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I 90 anni di Ciampi "La politica ha perso il rispetto delle istituzioni", di Massimo Giannini

“Sono tempi bui ma la speranza non mi lascia: l´importante è guardare alto, prima o poi l´orizzonte si rischiarerà”. “Finché le forze mi assisteranno, darò quello che ho per il mio Paese, in cui ho sempre creduto Resto ottimista”. Il mio governo si prese le bombe della mafia, a Milano, a Firenze, a Roma E ora proprio io mi devo sentire sotto accusa?
Quello che mi colpisce è il prevalere dell´interesse personale, il “particulare”: si è perso il senso del limite, il rispetto della dignità altrui. «Sono tempi brutti. Sono tempi bui. Nella politica più recente ho visto venir meno l´etica personale e l´etica pubblica. Ho visto mancare il rispetto per la dignità e per le istituzioni. Ma la speranza non mi abbandona: l´importante è guardare alto. Oltre le nubi di questi ultimi anni. Prima o poi l´orizzonte si rischiarerà…». La delusione e la speranza. Se ci fosse un titolo, per riassumere l´Italia vista dall´alto dei 90 anni che Carlo Azeglio Ciampi festeggerà domani, sarebbe questo. L´ex presidente della Repubblica ci riceve nel suo studio, a Palazzo Giustiniani, ed ha la stessa voglia di battersi per questo Paese. «Fisicamente mi sento un po´ vecchiotto, quale sono, ma come spirito mi sento combattivo, come sempre…». La delusione, per l´ex Capo dello Stato, nasce dal constatare che «questo non è il Paese che sognavo», come ha scritto in un libro con Alberto Orioli.
«Guardando ai tempi più recenti, ho visto venire meno i riferimenti ai valori di etica personale e di etica pubblica…». A una settimana dal voto del Parlamento che potrebbe sancire la fine del governo Berlusconi, Ciampi non vuole entrare nella contesa politica. Ma è chiaro che quando giudica il crollo della fibra etico-morale del Paese, è al Cavaliere che fa riferimento. «L´importante per me è che la persona senta la dignità propria e il rispetto della dignità altrui. E al tempo stesso che nutra una grande fiducia e un grande rispetto per le istituzioni: la lezione di Vincenzo Cuoco resta un caposaldo irrinunciabile». Nella Rivoluzione Napoletana del ‘700 Cuoco scriveva che alla felicità dei popoli sono più necessari gli ordini che gli uomini, e che le istituzioni oltrepassano i limiti delle generazioni. «Ecco – aggiunge ora Ciampi – questi due elementi, dignità e rispetto, mi sembrano indeboliti, nell´Italia di oggi. E questo mi ha preoccupato, amareggiato».
Di nuovo, si ragiona dei danni del berlusconismo. «Non voglio fare polemica. Ma quello che mi colpisce è il prevalere dell´interesse personale, il “particulare”, avrebbe detto un nostro antico padre, il Guicciardini. E in più, mi colpisce la mancanza di una base costituita dal rispetto reciproco: io e lei possiamo essere avversari durissimi, ma dobbiamo essere d´accordo sulle regole e sui comportamenti individuali». È per questa mancanza che si è fatto strame, oggi, della Costituzione, la «Bibbia laica» che Ciampi non si stanca di evocare e difendere. «Oggi – chiosa il presidente emerito – si è perso il senso del limite: il rispetto della dignità altrui, della tua e della mia».
Proprio in questi giorni, con Berlusconi a un passo dal capolinea, si parla dello «spirito del ‘93» e della necessità di trovare un «Super-Ciampi». Lui scuote il capo: «Il Super-Ciampi? È proprio lo spirito che manca. La concertazione che aiutò l´Italia a uscire dalla crisi non fu un merito mio, ma della società di allora. E aggiungo che persino nella crisi della Prima Repubblica il rispetto di alcune regole fondamentali non mancava. Oggi c´è la sensazione che di questi sentimenti non ci sia più traccia».
