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"Ripartire dallo sviluppo", di Raffaella Cascioli

Il Pd parla alle forze produttive del paese. Imperterrito, cocciuto e fors’anche irremovibile il Pd continua a parlare dei problemi – e non sono pochi – di chi ogni giorno, in Italia, lavora e produce. Nonostante la crisi politica che sta paralizzando l’Italia. Anzi, oltre la crisi politica. O meglio per far fronte a una crisi economica, che è anche sociale e di rappresentanza, oggi il Pd incontrerà le parti sociali.
Un faccia a faccia, in programma da tempo, tra una delegazione guidata dal segretario Pierluigi Bersani – composta dal vicesegretario Enrico Letta, dai capigruppi del Pd alla camera e al senato Dario Franceschini e Anna Finocchiaro, dal responsabile economico Stefano Fassina – e le associazioni di imprenditori e lavoratori. Un pomeriggio per parlare di lavoro e nuovo patto sociale, di riforma del patto di stabilità interno e di riforma del fisco. Ma, anche, inevitabilmente, di una Finanziaria che non guarda al paese: a cominciare dall’incapacità dell’esecutivo di riconfermare l’annunciata proroga del 55 per cento dell’ecobonus sulle spese per le ristrutturazioni edilizie volte al risparmio energetico. Oltre al mancato stanziamento dei 300 milioni di euro promessi per quanti, nelle regioni alluvionate, hanno perso il lavoro o avuto i macchinari danneggiati. All’incontro parteciperanno, tra gli altri, il presidente di Confindustria Emma Marcegaglia, di Rete impresa Italia Carlo Sangalli, di Legacoop Giuliano Poletti, di Confcooperative Luigi Marino, i rappresentanti dell’Abi, e i tre segretari confederali Susanna Camusso (Cgil), Raffaele Bonanni (Cisl) e Luigi Angeletti (Uil).
Di fronte a un mondo produttivo che chiede certezze ma anche responsabilità, il Pd spiegherà in quale direzione serve una ripartenza. Ripartenza che può e deve essere anche inclusione e non divisione. A cominciare da un nuovo patto sociale che per Bersani & Co. deve poter declinare una nuova stagione di confronto tra tutti i soggetti. «Stiamo cercando – ha spiegato Stefano Fassina – di contribuire a ricomporre un quadro di relazioni industriali che, con l’assenza del governo, è giunto finora ad ottimi risultati visto che ai tavoli si sono raggiunte intese interessanti». Dall’opportunità di una ricomposizione dell’unità delle forze produttive a proposte alternative per una stagione di sviluppo. Infatti, il Pd guarda anche e soprattutto alla necessità di rilanciare una nuova politica industriale (che riprenda la direzione di Industria 2015) e a rimuovere il vantaggio di costo della precarietà.
La necessità di una riforma complessiva sui temi del lavoro che vada in una direzione diversa dallo statuto dei lavori di Sacconi sarà al centro dell’intervento di Bersani di oggi. Un segretario che opporrà alla precarietà la flessibilità, che sottolineerà la necessità di arrivare a definire una legge della rappresentanza, che insisterà sul nuovo modello contrattuale, che porterà la discussione sulla necessità di riformare il patto di stabilità interno e sull’opportunità per i comuni virtuosi di rilanciare quella miriade di piccole opere in grado di creare occupazione. E sulla riforma fiscale Bersani insisterà sulla necessità di rifondare i rapporti tra amministrazione finanziaria e cittadini-contribuenti secondo la formula del 20-20-20 che vede nell’aliquota del 20 per cento il riferimento per la tassazione di tutti i redditi.
In un momento in cui la preoccupazione delle forze produttive del paese (Marcegaglia in testa: «È un momento difficile e il paese deve essere governato») è massima e in cui i conti pubblici fotografati da Eurostat mostrano tutta la vulnerabilità del Belpaese di fronte alla crisi dei debiti sovrani, la necessità di mantenere la barra dritta c’è. Il Pd non si tira indietro e come forza responsabile, temporaneamente all’opposizione, cerca il confronto per interpretare il futuro del paese.

