorni di pioggia… Sanno, d´altronde, che, in parte, è il prezzo del successo. Meglio poveri e negletti, in un territorio sicuro e ameno – come trent´anni fa – o ricchi e famosi, ma anche più insicuri e in un ambiente deteriorato – come oggi? Il dilemma non è nuovo. Mai come ora, però, è divenuto tanto evidente, invadente e devastante.
C´è, però, un altro aspetto che ha sorpreso – e spiazzato – i vicentini (e i veneti). Il fragoroso silenzio dei media e della politica nazionale sul disastro che si abbatteva su di loro (noi). Il mitico Nordest. Nei giorni critici: relegato a pagina 20 dei quotidiani e a metà telegiornale. In coda ad Avetrana, ai rifiuti di Napoli, Ruby e gli scandali di Silvio. Per scomparire in fretta, all´indomani.
Così i veneti e i vicentini hanno scoperto che la loro immagine, il loro rilievo – in una parola: la loro “rappresentanza” – non sono migliorati negli ultimi 20 anni. Nonostante siano divenuti la capitale della piccola impresa e del lavoro autonomo. Il modello dell´”Italia che lavora e che produce”. Nonostante siano andati al governo, insieme ai loro partiti di riferimento: il PdL e soprattutto la Lega. Nonostante abbiano eletto governatore Luca Zaia, con il 60% dei voti. Un plebiscito. Per diventare indipendenti come la Catalogna e la Baviera. Nonostante tutto questo, Vicenza, il Veneto, il Nordest non fanno notizia. L´alluvione (scrivevo una settimana fa su Repubblica. it) appare una “tragedia minore che si consuma in una provincia minore. Non merita inchieste. Al massimo una cronaca. Minore.”
Alcuni lettori mi hanno scritto per lamentare altre tragedie rimosse. L´Italia è costellata di tragedie minori – dimenticate. Ma il Nordest, il Veneto, Vicenza: pensavano di essere diventati grandi. Un Centro. Non è così. Sono ancora Periferia. Romana e padana. Dove i leader romani e padani – Berlusconi e Bossi – si recano (oggi) quando tutto è finito. Quando l´acqua è rientrata nei fiumi. (Per ora.) Resta il fango nelle strade e nelle case. Rammenta che siamo ancora una terra di confine.