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«Il governo non vuole ascoltarci ma noi adesso non ci fermiamo», di Jolanda Buffalini

La protesta studentesca. Cortei e occupazioni: «Si va avanti almeno fino al 9 dicembre». Assemblea alla Sapienza. «Difendiamo i baroni? Assurdo, lottiamo per il diritto allo studio». La mobilitazione continua. «Saremo in piazza quando il ddl andrà in discussione al Senato». «Gravissima la militarizzazione della città. Il sit in a Montecitorio era autorizzato». Dipartimento di Fisica, palazzina Marconi, città universitaria, Roma: la lotta continua. Fra i cartelloni appesi all’ingresso ce n’è uno con il curriculum di Mariastella Gelmini e un altro che raffronta i tagli a università e ricerca con gli stanziamenti per il Ponte di Messina e per la TAV.
Gli studenti sono in assemblea nell’aula Majorana, affollatissima. Discutono su come andare avanti: «Saremo di nuovo in piazza quando il ddl Gelmini andrà in discussione al Senato». Intanto arriva l’appello di tutte le associazioni: «Per quella data occupazione simbolica di tutti i rettorati». Le decisioni di questa assemblea dovranno coordinarsi con quelle delle altre facoltà occupate, alla Sapienza sono Medicina e Giurisprudenza (fatto quasi senza precedenti), Scienze politiche e Lettere. Poi c’è Architettura a Valle Giulia e Ingegneria a San Pietro in Vincoli.
L’occupazione continua ma si fa lezione lo stesso, la biblioteca è piena di gente che studia, «interrompiamo solo nei giorni di mobilitazione in piazza», dicono. Altro tema dell’assemblea è, spiegano Alfredo, Alessia, Ornella, Francesco, «la valutazione dei fatti di martedì, la gravissima militarizzazione di Roma». «Hanno bloccato l’intera città». «Il dissenso è alla base della democrazia e protestare mentre si vota una legge che ti riguarda sotto il parlamento è la forma più normale di democrazia». «Ci hanno vietato una piazza autorizzata, per il sit in a Montecitorio la Cgil aveva chiesto l’autorizzazione». «I romani bloccati nel traffico devono ringraziare loro». «Unità cinofile, esercito, polizia, guarda di finanza, blindati e camionette a decine contro un corteo. Cosa pensavano, che stesse arrivando un esercito?». «Forse per noi è stato meglio così, abbiamo avuto molta più visibilità». Siete strumentalizzati dai baroni, conservatori dello status quo, usati dall’opposizione. Come rispondete a queste accuse? «Ma come si fa a dire queste cose si infervora Alfredo, II anno, che si è diplomato al severissimo Righi quando c’è l’evidenza delle parole scritte. La legge dà potere solo ai professori ordinari, taglia fuori i ricercatori».
CONSERVATORI
Anche Ornella è al secondo anno, viene da Molfetta in Puglia, abita alla casa dello studente. Vuole fare l’astrofisica. «Non vogliamo lasciare le cose come stanno. La cosa più grave sono i tagli che distruggono l’università pubblica, il diritto allo studio che dovrebbe garantire pari opportunità: il reddito è l’ultimo parametro, prima vengono i coefficenti di merito e la somma dei voti. Così io sono a rischio, trecentesima in graduatoria, e una mia collega che non ha avuto tutti i crediti necessari in tre giorni è stata buttata fuori dalla Casa dello Studente. La nostra è una facoltà difficile ma i nostri volti valgono quanto quelli degli altri. Sto ancora aspettando la seconda rata della borsa di studio».
Il premier dice che a manifestare sono i fuori corso. Alessia: «Io sono fuori corso, iscritta al IV anno. Ho perso un anno perché sono pendolare, vengo ogni giorno da Latina, due ore ad andare, due a tornare. Purtroppo il mio Ise (reddito familiare) non è abbastanza basso da poter avere la borsa di studio ma non è così alto da potermi permettere di stare a Roma. Quando ho lezione alle 8 devo partire alle 5 e un quarto. Dopo un anno così sei stressato, esaurito e perdi colpi. È un cane che si morde la coda, senza diritto allo studio le differenze nelle condizioni di partenza diventano gigantesche». Perché ha scelto Fisica? «È dalle elementari che ho deciso, voglio fare la fisica teorica. La ricercatrice…».
Il Pd dedicherà la sua manifestazione dell’11 all’università. Alfredo: «Cavalca l’onda ma la loro riforma era un po’ meglio di questa ma non molto. E hanno scelto di non bloccare tutto, di non fare ostruzionismo». Alessia: «Quando abbiamo fatto le lezioni in piazza a Montecitorio ci dicevano che non l’avrebbero fatta passare questa legge. Poi hanno fatto un’opposizione morbida».
Francesco è matricola, iscritto al primo anno: «Vengo dal Tasso, sono abituato alle occupazioni. Mi sembra giusto come si svolge qua, senza interrompere le lezioni e con le assemblee per organizzarsi per le manifestazioni. L’occupazione è giusta se è un’eccezione».

