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"Le vite degli altri", di Marco Cattaneo*

Grazie a Fabio Fazio e a Roberto Saviano, a Mina Welby e a Beppino Englaro, in questi giorni siamo tornati a parlare di fine vita. Nel senso più alto del rispetto per la vita umana. E purtroppo ancora una volta c’è chi non aspettava altro per sollevare polemiche prive di senso.
Un ridda di personaggi mitologici, a cominciare da Pierferdinando Casini, ha chiesto un improbabile diritto di replica in nome, a loro dire, di quelli che amano la vita, quelli che la difendono. Come se Piergiorgio Welby non l’avesse amata, la vita. Ci vuole davvero un bel paraocchi per ostinarsi a non leggere le parole della sua lettera al presidente Napolitano. E un vagone di ipocrisia per volerci leggere altro da ciò che c’è scritto. La stessa ipocrisia che permette a questi individui di immolarsi a “difensori della vita”, mentre gli altri sarebbero, all’opposto, i portatori di morte.

E ci vuole una considerevole faccia di bronzo per trovare una simmetria nelle due posizioni. Agli occhi di qualunque persona di buon senso è evidente che chi chiede di poter scegliere, alla fine del proprio viaggio terreno, di staccare le macchine che tengono artificiosamente in vita un corpo parla della propria, di vita.

Meglio essere chiari. Non so che cosa accadrà, il giorno in cui dovessi trovarmi nella condizione di Piergiorgio Welby quando scrisse quella lettera, o nella condizione di Eluana Englaro. So, però, che se in coscienza, la mia coscienza, dovessi ritenere che la mia vita non è più tale, ma solo un esperimento di sopravvivenza al servizio di una macchina che svolge le mie funzioni biologiche, allora non permetterò che Pierferdinando Casini, o Maurizio Lupi, o Maurizio Sacconi, o qualche non meglio identificato movimento pro-vita scelgano al posto mio, in nome di una morale e di convinzioni religiose che non condivido. Sarò io a decidere o, come nel caso di Eluana Englaro, i miei familiari, le persone che mi hanno conosciuto e amato per quello che sono, nel bene e nel male.

Quando invece dovesse toccare agli onorevoli difensori della vita, io non mi permetterò né mi permetterei di imporre a loro, né a nessun altro, una regola decisa sulla base delle mie convinzioni politiche o religiose. In questo senso, per me, la vita è indisponibile. Appartiene a ogni singolo individuo. Perciò si tranquillizzino, i paladini della vita. Per quelli come me, loro potranno scegliere di essere tenuti in questo mondo per l’eternità, se la tecnologia lo permetterà. (Anche se poi dovrebbero rispiegarmi per bene tutta la riflessione cristiana sull’accettazione della morte, la resurrezione e la vita eterna…).

Ecco, ai Casini Lupi Sacconi Giovanardi e difensori autonominati chiedo solo questo, che applichino cristianamente, se questo avverbio per loro ha un senso, il principio fondamentale dell’etica della reciprocità: non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te.

In altre parole, io tengo giù le mani dalla vosta vita. Voi tenetele giù dalla mia. Tenetele giù dalle vite degli altri.

*Direttore de Le Scienze e Mente e cervello

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