università | ricerca

"La riforma aiuta i baroni", di Maurizio Ferraris

L´impressione è quella di avere a che fare, più che con un ministro, con un curatore fallimentare che considera l´Università una bad company da dismettere. Non sorprende se gli studenti protestano. Il ministro Gelmini ha commentato le proteste per l´Università dicendo che così gli studenti fanno gli interessi dei baroni, poi ha sostenuto che tra i meriti fondamentali della sua riforma c´è il porre fine a parentopoli. Ora, i baroni sembrano assolvere nello specifico della politica universitaria la stessa funzione retorica di spauracchio generico e inesistente che hanno “i comunisti” nella politica generale della destra populista. E stupisce veder riemergere, in contesti storici radicalmente mutati, una categoria che in effetti è stata azzerata (insieme a molte cose cattive o semplicemente vecchie e ad alcune cose buone) dal Sessantotto, ossia cinque anni prima che nascesse il ministro.
Questo il ministro non può non saperlo. Così come non può non sapere che la riforma dei concorsi da lei voluta due anni fa, mettendo nelle commissioni soltanto gli ordinari ed escludendone (diversamente che in precedenza) gli associati e i ricercatori è stata, semmai, la mossa più concreta per far resuscitare la figura defunta del “barone”. La situazione è paradossale: mentre si adopera una retorica sessantottesca per dar contro agli studenti, ridotti al ruolo di utili idioti e di servi sciocchi dei baroni (con l´assunzione implicita, e radicalmente populista, che non siano in grado di pensare con la loro testa e che abbiano bisogno di un capo, possibilmente maschio e avanti negli anni), ci si impegna concretamente nel ripristinare una figura scomparsa.
Così pure, il ministro non può non sapere che tra i mille mali che affliggono l´università, parentopoli è di gran lunga il minore. Tolte alcune situazioni aberranti, e giustamente segnalate dai giornali, c´è la normalità universitaria, che per l´appunto non fa notizia, e nella quale parentopoli non esiste. In questo senso, c´è una differenza profonda tra parentopoli, che segnala una eccezione, e tangentopoli, che individuava un comportamento diffuso: assimilarle, e vedere in parentopoli il male dell´università, è dunque a dir poco singolare. Ed è nel complesso singolare che tra tutti i problemi reali dell´università, problemi le cui responsabilità sono equamente distribuite tra destra e sinistra (primo fra tutti, per quel che riguarda le facoltà umanistiche, la sciagurata riforma che ne ha abbassato drasticamente il livello una decina di anni fa), si debbano denunciare dei problemi immaginari: i baroni e parentopoli.
L´impressione è di avere a che fare, più che con un ministro, con un curatore fallimentare, che considera l´università una bad company da dismettere. L´impressione è meno peregrina di quanto non possa apparire sulle prime, se si considera che, come è noto, per salvare l´Alitalia il governo ha attinto al fondo pubblico per il finanziamento della ricerca istituito nel 1982, cioè ai tempi della deprecatissima Prima Repubblica. Ma la gravità dell´atteggiamento del ministro sta nel fatto che, con la polarizzazione che provoca il suo estremismo di un´università tutta da buttare (e di fatto buttata, perché la riforma è soltanto un dispositivo di tagli di spesa, basti dire che a oggi gli atenei non hanno ricevuto il fondo di finanziamento ordinario per l´Università per il 2010, e non ne conoscono neppure l´ammontare) impedisce il processo di autocritica e di autoriforma necessario per l´università da salvare.
Io temo di capire quale sarà il risultato della riforma Gelmini: una università pubblica di basso livello ma anche di basso costo per lo Stato, che laurei in massa così da essere in linea con le medie europee, e un´eccellenza, reale o anche soltanto immaginaria, per le università private. E chi non ha i soldi per pagare le rette delle università private, si arrangi. A questo punto, non c´è niente di sorprendente se gli studenti protestano, visto che il danno che subiscono è reale. Si tratta, per l´appunto, di una posizione razionale, da cittadini e non da popolo indistinto. Ma il ministro preferisce vedere anche qui, persino nella protesta, l´effetto perverso di una suggestione leaderistica e carismatica: “Non comprendo perchè una parte degli studenti sia schierata con i ‘baroni´”.

La Repubblica 27.11.10