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"Una tradizionale famiglia italiana", di Daniela Del Boca e Chiara Saraceno

Per ora è solo un documento di intenti, ma “Verso un piano nazionale per la famiglia” indica gli strumenti per fornire un sostegno a chi ha figli o ha famigliari non del tutto autosufficienti: riforma del fisco, espansione dei servizi, costruzione di reti di solidarietà locali. Senza però far cenno a risorse o priorità. E in una visione tutta ideologica della famiglia, riconosciuta come tale solo quando è eterosessuale e basata sul matrimonio, mentre rimane indifferente di fronte ai cambiamenti e alla pluralizzazione dei modi di fare famiglia.

“Verso un piano nazionale per la famiglia”, presentato in questi giorni a Milano, alla Conferenza nazionale per la famiglia, è, per ora, solo di un documento di intenti, preparato dall’Osservatorio nazionale sulla famiglia. Per diventare un vero documento programmatico dovrà, con eventuali emendamenti a ogni passaggio, passare al vaglio e alla approvazione delle varie istituzioni coinvolte: ministeri, Conferenza Stato-regioni, probabilmente anche Anci, prima di arrivare al Consiglio dei ministri ed eventualmente al Parlamento. Nel corso di questi passaggi, dovranno anche essere stabilite priorità e modalità di copertura finanziaria, al momento del tutto assenti.

QUALE FISCO PER LE FAMIGLIE

Stando così le cose, si può solo cercare di coglierne la logica, vedere quali sono gli strumenti almeno idealmente individuati per fornire un sostegno a chi ha figli o ha famigliari non del tutto autosufficienti. Questo, e solo questo, è infatti il perimetro degli obiettivi formulati dal piano. All’interno di un’esposizione spesso farraginosa, carica di inglesismi inutili, con una tendenza alla costruzione di macchine burocratiche a ogni passaggio, possiamo individuare sostanzialmente tre direzioni di intervento: a) una riforma del fisco e dei trasferimenti di reddito alle famiglie che privilegi quelle con figli (purché i genitori siano sposati, però, il che apre una questione non solo di equità, ma di legittimità costituzionale dal punto di vista dei diritti dei figli); b) l’espansione dei servizi per primissima infanzia e per gli anziani non autosufficienti; c) l’attivazione di reti di solidarietà locali.
La prima è sicuramente la proposta più innovativa, anche se non del tutto definita. Vengono infatti proposte tre alternative: riforma degli assegni al nucleo contestualmente a un aumento delle deduzioni di imposta, deduzioni fiscali corrette e quoziente famigliare corretto. Viene espressa una preferenza per la terza, nonostante comporti, tra l’altro, la necessità di passare dal sistema di tassazione individuale al sistema di tassazione famigliare, con i rischi di disincentivazione che ciò comporta per il secondo percettore di reddito, di solito la moglie. (1)
Non è chiaro, inoltre, il rapporto tra queste tre proposte e quella avanzata dal Forum delle famiglie, che pure fa parte dell’Osservatorio che ha redatto il documento. Il Forum propone il cosiddetto Fattore famiglia, ovvero un livello di reddito non imponibile oltre il quale l’imposta viene calcolata partendo dall’aliquota dello scaglione cui comunque appartiene il reddito dichiarato, unitamente a una imposta negativa per i redditi incapienti. Il Fattore Famiglia potrebbe, ma non è affatto chiaro, coincidere con la seconda alternativa, le deduzioni famigliari corrette. Rimandiamo alle puntuali osservazioni di Claudio De Vincenti e Ruggero Paladini su www.nelmerito.it per una analisi dei rischi contro-distributivi di questo approccio. (2)

