attualità, politica italiana

"Silvio e il falò delle vanità", di Filippo Ceccarelli

Polvere di stelle, ma un po´ anche polvere di stalle, dopo le rivelazioni di WikiLeaks che del presidente Berlusconi hanno appena cominciato a mettere in evidenza l´inadeguatezza politica, la vanità personale, lo stile di vita borderline, le condizioni di salute preoccupanti e più in generale l´impressione che egli non continuerà a guidare ancora per molto una nazione come l´Italia.
Ciò nonostante, o forse proprio per questo, il Cavaliere ha ieri trovato il modo di proclamare ancora una volta ciò che lui pensa di se stesso: «Io sono stato la star degli ultimi due summit internazionali. Tutti venivano a farsi le foto con me – ha aggiunto – non solo per la mia esperienza, ma anche perché tutti mi conoscono come un tycoon e non come un politico». Sottinteso, come tutti gli altri «maneggioni» che mai potrebbero rappresentare l´Italia come faccio io, io, io, io e via dicendo secondo i moduli della più scontata e pervicace egolatria.
Ora, solo la faccenda delle foto è teneramente inedita, nella sua ingenuità quasi infantile, e forse è perfino accaduto così perché i capi di stato si comportano da bambinoni. Allo stesso modo l´autodefinizione di “star” conferma la disperata necessità che gli odierni leader tele-populisti hanno di mascherarsi da divi – con il bel risultato che all´azione di governo preferiscono senz´altro i linguaggi emozionali tipici dell´industria dello spettacolo.
Ma per il resto la vanteria presidenziale si configura come l´ennesima “berlusconata” del genere megalo-scenico-diplomatico: un´asserzione cioè che non ha alcuna incidenza sulla realtà, se non quella di contribuire a rendere il presidente italiano uno dei più straordinari e accreditati gag-man del potere a livello planetario. Una simpaticissima macchietta insieme alla quale farsi una foto, appunto, da mostrare al ritorno ai famigliari prevedibilmente annoiati dal racconto dei soliti vertici.
Ha fatto in tempo a scrivere Montanelli che Berlusconi «pensa di essere un incrocio fra de Gaulle e Curchill, e il guaio è che ci crede». Sulla base di tale impegnativa consapevolezza già nel dicembre del 2001, nella conferenza di fine anno, il Cavaliere proclamò che alcuni fra i suoi colleghi e Grandi della Terra, posti al cospetto del suo «indiscutibile prestigio», provavano «invidia personale».
Eppure, qualche anno dopo, era il marzo del 2008, quel brutto sentimento doveva essersi a tal punto attenuato, e anzi mutato in amicizia e ammirazione che diversi potenti gli avevano chiesto «di assumerli»: ove mai, «beninteso», s´era affrettato a chiarire il premier italiano, avessero deciso di abbandonare la politica. Non s´è mai capita bene tale richiesta, od offerta che fosse. Ma tutto lascia pensare che Berlusconi intendesse utilizzare la loro esperienza chiamandoli a svolgere corsi nell´erigenda università del pensiero liberale di villa Gernetto, a Lesmo, e in questo senso nella lista delle “assunzioni” si sono fatti i nomi di Bush, del giapponese Koizumi e di Putin, che tanto liberale non risulta, ma pazienza: i report di Wilileaks danno conto di altre esigenze.
Ma purtroppo non colgono né danno conto dell´intima insoddisfazione che tormenta il Cavaliere al termine dei summit, giacché «in tutto il mondo io trovo grandissima considerazione tra i miei interlocutori, poi torno in Italia, apro la tv e non c´è uno spettacolo in cui io non sia preso in giro o oltraggiato». Così è anche possibile – vedi com´è strano il mondo dei dominatori! – che la percezione di questo di questo assurdo equivoco, di questo iniquo scompenso, abbia portato il presidente del Consiglio dei ministri a consolarsi nelle note feste, e selvagge, nelle quali come risulta dai reperti multimediali della D´Addario è predisposta la visione di lunghi documentari sui trionfi internazionali del premier, per giunta corredati di commenti da parte del medesimo; e in una fantastica session lo si sente proclamare gioiosamente a proposito del G8 che «io per avventura, io sono l´unico al mondo che l´ha presieduto due volte», e questa di Berlino sarà la terza, perciò: «Ora io sono in-su-pe-ra-bi-le – si esalta fra i gridolini delle ragazze – Tre volte! ed è un grande risultato per l´Italia». Evviva. Forse.
Vero è che senza un pizzico di megalomania e di vanagloria, senza quella tendenza che un osservatore quale Giulianone Ferrara mesi orsono ha definito all´»autoincensamento spinto», senza il «formidabile egocentrismo», la «gigantesca vanità», l´»immensa immodestia» e perfino l´»ego da manicomio», ecco, senza disporre di tali premesse psicopolitiche quel mestiere lì non si può proprio fare. Ma per quanto ipocrite o malamente assemblate, le carte della diplomazia americana lasciano intravedere un Berlusconi assai meno perfetto di quanto lui stesso certamente ritiene di essere; e ancora meno saldo nel suo potere.
Sembrano lontani i tempi in cui il Cavaliere poteva dire: «Il mio governo è il più stabile di tutto l´occidente. Dovunque io vado si fermano le strade». Era la fine di giugno del 2009. Due settimane prima, c´era stato l´incontro con Obama e l´ineffabile Frattini aveva scolpito: «Tra i due è scattata la chimica personale». Eh, viene da pensare grazie ai lavoretti di Assange, pensa se non era scattata.

La Repubblica 06.12.10