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"L'abuso mediatico delle donne", di Giovanni Valentini

Fra i tanti abusi di potere commessi da Silvio Berlusconi sul palcoscenico o dietro le quinte dei suoi scandali sessuali, dal caso Noemi al caso D´Addario fino al più recente caso Ruby, il più grave o comunque il più odioso è quello perpetrato contro le donne. Non solo e non tanto ai danni delle fanciulle, più o meno giovani e avvenenti, delle quali è stato – per usare un´espressione assai infelice del suo avvocato Nicolò Ghedini – l´«utilizzatore finale». Quelle, cioè, che gli hanno concesso le proprie grazie o hanno ceduto alle sue lusinghe in cambio di denaro, regali, favori o magari promesse, poi peraltro non sempre mantenute.
Ma piuttosto di tutte le donne: adulte e minorenni, sposate e nubili, belle e brutte, alte e basse, bionde, brune e rosse, che costituiscono l´universo femminile e quindi un soggetto sociale collettivo. Insomma, le nostre madri, mogli, fidanzate, sorelle, figlie o nipoti. L´«altra metà del cielo», come le definiva Mao.
L´abuso di potere contro le donne è innanzitutto quello che, sul piano mediatico, la televisione – e non solo quella commerciale – consuma da 25 anni a questa parte: dal “Drive In” al bunga-bunga. E fa dire a un top manager italiano, con una lunga esperienza di lavoro all´estero, di non aver mai visto in nessuna tv del mondo tante donne mezze nude, nei panni succinti delle vallette o delle veline, perfino nei programmi della fascia pomeridiana.
Già questa è un´offesa all´immagine e alla dignità delle donne. Perché strumentalizza e mercifica il loro corpo. Le usa e ne abusa, appunto, al limite dello sfruttamento.
Ma produce anche un danno sociale diffuso perché, come osserva Richard Layard nel suo libro intitolato Felicità, la televisione «ci porta ad alzare i nostri standard di confronto e valutazione, modificando i criteri di cui ci serviamo per giudicare il nostro reddito o anche il nostro coniuge». Rispetto ai parametri o ai modelli proposti da questa «fabbrica dei sogni», non basta più niente, tutto si riduce a una realtà più modesta e insoddisfacente: dal denaro al sesso, appunto.
È una forma di violenza strisciante che trasforma la donna, da compagna da corteggiare e magari da conquistare, prima in oggetto del desiderio e poi in merce da comprare o addirittura in preda da catturare. A qualsiasi costo. Con i soldi, con le promesse o i ricatti sul lavoro e nei casi più estremi con la violenza, come purtroppo accade perfino nella cerchia familiare.
Evidentemente, le responsabilità non sono soltanto della televisione commerciale. Vanno distribuite fra tutti i mass media, giornali, pubblicità, cinema e anche Internet. E ognuno di noi, operatori della comunicazione, è chiamato – per la parte che lo riguarda – a fare autocritica.
Ma il peggior abuso contro le donne Berlusconi lo consuma verso la collettività femminile quando esercita il proprio potere – istituzionale, mediatico ed economico – per cercare di ottenere i loro favori o le loro prestazioni sessuali. Con l´autorità carismatica del capo del governo, incarna così un modello (negativo) per chissà quanti capi o capetti che si sentono autorizzati o legittimati a seguire il suo (cattivo) esempio, pretendendo altrettanto dalle loro segretarie, impiegate e collaboratrici o aspiranti tali. O addirittura, a insidiare le compagne dei loro dipendenti.
È il paradigma di un malcostume diffuso che certamente non comincia oggi e non comincia né finirà con Berlusconi; ma trova in lui un demiurgo, un profeta, un protagonista assoluto proprio a causa del potere abnorme che si concentra nelle sue mani. Manca solo di tornare a quello “ius primae noctis” in forza del quale il feudalesimo attribuiva al Signore di turno, in occasione del matrimonio di un servo della gleba, il diritto di consumare la prima notte di nozze con la sposa. E dire che, nell´Italia del berlusconismo in agonia, tutto ciò si fa in nome del cosiddetto “partito dell´amore”.