Da Europa Quotidiano 16.11.10

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“Gli audaci contro i bari”, di David Sassoli

Nel fumoso saloon Italia, dove la tensione è palpabile, ogni mossa non passa inosservata e in tanti sono pronti a mettere mano alle pistole, è in corso una grande partita. Una di quelle di cui si parlerà a lungo. Miguel Gotor, domenica sul Sole 24 Ore, ha descritto bene la scena e le psicologie dei giocatori.
Vincerà il baro o il più audace? Perderà chi rilancia oppure finirà pari e patta con la posta che resterà sul tavolo in attesa del prossimo giro?
Con le dimissioni dal governo delle delegazioni di Futuro e libertà e dell’Mpa la crisi è ormai certificata, un ciclo politico ha consumato l’idea di un bipolarismo nato male, e siamo entrati in una fase di passaggio che potrebbe consentire un sistema più maturo e condiviso.
Nel nostro paese, i cambiamenti delle stagioni politiche hanno alcuni tratti in comune fin dall’alba della repubblica. Li ritroviamo, ad esempio, nelle scelte avvenute al congresso di Napoli della Dc nel 1962 e in quella stagione di svolta, nella seconda metà degli anni Settanta, passata sotto il nome di solidarietà nazionale.
La storia naturalmente non si ripete e i “cicli” sono molto diversi fra loro. Ogni volta, però, si è trattato di passaggi stretti, nel tentativo di riuscire a dare forma a prospettive nuove, usando con realismo il materiale a disposizione senza pregiudizi e condizionamenti. Se si fosse andati al voto prima della nascita del centrosinistra, l’accordo fra Dc e Psi non sarebbe avenuto. Il dissenso dei “centristi” – in questo vi è una straordinaria analogia con l’attuale situazione politica – riguardava l’alleanza con un partito che si era mostrato il più “radicale” nello schieramento frontista del dopoguerra.
Il ricordo di un Partito socialista che non aveva votato, a differenza del Pci, l’articolo 7 della Costituzione sul Concordato era ancora vivo nel mondo cattolico e in larghi settori imprenditoriali.
Anche oggi le forze che concordano sul cambiamento arrivano da percorsi lontani, fino a ieri inconciliabili. D’altronde, soltanto l’incontro con chi è stato più lontano può consentire l’apertura di una fase nuova.
Cos’altro implica la laicità in politica, se non l’incamminarsi con compagni di strada a cui non chiedere loro da dove arrivano, ma solo dove vogliono andare? La metafora del tavolo da poker, in questo caso, rischia di far sembrare la soluzione della crisi del governo Berlusconi alla pari di un normale scontro parlamentare e di una lotta di palazzo.
Non vi è solo tattica, invece, in questo autunno del berlusconismo ma, al contrario, la possibilità di abbandonare quell’anomalia di sistema per ristabilire la centralità costituzionale. È come il risveglio da un sogno che ci aveva fatto credere di essere diventati un paese normale, perché anche noi, al pari degli altri, avremmo potuto dire di avere una destra e una sinistra, partiti meno ingombranti e una democrazia compiuta. Così non è stato e ora occorre ricominciare, con la consapevolezza di aver scomposto senza essere stati capaci di ricomporre, ritrovandoci con un “bipolarismo zoppo” che ha consegnato il paese a una destra populista e padronale.
Berlusconi è stato la continuità di questa lunga stagione, non l’anomalia. Anche vasti settori delle élite democratiche ne portano la responsabilità, convinti che fosse sufficiente organizzare il proprio campo per condizionare lo schieramento avverso. Con una destra populista e non europea, invece, il bipolarismo italiano si è popolato di cowboy svelti di mano e di pistola. Lo strappo avvenuto nel centrodestra con la nascita del terzo polo è ora la condizione per avviare una nuova fase costituente. Lo diciamo non senza rimpianti, ma con la consapevolezza che la vita della repubblica, la condizione sociale del paese, la ricostruzione a cui i democratici sono chiamati ad impegnarsi non consentono subordinate. Ecco perché la soluzione della crisi va ben al di là di un consueto passaggio parlamentare.
Senza enfasi, questa stagione è davvero il termometro della nostra responsabilità. E l’occasione per il paese di uscire da una lunga transizione per riuscire a vivere una stagione bipolare all’insegna di regole comuni. Occorre avere chiaro cosa dipende da noi e cosa dipenderà dagli altri. Al Pd l’incontro con le aspirazioni che sono emerse nel centrodestra, di liberarsi dalla deriva populista e dalle nostalgie autoritarie, imporranno capacità di tenuta sui valori ideali e una sapiente duttilità. Sarà un vero esame di maturità.
Come altre volte è accaduto, i passaggi sono delicati e pieni di insidie, perché in quel saloon fumoso e carico di tensione potrebbe anche accadere che qualche pistolero decida di non giocare più e sia tentato di rovesciare il tavolo. Nei film quando il cattivo è in difficoltà finisce così…

da Europa Quotidiano 16.11.10