cultura

"Saviano non fa politica: è politica. Da Fazio è nato qualcosa di nuovo", di Daniele Bellasio

«Nel momento in cui ognuno di noi non fa il male sta facendo arretrare loro e sta forse (sospiro, ndr) sognando un’Italia diversa» dice Roberto Saviano. Nella duratura e in fondo amorevole convivenza molto italiana tra televisione e politica la trasmissione di Saviano e Fabio Fazio è un piatto che si rompe e una porta che si sbatte, qualcosa di nuovo. Sembra il finale de La febbre del sabato sera, con John Travolta, soltanto che questa volta dietro al protagonista che esce per strada sorridente, dicendo di voler andare a conquistare il mondo, c’è il 30% di share. Commentarla con gli strumenti della critica televisiva sarebbe come far spiegare un’azione di Ibrahimovic a un professore di glottologia. No, il suo italiano non è fluente, quello di Ibra, s’intende, ma il risultato che conta è un altro.

Vieni via con me è un avvenimento politico, non una trasmissione televisiva, anzi è il primo avvenimento politico post televisivo. Perché «tutti i grandi eventi di verità sono politici», spiega Angelo Guglielmi, critico letterario e storico direttore di Raitre. Il segreto è «avere un grande raccontatore alle prese con la realtà del nostro presente. Anche prima serpeggiava una consapevolezza sull’oggi – continua Guglielmi – ma per la prima volta questa consapevolezza viene manifestamente e serenamente espressa. Tutto questo sorprende un telespettatore abituato a un linguaggio coperto o che dice sempre altro».

Certo, i tempi non sono perfetti per la tv, anche perché semmai il tentativo è quello di fare del teatro in televisione, ma esiste scelta di tempo migliore per portare tutto ciò in prima serata? Sembra che non sia la trasmissione ad adeguare ospiti e idee alla crisi politica, quanto piuttosto viceversa. «E chi di televisione ferisce – dice Alessandro Campi, politologo vicino al presidente della Camera, Gianfranco Fini – di televisione perisce. Mi scuso per la battutaccia, ma siamo di fronte al contropotere antiberlusconiano che si è organizzato in forma efficace. La novità è che non è la solita trasmissione antiberlusconiana, ma una narrazione che ha molto a che fare con il clima di svolta dell’oggi e che catalizza le masse».

Così se Fini e Pierluigi Bersani sono scrutati con gli occhi del critico appaiono ovviamente impacciati, il presidente della Camera che si tocca gli occhiali nervoso e il segretario del Pd che ormai senza maniche arrotolate sembra appena stato a un matrimonio o, visti i subbugli interni al partito, a un funerale. Sono impacciati perché sono leggitori di elenchi tra leggitori di elenchi, cittadini comuni: nemmeno primi tra pari, pari e basta, anche se non è così fuori di lì. Sono come dentro la cabina delle primarie: dove un voto è un voto, è un voto… Anche l’avvocato Giuliano Pisapia, del resto, non ha grandi tempi televisivi.

Il problema della lentezza è quindi, come si suole dire, fuori tema. Vieni via con me è, fin dal fatto che mancano perfino le sedie – come ha notato Paolo Rossi – figuriamoci le poltrone, l’anti Porta a porta. Se la trasmissione di Bruno Vespa è la terza camera, se Anno zero di Michele Santoro è l’arena dove duellano i politici azzannati dalle piazze in collegamento, gli elenchi di Saviano e Fazio sono come le primarie: loro leggono liste, tu scegli che cosa portarti nel futuro. Sono come le primarie, ovviamente con un’affluenza ben maggiore, anche nella composizione del pubblico: con il 50% e passa di spettatori tra i 35 e i 54 anni, e il 57% tra i laureati, però anche con picchi del 34% tra chi ha tra i 20 e i 24 anni. Poi al bar e in metropolitana ne parlano tutti e sul web impazza il numero dei commenti (vedi www.ilsole24ore.com).

Anche se Fazio ironicamente lo dice soltanto dopo 55 minuti di diretta: «Adesso parliamo di politica…», la novità è che non parlano di politica, lo sono. «È proprio così, sono talmente d’accordo – dice Carlo Freccero, direttore di Rai Quattro – che ho scritto un articolo per l’Espresso per spiegarlo: un programma vince perché risponde alle esigenze del paese». Politica post televisiva, chi non è lì è come se non fosse in politica. C’è perfino lo sberleffo di Cetto Laqualunque, Antonio Albanese, a confermarlo: «Io sono la realtà, voi la fiction».

Il Sole 24 Ore 17.11.10