L’Unità 02.12.10

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“Scenderemo in piazza il giorno della fiducia”, di Caterina Perniconi

Gli studenti: il movimento non si fermerà con la riforma. Un movimento estemporaneo o una rivolta generazionale? Se siamo di fronte a un nuovo ‘68 o a un altro ‘77 si capirà solo dopo il 14 dicembre. Quando si potrà misurare l’intensità della forza dei giovani scesi in piazza e saliti sui tetti in questi giorni.
Il Senato, infatti, oggi deciderà se la riforma dell’Università sarà discussa prima o dopo la richiesta di fiducia al governo. Nel primo caso, l’approvazione è quasi scontata, nel secondo sarà legata a doppio filo con le sorti dell’esecutivo. Solo allora si chiariranno le intenzioni e la forza propulsiva degli studenti mobilitati in tutta Italia.
L’ONDA, NEL 2009, si infranse nella barriera della riforma scolastica. L’eredità che è stata lasciata è il fortunato slogan “noi la crisi non la paghiamo”. Infatti quello che sembrava un tumulto generazionale si è invece spento come un fuoco di paglia in pochi mesi.
Oggi siamo di fronte a una protesta partita soprattutto per mantenere il diritto allo studio. Ma le parole d’ordine guardano lontano, e i ragazzi si definiscono una “generazione senza futuro”. Sono andati in rete, hanno dato vita alla prima protesta organizzata per via “telematica”, mettendo in contatto i siti internet e le web radio di tutte le università. Questo ha permesso di occupare le autostrade, le stazioni e i monumenti contemporaneamente, decidendolo con un clic o con una catena di sms.
“Rispetto all’Onda c’è un livello di coordinamento molto maggiore – spiega Claudio Riccio, portavoce di Link, uno dei movimenti studenteschi – c’è confronto tra tutte le realtà”. Del resto anche Claudio, che guida il coordinamento universitario da un anno e mezzo, ai tempi dell’Onda viveva a Bari, mentre da settembre si è trasferito a Roma, dove c’è il “cervello” dell’associazione.
“NON SONO IL LEADER perché non c’è un leader – spiega Riccio – se ci capita di mettere ai voti un’iniziativa, il voto di Roma vale come quello di Viterbo, non ci sono differenze”. Ma esiste un movimento senza leader? “Si, se ci sono molte persone a rappresentarlo. Questa volta protestiamo perché siamo una generazione senza futuro e non ci esauriremo con la riforma. Saremo in piazza il 14 dicembre, perché il nostro domani dipende anche da quel voto”. Telefonando ad Andrea Aimar, uno dei leader delle proteste torinesi, si scopre che i due sono in contatto. “Si, conosco Riccio, ci coordiniamo, anche se veniamo da realtà diverse cerchiamo di essere un movimento unico, di non disperdere le energie”. A Palazzo Nuovo c’è ancora la mobilitazione, al Politecnico si discutono le prossime mosse. Se la riforma sarà calendarizzata nei rapidamente al Senato, l’ipotesi è quella di una grande manifestazione a Roma per dimostrare la reale forza del movimento.
Ma ci sono anche realtà diverse, che con la protesta nazionale non hanno contatti. A Palermo raggiungiamo Fausto Melluso, rappresentante del movimento degli Universitari: “Il nostro è un gruppo nato localmente in modo spontaneo – spiega – la riforma è una battaglia importante ma non l’unica. L’Università di Palermo ha molti problemi e noi vogliamo portarli tutti alla luce”. Anche in Sicilia promettono battaglia fino al 14 dicembre: “Questa riforma dà piene deleghe al governo su molti argomenti, come il diritto allo studio, che di pendono direttamente dal voto di fiducia e quindi da quale governo ci amministrerà. Noi vogliamo farglielo sapere”. Ancora due settimane, quindi, per capire quali saranno le proposte dei giovani del 2010. Che ieri, per tenere alta la tensione, hanno bloccato i binari della stazione di Napoli. E che nei promettono (almeno) altri 10 giorni di manifestazioni.
Bari: Scienze politiche e Giurisprudenza. Benevento: Scienze. Bologna: Lettere e Filosofia. Catania: Scienze e Fisica. Firenze: Lettere. Napoli: Lettere alla Federico II, palazzo Giusso all’Orientale. Milano: Lettere, Ingegneria. Padova: Psicologia. Palermo: Lettere. Pisa: spazi occupati in tutte le facoltà. Roma: Lettere, Scienze politiche, Fisica, Giurisprudenza, Architettura e Geologia a La Sapienza. Dams, Giurisprudenza e Scienze a Roma3. Siena: Scienze politiche, Giurisprudenza, Lettere, Economia. Siracusa: Architettura. Taranto: Giurisprudenza Torino: occupato Palazzo Nuovo.Trento: Sociologia. In molte altre città ci sono mobilitazioni e occupazioni di spazi accedemici.

