scuola | formazione, università | ricerca

"Fare passato", di Maurizio Ferraris

Commentando le manifestazioni contro la riforma dell’ università, il premier ha detto che i veri studenti se ne stanno a casa e studiano, a ssumendo non a torto che in Italia, per mancanza di fondi, è difficile trovare delle biblioteche e dei laboratori. Non sappiamo quali libri leggano quelli che sono stati a casa, di sicuro sappiamo quali libri leggono quelli che a casa non ci sono stati, e che (sempre secondo l’ interpretazione del premier) farebbero parte dei centri sociali. Potrebbero essere un elenco di Vieni via con me. Il catalogo è questo, ovviamente senza alcuna pretesa di completezza: il Decamerone di Boccaccio, Pasolini, la Costituzione italiana, il Satyricon di Petronio, il Piccolo principe di Saint-Exupéry, L’ isola di Arturo di Elsa Morante, Una donna spezzata della De Beauvoir, Tropico del cancro di Miller, Don Chisciotte di Cervantes, Cent’ anni di solitudine di Márquez, La Repubblica di Platone, Moby Dick di Melville e Gomorra di Saviano. Il canone può forse sorprendere: molti classici, alcuni libri d’ affezione tipicamente giovanile, come Il Piccolo principe, e, tra i libri contemporanei, di autori italiani, soltanto Saviano. Tra i titoli più recenti c’ è Mille piani di Deleuze (e Guattari, anche se nello scudo esibito in via del Corso non è menzionato). Cioè un libro che è uscito nel 1980, quando loro non erano ancora nati, ma che ha conservato una influenza più o meno sotterranea attraverso il tempo (ci sono ancora studenti che mi chiedono tesi su Deleuze, e questo non manca mai di sorprendermi, appunto perché mi sembra un autore della mia giovinezza, non della loro), e i cui autori erano stati gli emblemi di altre proteste, a incominciare dalla manifestazione di Bologna contro la repressione del 1977 (altra data in cui buona parte dei manifestanti non era ancora nata). Dunque, c’ è il tema della protesta, ma anche quello dei libri amati, e soprattutto quello dei classici: niente fumetti, niente pop, niente cultura televisiva, ossia tutto ciò che si trova fuori dell’ università. Il messaggio sembra essere chiaro: farsi scudo con la cultura, e magari presentarsi anche come uomini-sandwich di una cultura trascurata e resa subalterna. Magari ci sarà anche un effetto da coperta di Linus, ma quello che è certo è la rivendicazione della dignità della condizione intellettuale, presa di mira dalla cultura dominante ( La pupa e il secchione docet, se così si può dire), e – si noti bene – non solo dall’ anti-intellettualismo mediatico e populistico, ma molto spesso dagli stessi professori e uomini di cultura, che sembrano aver perso fiducia nel senso del loro lavoro, o di quella che (con un termine che oggi sembra si possa evocare solo in senso ironico, nel momento in cui i professori sono considerati essenzialmente dei fannulloni) della loro missione. Ci sono tanti antefatti a questo comportamento. A incominciare dagli studenti tedeschi che nel Sessantotto manifestavano con in mano (invece che un prevedibile libretto rosso) la Critica della ragion pratica di Kant (che, tutto sommato, non sarebbe sfigurata nemmeno in via del Corso). L’ intempestività dei titoli, credo, ha un significato, manifesta l’ esigenza di “fare passato”, di evocare qualcosa che possa fare da contrappeso rispetto all’ assedio del presente. Un punto che troppo spesso è stato sottovalutato proprio da quelle facoltà umanistiche che viceversa trovano il loro senso nel saper gettare un ponte tra il presente che ci circonda e il passato che ci permette di prenderne le distanze, e di guardarlo con un occhio non necessariamente critico, ma neppure fusionale e accondiscendente. Tutto dunque si può dire di questi studenti, tranne che non abbiano a cuore l’ università, e farne semplicemente degli illusi, dei conservatori, o addirittura degli esecutori di ordini e interessi altrui è un errore di valutazione e una mancanza di rispetto.

La Repubblica 02.12.10