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"Donne violenza e silenzi di governo", di Roberta Agostini e Federica Mariotti

Sono passati più di 30 anni da quando per la prima volta una telecamera entrò in un’aula
giudiziaria nella quale si svolgeva un processo per stupro. Era il 1978, il documentario
venne poi trasmesso in televisione e ci mostra che sul banco degli imputati siede soprattutto la donna che, spiegano gli avvocati, con il suo comportamento avrebbe istigato i violentatori.
Da allora molte cose sono cambiate. Ci sono volute le battaglie delle donne, nelle istituzioni e fuori, a cambiare ciò che un tempo era dato per scontato, nominare la violenza e la prevaricazione, fino ad approvare, nel 1996, la legge che trasforma la violenza da delitto contro la morale a delitto contro la persone. Oggi però non possiamo ancora dire che le donne abbiano vinto. L’Istat ci consegna una radiografia impressionante del problema: 14 milioni di donne vittime di violenza, 7 milioni di stupri e abusi, di queste un milione e 400 ragazze, nel solo 2006 un milione e 150.000. Chi sono gli autori di queste violenze? Nella maggior parte dei casi mariti, parenti, amici, anche se spesso a fare notizia sono le violenze per strada che si caricano di una valenza simbolica: il degrado, gli stranieri, l’immigrazione.
Dobbiamo ancora fare grandi passi avanti verso città più sicure, pene certe e processi rapidi. Ma in primo luogo riconoscere che la violenza non è semplicemente un’eccezione, una devianza accidentale. È qualcosa di più: è la manifestazione estrema e inaccettabile
di una cultura di sopraffazione, di una discriminazione profonda delle donne, di una incapacità di accettare la loro libertà e autonomia. Dobbiamo interrogare gli uomini perché il problema della violenza riguarda loro per primi. A poco serve militarizzare il territorio se non costruiamo il giusto sistema di relazioni, attraverso una operazione di prevenzione a partire dalle scuole e nelle famiglie, attivando l’intera comunità,
dando risposte sul piano sociale. Dagli anni ’80, da quando le associazioni diedero vita ai primi centri antiviolenza, sono stati gli enti locali ad essere in prima linea. Di fronte adunfenomeno così drammaticamente evidente, questo governo non ha messo in campo nessuna strategia, neppure di sostegno ai numerosi centri che oggi sono a rischio chiusura. Noi continuiamo a credere – e con questo impegno abbiamo lavorato
nella precedente esperienza di governo e nelle istituzioni locali e nazionali – che per battere un fenomeno vasto e drammatico come la violenza sia necessario un piano d’azione che preveda risorse certe, un osservatorio, strategie di prevenzione, sostegno alla rete dei centri. Vogliamo che il 25 novembre possa rappresentare l’occasione perché il Pd, insieme alle realtà sociali e civili, rilanci con forza il suo impegno su una battaglia che riguarda i diritti, la libertà, la cultura e le relazioni umane e civili del nostro Paese.

L’Unità 24.11.10

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Donne uccise da uomini,115 nel 2010 L’allarme: «Femminicidi in aumento»
Chi sono gli omicidi? Secondo i dati del 2009, per il 36% i mariti, per il 18% partner o conviventi, per il 9% ex.

Sono 115 le donne uccise in Italia nel 2010 da uomini. Un numero in crescita rispetto agli ultimi anni. A lanciare l’allarme è la Casa delle donne di Bologna, che definisce queste vittime «donne uccise in quanto tali».

Secondo i dati emersi da una ricerca condotta dalle volontarie del Centro e diffusa in vista della giornata internazionale contro la violenza sulle donne, negli ultimi anni si è registrato in Italia un costante aumento dei «femminicidi»: 101 nel 2006, 107 nel 2007, 112 nel 2008 e 119 nel 2009.

L’allarme riguarda, in particolar modo, la violenza domestica perchè le relazioni familiari e tra i sessi risultano essere quelle di maggior pericolo per la donna: nello scorso anno i responsabili degli omicidi sono stati i mariti per il 36% dei casi, i conviventi o partner per il 18%, gli ex compagni per il 9% e parenti per il 13%. Sempre secondo la ricerca, nel 2009 le donne vittime di «femminicidio» sono di nazionalità italiana per il 70,8% dei casi come sono per la maggior parte italiani, (76%) i loro assassini.