PASSO AVANTI SUI SERVIZI

Per quanto riguarda la proposta di espansione dei servizi, il documento rappresenta un indubbio passo avanti sia rispetto al Libro bianco sul welfare, che rispetto al documento Carfagna-Sacconi “Italia 20-20”, sulla conciliazione. Non ci si limita infatti a evocare la solidarietà intergenerazionale, una alleanza tra madri e figlie che vivendo vicine si aiutano vicendevolmente. Al contrario, soprattutto nel caso dei bambini in età pre-scolare, si insiste sulla necessità di una espansione dei servizi. L’espansione, tuttavia, specie in mancanza della individuazione di risorse certe, è di fatto lasciata tutta al mercato, in varie forme: nidi aziendali, micro-nidi, nidi in famiglia o condominiali, educatrici famigliari e accompagnatrici e così via, più o meno sostenuti da voucher distribuiti dalle Regioni (anche qui, non è chiaro con quali fondi).
Manca, per altro, l’indicazione che i servizi per l’infanzia dovrebbero rientrare nei livelli essenziali dei servizi e manca, soprattutto, una riflessione sulla qualità e la dimensioneeducativa dei servizi per la prima infanzia, che non può essere garantita nello stesso modo da questo insieme variegato di servizi. È una riflessione avviata da tempo dall’Ocse, dalla Unione Europea e anche in Italia, di cui qui non vi è traccia. (3)
Forse perché si vuole, come è scritto, “investire sulla famiglia”, non sugli individui, in primis i bambini. Bambini le cui necessità di cura, sorveglianza, organizzazione del tempo, per altro scompaiono una volta superati i tre anni. In particolare, nulla si dice degli orari delle scuole dell’obbligo, forse per non entrare in rotta di collisione con il ministro Gelmini.(4)
Ancora più problematico il discorso per quanto riguarda la non autosufficienza. Mentre si dà atto che le famiglie non possono essere abbandonate a sé stesse, sembra che i servizi vadano organizzati solo per quelle persone non autosufficienti che non hanno una famiglia su cui contare. I famigliari con responsabilità di cura, invece, potranno contare al massimo su qualche consulenza, magari psicologica e qualche giorno o settimana di “ricovero di sollievo”. Più ancora della cura dei bambini, la cura degli anziani rimane un “affare di famiglia”, o meglio di donne nella famiglia.
Viene infine mutuata dall’Unione Europea (e prima ancora dalla Germania che fu la prima ad attivarle) l’indicazione di costituire “alleanze locali per le famiglie”. O meglio, nella versione italiana, “per la famiglia”, al singolare, tanto per ribadire che secondo questo documento ne esiste un solo tipo legittimo e gli altri tipi possono accedere alle politiche e ai sostegni solo se “bisognose” o in difficoltà. Si tratta di creare reti di attori locali, pubblici e privati, che cooperano sul piano organizzativo per costruire un ambiente favorevole a chi ha responsabilità famigliari. Forse quest’ultima direzione è l’unica del piano che ha qualche possibilità di essere realizzata, se esistono a livello locale le necessarie disponibilità culturali, politiche, organizzative, dato che non impegna finanziariamente né Stato né Regioni. Ne esistono già esempi, al di là di quello trentino segnalato dal piano. Il rischio è che, come su altre cose, ci siano Italie non solo a diversa velocità, ma che vanno in direzione opposta.

UNA SOLA FAMIGLIA

All’apertura della conferenza, nei discorsi di Maurizio Sacconi (ministro del Welfare) e Carlo Giovanardi (sottosegretario alla Famiglia) il target di queste politiche si chiarisce e si delimita: solo coppie regolarmente sposate con figli. Una visione tutta ideologica della famiglia, che la riconosce solo quando è eterosessuale e basata sul matrimonio e rimane indifferente di fronte ai cambiamenti e alla pluralizzazione dei modi di fare famiglia, anche con figli, documentata anche in Italia dai dati statistici: coppie di fatto etero e omosessuali, genitori soli, famiglie ricostituite in cui i figli non sono, o non tutti, della coppia con cui vivono e talvolta pendolano tra una famiglia e l’altra. Una visione che tratta tutte queste altre famiglie come devianti, non come modi legittimi di esprimere amore e solidarietà e di farsi carico di altri, perciò meritevoli di sostegno.

(1) C. Saraceno, “Alcune considerazioni in tema di quoziente famigliare”.
(2) C.DeVincenti e R.Paladini, “Al di là del quoziente familiare”.
(3) Si veda, rispettivamente, Oecd, “Starting Strong: Curricula and pedagogies in Early Childhood Education and Care”, Paris, Oecd. E Del Boca D. Pasqua S. “Esiti scolastici e comportamentali, famiglia e servizi per l’infanzia”. Rapporto Fondazione Agnelli forthcoming 2010.
(4) Saraceno C., “Non è solo questione di maestro unico”.

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