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Strage dei Georgofili, via al processo ma lo Stato non si costituisce parte civile

Nuovo procedimento sulla stagione stragista del 1993 e sulla trattativa fra Stato e mafia
Imputato il boss siciliano Francesco Tagliavia, decisive le rivelazioni di Spatuzza. “Non so se l’avvocatura dello Stato è in ritardo”. Giuseppe Quattrocchi lo dice con amarezza. Lo Stato non si è costituito parte civile nel processo che si è aperto stamani a Firenze sulle stragi mafiose del ’93 che, per la prima volta nella storia di Cosa Nostra, colpirono i tesori dell’arte e chiese in continente, fuori dalla Sicilia. Per il tritolo di via dei Georgofili, nel capoluogo toscano morirono 5 persone: Caterina Nencioni, una bambina di appena 50 giorni, la sorella Nadia di 9 anni, i genitori Fabrizio Nencioni e Angela Fiume con lo studente Dario Capolicchio. Mentre Regione e comune di Firenze si sono costituite parti civili, l’assenza dello Stato per il procuratore capo di Firenze potrebbe essere dovuta a una dimenticanza dell’avvocatura. “Non ci siamo costituiti parte civile perchè non ne siamo venuti a conoscenza – spiegano dalla sede fiorentina dell’avvocatura – Non c’è stato notificato nulla per iscritto né verbalmente ma solo per pubblici annunci”. “La notifica per pubblici proclami – dice Quattrocchi – è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale e su tre quotidiani nazionali per poter raggiungere più persone possibili. Sarebbe bastato – continua il procuratore – che l’avvocatura avesse letto la Gazzetta, cosa che peraltro dovrebbe fare tutti i giorni”.

Nel primo processo fiorentino sulle stragi si costituirono parti civili anche lo Stato e i comuni di Roma e Milano. “Nel diritto – fa notare l’avvocato Danilo Ammannato, rappresentante del comune di Firenze e della Regione Toscana – vale il principio ‘una volta costituiti, sempre costituiti’, ma la richiesta deve essere ribadita nella prima seduta di un nuovo processo. Se questo non viene fatto, la possibilità di costituirsi di nuovo parte civile decade”.

“E’ gravissimo che lo Stato non si sia presentato come parte civile. L’assenza di una rappresentanza di tutti gli italiani nel rivendicare piena giustizia: l’Italia vuole conoscere la verità, specie quando ci sono ombre sul comportamento di organi dello stato, su componenti deviate che avrebbero intrattenuto una vera e propria trattativa con la criminalità organizzata. Ci aspettiamo una risposta decisa da parte del governo”, dice Walter Veltroni del Pd. Mentre per il leader dell’Idv Antonio Di Pietro il fatto che lo Stato non si sia costituito parte civile “non stupisce ma inquieta”, anche perché “alla luce di quanto sta emergendo dalle indagini sulle stragi degli anni ’90 e dalla sentenza della corte d’Appello di Palermo, appare sempre più evidente la connivenza di settori dello Stato con la mafia. Il presidente del Consiglio – prosegue Di Pietro – dovrebbe chiarire in Parlamento ma continua ad essere latitante”. E indignazione arriva anche dalla Lega: “E’ vergognoso, indegno ed è in contrasto con l’azione di lotta alle mafie che sta portando avanti questo governo che per le stragi di mafia del 1993 lo Stato non si sia costituito parte civile”, tuona Carolina Lussana, vicepresidente dei deputati leghisti e capogruppo in commissione Antimafia.

A Firenze le bombe della mafia devastarono l’Accademia dei Georgofili e la Galleria degli Uffizi. Per quel Fiorino imbottito di 350 chili di tritolo fatto esplodere nel cuore della città la notte del 27 maggio 1993 la giustizia ha individuato i colpevoli, così come per gli attentati di Roma in via Fauro, San Giovanni in Laterano e San Giorgio al Velabro, e di Milano in via Palestro: quindici uomini di Cosa Nostra, fra cui Bernardo Provenzano, Salvatore Riina e Giuseppe Graviano. Tuttavia le indagini non si sono mai fermate, perché sin dall’inizio la Proocura di Firenze ha sospettato complicità più vaste, sia all’interno che all’esterno della mafia. Per questo oggi si apre un nuovo processo. A rispondere della catena stragista del ’93 c’è Francesco Tagliavia, 56 anni, boss della famiglia palermitana dei Corso dei Mille. A lui gli investigatori sono arrivati attraverso le dichiarazioni del pentito Gaspare Spatuzza. Ma il processo difficilmente si limiterà a discutere le sue eventuali responsabilità: si apre proprio nel momento in cui si rincorrono nuove rivelazioni sulle complicità esterne alla mafia e sulla trattativa che pezzi dello Stato avrebbero avviato con Cosa Nostra per fermare la stagione delle stragi.

Massimo Ciancimino, l’ex capo del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria Nicolò Amato, e l’ex ministro Giovanni Conso, sono alcune delle testimonianze chieste dalla difesa. I magistrati Giuseppe Nicolosi e Alessandro Crini si sono opposti definendo quelle posizioni “non pertinenti”. No dei procuratori generali anche alla richiesta di accogliere fra i testimoni gli ex presidenti della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi e Oscar Luigi Scalfaro e l’ex ministro Nicola Mancino. La decisione della Corte arriverà nella prossima udienza, prevista per il 14 dicembre.

Tagliavia ha seguito il processo in videoconferenza dal carcere di Viterbo, dove sta scontando la condanna per la strage di via d’Amelio. Il suo difensore, l’avvocato Luca Cianferoni, ha chiesto l’acquisizione della sentenza d’appello del processo Dell’Utri perchè, “ne emerge l’inattendibilità di Spatuzza”. Proprio sulle dichiarazioni di Spatuzza si basa il processo che si è aperto oggi a Firenze. Fra i testimoni citati dalla difesa, ha spiegato il pm Nicolosi, ci sono soprattutto “voci dall’interno di Cosa Nostra”. Fra i teste, Pietro Carra, Salvatore Grigori e Salvatore Cancemi. “Abbiamo tarato il nostro progetto di dibattimento – sottolinea in aula Crini – principalmente su posizione di Tagliavia”.

La Repubblica 24.11.10