economia, lavoro

"Le due Italie di un lavoro nella crisi", di Bruno Ugolini

È forse la prima indagine che si occupa dei danni arrecati dalla crisi. È apparsa sotto il titolo “Come cambia il lavoro” (a cura di Mimmo Carrieri e Cesare Damiano, Ediesse) ed è stata costruita, sulla base delle risposte (settembre-novembre 2009) provenienti da 5.500 interpellati. È il seguito di un’altra inchiesta risalente al 2003. Che cosa è cambiato in questi sette anni? Un deterioramento della condizione materiale dei lavoratori – spiega Emilio Gabaglio, presidente Forum lavoro del Pd – e un diffuso senso di insicurezza sociale. Mentre al sindacato si chiede più che unità (forse per una sorta di avvilimento) “contrattazione, competenza”. Due parole chiave, come per dire: datevi da fare subito, magari senza perder tempo su “trattativa si, trattativa no”. C’è la dinamica negativa dei salari ma anche dell’organizzazione del lavoro (i saggi di Marcello Pedaci). Il 44,9% dei lavoratori indica un’alterazione della condizione economica della propria famiglia negli ultimi anni. È progressiva l’intensificazione del lavoro, attraverso la saturazione dei tempi, l’accorciamento delle pause, l’aumento dei ritmi. Con più ampia diffusione di stress e disturbi psicofisici. Mentre la scarsa valorizzazione del lavoratore genera demotivazione, disinteresse, noia, monotonia e quindi bassa produttività. Interessante la parte riguardante i lavori atipici e precari a cura di Elena Persano. E’ il popolo dei flessibili sottoposti alla “flex-Insecurity”. E ai quali spesso piace il lavoro che fanno ma vorrebbero diritti, arricchimento professionale e cambiamento, non marginalizzazione. Come si traduce questo stato di cose rispetto alla politica, rispetto alle opzioni del centrosinistra? Anche qui c’è stato un peggioramento, annota Mimmo Carrieri. I protagonisti dell’indagine rifiutano le posizioni estreme, ma lamentano un “riformismo fragile”. E sembrano scaturire due “Italie del lavoro”. Una che condivide, appunto, una “ragionevolezza riformista” ma con connotati di incertezza e indecisione, composta da lavoratori non sempre giovani, con titoli di studio più elevati, meno sensibili a chiusure corporative e arroccamento. Un’altra parte con caratteristiche più difensive, spesso occupati in attività più manuali e che vivono il lavoro più come problema che certezza. La prima Italia del lavoro è maggiormente attirata dal centrosinistra. La seconda dal centrodestra. È il segnale di “uno smottamento culturale ulteriore”. Emerge, osserva Carrieri, l’incapacità del centrosinistra di fare del lavoro e dei lavoratori “un asse fondamentale”. Più di un terzo degli intervistati dichiara di non essere politicamente tutelato. Un libro che i dirigenti del Pd dovrebbero tenere sul comodino. Una sferzata che si spera abbia effetto. Emilio Gabaglio sostiene che si è cominciato a fare. Ovverosia si è cominciato a “raccogliere la sfida” per avanzare “un progetto complessivo”.

L’Unità 22.11.10

******

“Un lavoro per trenta giorni. Le imprese navigano a vista”, di Luigina Venturelli

La ripresa ha il fiato corto. Le aziende si muovono con i passi piccoli e prudenti di un paziente convalescente che prova nuovamente ad affacciarsi sul mercato nonostante il timore di una possibile ricaduta nella crisi, sempre pronte in caso di necessità ad una veloce retromarcia per tornarsene al riparo dei tagli facili e dei costi flessibili. Per l’occupazione, va da sé, c’è ben poco da festeggiare. Gli ultimi dati ufficiali di Assolavoro – l’associazione nazionale di categoria delle agenzie per il lavoro – parlano di una crescita del mercato del 24-25%, ma si tratta di una crescita instabile, sensibile ad ogni spirar di vento. Almeno sul fronte dei lavoratori, che si vedono offrire contratti in somministrazione dalla durata media di 34 giorni, inferiore del 40%circa alla durata media di quelli proposti nel 2008, prima che il crack finanziario internazionale mandasse in fumo le vecchie certezze dell’economia nazionale. «Le imprese hanno asciugato tutti i costi fissi ed oggi, in caso di temporanei picchi produttivi dovuti all’incremento degli ordinativi, fanno un utilizzo massiccio della flessibilità per i livelli lavorativi di basso profilo » spiega l’amministratore delegato diManpowerItalia, Stefano Scabbio. Dipingendo un quadro che, se rassicura rispetto al recente passato visto che «per tutto il 2009 i contratti offerti si aggiravano sulle due settimane », crea non poche preoccupazioni per i mesi a venire: «La ricerca di personale qualificato di livello medio-alto, soprattutto quadri e dirigenti che abbiano anche competenze tecniche, ad esempio ingegneri con capacità di vendita, è cresciuta del 30% dallo scorso mese di luglio. E si tratta quasi sempre di contratti a tempo indeterminato. Ma per la parte più meccanica della produzione le aziende scelgono il lavoro in somministrazione».
UN MERCATO DEL LAVORO BIFRONTE La politica delle imprese italiane prefigura, dunque, una forbice sempre più allargata tra professionisti qualificati, ben pagati e inquadrati, e lavoratori generici destinati a passare continuamente da un contratto interinale ad un altro. «Le aziende pensano di aver bisogno di una flessibilità sempre maggiore per poter sopravvivere» sottolinea Marco Ceresa, direttore generale di Randstad Italia. «Per questo le loro strategie sono sempre più di breve periodo: vedono un consumatore erratico nelle proprie scelte, sensibile alle mode in cambiamento di un mondo globalizzato e iperconnesso, e cercano di agire in tempi stretti. Evitando di legarsi a costi di lungo termine». Ecco spiegato perché, nonostante la ripresa del mercato del lavoro dimostrata dagli incrementi a doppia cifra delle società di servizi per l’impiego, le migliaia di lavoratori che da mesi si trovano in cassa integrazione non sono ancora rientrati sulle linee di produzione, e presto dovranno affrontare la scadenza degli ammortizzatori sociali. «La timida crescita economica in corso non avrà purtroppo un grande impatto sull’occupazione», prevedeAndrea Malacrida, direttore commerciale di Adecco Italia, che nel terzo trimestre 2010 ha registrato un incremento dei ricavi del34%edutili per 10 milioni di euro. «Le stime per il 2011continuano ad essere positive, ma l’economia si trova ancora ben lontana dai livelli del 2007-2008. Lo dimostra il settore metalmeccanico, che pure rappresenta il 25% delle ricerche di personale attualmente in corso, soprattutto per figure specializzate, ma che certo non può dirsi stabilmente avviato alla ripresa». Per i lavoratori – su questo convergono le analisi delle società interinali e dei sindacati – l’unica strada percorribile è quella della formazione e riqualificazione professionale. Sempre che il fiato corto delle aziende offra loro sufficiente respiro per reinserirsi nel ciclo produttivo

L’Unità 22.11.10