da Il Fatto quotidiano 02.12.10

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“Università, prova di forza al senato”, di Fabrizia Bagozzi

La protesta degli studenti non si ferma, anche perché il passaggio della riforma Gelmini al senato non è in discesa.
Approvata martedì la riforma Gelmini, convertito entro oggi il decreto sicurezza bis di Maroni, Montecitorio chiude i battenti fino al 13 dicembre, quando comincerà a discutere la sfiducia al governo Berlusconi. In questo modo, alla camera, la ex maggioranza si mette al riparo da nuovi inneschi polemici e da giochi tattici – «agguati di palazzo », li definisce il Cavaliere – evitando, fra l’altro, la mozione di sfiducia al ministro dei beni culturali Sandro Bondi. E così la frontline si sposta al senato. Dove da lunedì prossimo si vota in aula la legge di stabilità. Ma, soprattutto, dove si annuncia scontro sul calendario per l’esame della riforma dell’università che deve passare in terza lettura a palazzo Madama.
Il governo fa pressing perché sia approvata prima del 14 dicembre, anche perché del doman non v’è certezza. E, del resto, l’unico scenario del post 14/12 che dà garanzie al disegno di legge che porta la firma del ministro dell’istruzione è la fiducia in entrambe le camere, su cui per ora nessuno, a parte Berlusconi e Bossi, si sente di fare scomesse. Lei, Mariastella Gelmini, fa sapere che se «c’è la volontà politica», può essere votato prima del giorno del giudizio. Un altro ministro, Maurizio Sacconi (welfare), dà la cosa per fatta.
Ma la partita del calendario è aperta. Nella conferenza dei capigruppo fissata per questa mattina il Popolo delle libertà proverà infatti a forzare la mano, chiedendo un rapido passaggio in commissione subito dopo l’approvazione della Finanziaria (giovedì 9) e poi il voto fra venerdì 10 e martedì 13 (di norma, il venerdì e il lunedì l’aula non lavora, se non in casi eccezionali come quello dell’approvazione della legge di stabilità).
L’argomento che verrà messo in campo lo fa capire il vicecapogruppo Pdl al senato Gaetano Quagliariello, e lo conferma il ministero dell’istruzione: se la riforma non passa non si sbloccano i fondi per i concorsi e le assunzioni.
Con buona pace dei modi e dei tempi di approvazione (dell’opportunità politica) di un provvedimento su cui si è scatenata, e non si ferma, la protesta di studenti e ricercatori. Il Partito democratico ha già fatto sapere che si metterà di traverso: «Se pensano, infrangendo il regolamento del senato, di mettere in calendario la riforma universitaria prima della sfiducia, faremo saltare ogni accordo sulla legge di stabilità», avverte il presidente dei senatori dem a palazzo Madama Anna Finocchiaro. I futuristi tacciono, anche se in un primo momento, il loro capogruppo Pasquale Viespoli aveva fatto sapere che un’accelerazione nel calendario è possibile solo con «l’unanimità dei gruppi».
Oggi si capirà se i finiani confermano l’orientamento, secondo la consueta tattica che esaspera i già provati nervi del Cavaliere. Anche se il voto di martedì alla camera ha confermato quanto Fli tenga all’incasso, anche in chiave elettorale, della riforma. E anche se, al senato, Pdl e Lega hanno i numeri per forzare i tempi, a prescindere da Futuro e libertà.
Ma se pure il disegno di legge Gelmini (che consta di oltre cinquecento norme) dovesse andare in porto, il suo destino rimarrebbe appeso ai regolamenti attuativi. Si prevede infatti che ne servano più di cento, buona parte dei quali spettano al consiglio dei ministri. Che dal 14 dicembre potrebbe non riunirsi più. Il rischio, allora, è che rimanga tutto sospeso in ogni caso e nonostante un via libera spinto a colpi di maggioranza. Tanto per cambiare, una (controversa) riforma a metà.

da Europa Quotidiano 02.12.10