attualità

"Cinque? No, uno per mille", di Andrea Olivero

Da oggi possiamo chiamarlo “Uno per mille”. Come temevamo, al senato non è stato presentato nessun emendamento alla legge di stabilità, malgrado le promesse e le rassicurazioni. Il fondo stanziato per quello che fu il 5 per mille passa da 400 a 100 milioni, con una riduzione del 75% delle risorse, pari all’1,25 per mille.
Praticamente, un’elemosina.
Le residue speranze per il reintegro dei fondi sottratti sono affidate – ed è tutto dire – alla tenuta del governo, che il 14 dicembre chiederà la fiducia nei due rami del parlamento. L’ultima spiaggia per il recupero delle risorse è infatti rappresentata dal decreto “Milleproroghe” di fine anno.
Ma già si parla di uno slittamento alla prossima primavera. E intanto, le oltre 30mila organizzazioni sociali che hanno raccolto in questi anni la fiducia di più di 15 milioni di contribuenti, dovranno ridimensionare le loro attività – in tempo di crisi e dunque di maggiori bisogni – perché non si può progettare e pianificare sulle promesse, ci vogliono certezze e stabilità.
Il 5 per mille poi, anzi l’1 per mille, è solo una parte del problema. Il Fondo per le politiche sociali passa da 435 a 75 milioni. Le risorse per le politiche familiari – altro cavallo di battaglia di questo governo – si riducono da 185 a 52 milioni di euro. Il Fondo per la non autosufficienza – 400 milioni – viene completamente azzerato. Tagli al Servizio civile e alle politiche giovanili. Mancato ri-finanziamento della social card.
Non è chiaro a questo punto su cosa dovrebbero basarsi e sostenersi le politiche sociali nel nostro paese. Nei mesi scorsi si è parlato tanto e autorevolmente anche in Italia di “Big Society”, il progetto del premier inglese David Cameron di incoraggiare le organizzazioni di cittadini a prendere in mano la gestione dei servizi locali, scuole e servizi sociali. “Più società, meno stato” è l’idea sostenuta nel Libro Bianco del ministero Sacconi.
“Aiuta l’Italia che aiuta” è uno slogan lanciato mesi fa dallo stesso ministro. E ancora: “antropologia positiva e responsabilità diffusa”. Espressioni molto belle e ragionamenti convincenti, che vanno ad indicare con chiarezza nella sussidiarietà il valore su cui fondare il nuovo modello sociale. Benissimo. Ma a patto che alle parole seguano i fatti. Peccato che i fatti di queste settimane vanno in tutt’altra direzione. Per non dire degli ultimi mesi: il prelievo forzoso compiuto a luglio sui patronati, finanziati direttamente dai lavoratori; la soppressione delle agevolazioni per le spedizioni postali del terzo settore, ad aprile.
Non si costruisce una Big Society, una “grande società”, tagliando le gambe al Terzo settore. Togliendo l’ossigeno a quelle organizzazioni di cittadini che si adoperano ogni giorno per rispondere proprio a quelle emergenze sociali provocate o alimentate dalla crisi economica e finanziaria. Tagliando i fondi destinati agli enti locali che di quelle organizzazioni sono i principali interlocutori.
La sussidiarietà non è elemosina, né può essere ridotta a beneficenza. Il 5 per mille prima di essere un costo è stato in questi anni un investimento, un moltiplicatore di risorse – umane ed economiche –, un volano per la solidarietà. Queste cose il ministro Tremonti le sa bene, perché è stato lui – gli va riconosciuto – ad inventare e introdurre questo strumento di finanziamento diretto delle organizzazioni sociali più meritevoli da parte dei contribuenti.
È per questo che appare incomprensibile, contraddittorio e inaccettabile quanto sta avvenendo con questa legge di stabilità. Paradossalmente nell’anno europeo della lotta alla povertà e all’esclusione sociale e in previsione dell’anno europeo del 2011 dedicato proprio al volontariato. Le organizzazioni sociali e le associazioni di volontariato non smetteranno certo fare il loro lavoro, fondato sul dono e la gratuità, ma non potranno guardare da oggi troppo lontano. Si sentono tradite, ma non staranno a guardare.
Faranno sentire ancora e forte la loro voce al governo, racconteranno quanto sta accadendo ai cittadini italiani.

da Europa Quotidiano 04.12.10