Non solo. In questo diffuso «cupio dissolvi» nazionale può persino capitare che proprio quel suo governo del ‘93 finisca per essere additato come quello che «fece favori alla mafia», e avviò la famosa «trattativa con lo Stato». Ciampi non ci sta: «Capisco che a 18 anni di distanza le parole assumono un peso diverso. Ma il mio governo si prese le bombe della mafia, a Milano, a Firenze, a Roma. E ora proprio io mi devo sentire sotto accusa?». L´ex Capo dello Stato prende un volume, «Vita italiana, documenti e informazioni», e dice: «Legga qui, questo è il resoconto che stilarono i ministri del mio governo, sull´attività compiuta in quell´anno. Legga la parte che riguarda il ministro della Giustizia, sul tema del 41-bis per i mafiosi…». Scrive Conso, nel documento dell´aprile ‘94: «Per quanto concerne la normativa con riferimento ai detenuti per taluni dei delitti di cui al comma 1 dell´articolo 4 bis della legge 26 luglio 1975 n. 354, va detto che essa è rimasta inalterata… Ciò tanto più con riguardo all´articolo 41 bis…». Questo è agli atti, della strategia anti-mafia del governo Ciampi. «Questo mi risulta – dice oggi l´ex presidente – e se Conso ha fatto altro, prima o dopo, lo ha fatto autonomamente. Io non ne ho mai saputo nulla…».
C´è un altro retroscena, degli anni successivi, che Ciampi precisa oggi. Riguarda il suo possibile, secondo governo, nell´autunno del ‘98. «Ricordo benissimo, fu una domenica, il 24 ottobre: ebbi una visita improvvisa a Santa Severa, e D´Alema mi portò un invito concorde di tutta la maggioranza di allora, che dopo la crisi del governo Prodi chiese che fossi io ad avere l´incarico. Fui riluttante, poi dissi sì…». Ma in 24 ore tutto saltò. «Ero a Bruxelles per un´Ecofin, come ministro del Tesoro. Quando tornai il clima era cambiato, non so perché. Nessuno mi diede mai una spiegazione…». Forse, come lui stesso pensa, qualcuno capì che Ciampi – lui sì, governo del fare – avrebbe dato meno fastidio al Quirinale, che non a Palazzo Chigi. «Non so cosa ci fu dietro – sorride – ma oggi posso solo confermare quei fatti».
Quei fatti dicono che poco dopo salì in effetti sul Colle, e che a Palazzo Chigi finì invece D´Alema. L´ex presidente non è rammaricato. Il settennato al Quirinale è stato «meraviglioso». Non mancarono le fasi critiche. «Ho avuto momenti difficili nel rapporto con l´esecutivo. Ho rimandato alcune leggi, ma non certo per spirito di polemica personale: il fatto è che quelle leggi non andavano bene…». Anche qui parlano i fatti: legge Gasparri sulle tv, riforma Castelli sulla giustizia. Provvedimenti che toccavano al cuore portafoglio e interessi del Cavaliere, e che sono costati scontri e rancori con Berlusconi. Ma questo, a chi fa politica, impone la weberiana etica delle responsabilità, che per Ciampi è una religione civile.
Così come la sua fede europeista, incrollabile. A dispetto della crisi dei debiti sovrani, che mette a repentaglio l´Unione monetaria. «L´Europa sconta l´incompletezza della fondazione, la zoppia di cui parlo da anni: non possono convivere una moneta unica da paese federato e poi politiche economiche nazionali. L´eurobond io spero che si faccia, perché è la cosa giusta». La Merkel sembra contraria, ma Ciampi è convinto che la Germania farà la sua parte, perché «ha avuto grandi vantaggi dall´euro». Ed è convinto che l´euro reggerà, perché «come dissi a Helmut Kohl, è un punto di non ritorno».
Sarà dura. Ma l´Italia potrà farcela. A condizione che ritrovi la voglia di cambiamento, la voglia di futuro. Qui sta la speranza di Ciampi. È un filo esile, perché lo sconforto è tanto: «A volte, quando leggo certe cose sui giornali o sento parlare certe persone, mi torna in mente il “Piano di rinascita democratica” di Licio Gelli…». Quell´Italia torbida non è sconfitta, non si rassegna, conta e pesa ancora, purtroppo. Anche per questo vale il motto resistenziale dei fratelli Rosselli, caro al vecchio azionista Carlo Azeglio: «Non mollare». Anche per questo, prima di spegnere le sue 90 candeline, Ciampi promette: «Finché le forze mi assisteranno, darò quello che ho per il mio Paese, in cui ho sempre creduto e in cui continuerò a credere. Nonostante tutto resto ottimista: l´orizzonte si rischiarerà».

La Repubblica 08.12.10