Il Corriere della Sera/Bologna 23.11.10

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“Sul corpo delle donne… Così i tagli strangolano i centri anti violenza”. di Luciana Cimino

È l’allarme lanciato dalla Onlus Dire – Donne in rete contro la violenza, che raccoglie
58 centri sul territorio nazionale, alla vigilia della giornata mondiale contro gli abusi sulle donne.
Un governo schizofrenico sulla questione delle violenze di genere. In aperto contrasto con le raccomandazioni internazionali, come quelle dell’Onu e dell’Unione Europea,
che invitano le istituzioni a creare una fitta rete di centri antiviolenza e a sostenerli economicamente, l’Italia di Berlusconi affossa gli istituti già operanti sul territorio con
una finanziaria lacrime e sangue che lascia gli enti locali nell’impossibilità di mantenerli in funzione.
Mentre aumentano i casi di femminicidio (sono almeno 115 le donne uccise nel nostro paese nel 2010) chiudono infatti dal nord al sud i centri antiviolenza, unici luoghi concretamente idonei a offrire alla donna abusata, maltrattata, in fuga da un compagno manesco, accoglienza e assistenza. Ha cessato le attività in questi giorni il centro di
Cosenza, stessa sorte per quello pugliese di Polignano a Mare, mentre anche quello di Lugo (Ravenna), come molti altri, è in stato di crisi e a fatica riesce, con il contributo volontario delle operatrici, a compiere le sue attività. È la denuncia della onlus Dire – Donne in rete contro la violenza, che raccoglie oltre 58 centri sul territorio nazionale, in occasione della Giornata Internazionale contro la Violenza alle Donne, che ricorre domani.
In una conferenza stampa tenutasi ieri presso la Casa Internazionale delle donne le operatrici e le volontarie dei centri di Palermo, Cosenza, Viterbo, Pescara, Udine, Messina, Napoli e Roma hanno portato la loro testimonianza di attività mantenute
nonostante l’indifferenza degli enti locali e dell’esecutivo. Tra leggi regionali che non ci sono, o quando ci sono non vengono finanziate, fondi europei destinati allo scopo ma bloccati (come in Campania, a causa dell’indolenza sul tema della giunta Caldoro),
risorse risicate non sufficienti a volte neanche a coprire le spese d’affitto dei locali dove vengono accolte le donne abusate. «Il Governo a parole fa politiche per donne, come
il Piano Anti violenza della Carfagna che noi per primi abbiamo voluto, o come la legge anti-stalking, ma nei fatti non ci sono politiche stabili e finanziamenti certi e quindi molti centri sono costretti a chiudere», denuncia Elisa Ercoli, responsabile del centro
per le donne vittime di tratta di Roma.
Eppure la necessità di queste strutture è nei numeri: sono infattim 13.587 le donne che si sono rivolte nel 2009 a un centro antiviolenza (il 14,2% in più rispetto all’anno precedente), di queste il 67% sono italiane. Le donne ospitate sono state 576
(con 514 minori) a fronte di una capienza massima di 393 posti letto. «I ministri sono incongruenti, questa non è una lamentela ma un problema politico», aggiunge Carmen Currò del centro di Messina che «va avanti con la sottoscrizione dei cittadini».
«Dove sono i 20 milioni di euro promessi dalla Carfagna? Nonostante gli annunci non si sono visti e non si sa quando saranno sbloccati e poi come saranno distribuiti?», si chiede Titti Carrano, dell’associazione Differenza Donna. «Questa politica miope non capisce che i centri antiviolenza costituiscono un investimento non solo sociale ma anche economico del Paese, perché una donna accolta in un centro costa sette voltemeno rispetto al caso in cui viene assistita dai servizi sociali», hanno sostenuto
le operatrici della Dire che hanno anche citato l’esempio virtuoso del Lazio, dove i centri provinciali sono «il fiore all’occhiello dell’amministrazione Zingaretti». «Il governo affronta
la violenza sulle donne solo in termini di emergenza, si fanno leggi ad hoc sull’onda emotiva di qualche brutto caso di cronaca – spiega ancora Carrano –Ma i maltrattamenti sulle donne sono quotidiani e avvengono per la stragrande maggioranza in famiglia, ci vuole una profonda rivoluzione culturale, politiche sociali non da ordine pubblico».

L’Unità 24.11.10

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Mi chiamo
Arabella Soroldoni e il mio messaggio ha trovato spazio in “Vieni via con
me”».Questo è l’elenco di Arabella letto da Laura Morante
1. Avere paura di uscire quando cala il buio
2. Avere paura di uscire con il cane quando fuori non c’è nessuno
3. avere paura di un marito geloso
4.essere picchiata da un marito geloso
5. essere uccisa da un marito geloso
6.non poter indossare un abito corto sui mezzi pubblici
7. essere molestata in metro
8. sentir dire che si è state molestate per un abito corto
9. essere licenziata perché si vuole avere un figlio
10. non trovare lavoro perché si è brutte
11. non trovare lavoro perché si è troppo giovani
12. non trovare lavoro perché si è troppo vecchie
13.avere paura di non essere più accettata per le rughe sul viso
14. essere presa in giro perché si piange davanti a un film
15.essere stuprata,molestata,insultata
16. vedere le donne rappresentate come veline o come escort
17. essere considerata intelligente, quindi pericolosa
18. essere considerata bella, quindi stupida.

L’Unità 24.11.10