attualità, politica italiana

"2000-2010, Italia sempre peggio. Bilancio di un decennio triste", di Giovanni Cocconi

Otto anni di governo Berlusconi su dieci: numeri alla mano (di Confindustria) ecco come stiamo. Che questo governo sia o meno arrivato al capolinea, con la fine del 2010 si conclude anche il “decennio berlusconiano”.
Quale eredità lascia al paese? Com’è l’Italia dieci anni dopo? È cresciuta o meno rispetto al resto d’Europa? Se si esclude la parentesi 2006-2008 (governo Prodi), è difficile negare che sia il Cavaliere ad avere lasciato l’impronta politica sul primo decennio del nuovo millennio ed è lui il primo a doverne rispondere.
Per tracciare un bilancio il più possibile neutro abbiamo deciso di usare solo numeri e di fonte insospettabile come il Centro studi di Confindustria diretto da Luca Paolazzi.
Per il Csc di via dell’Astronomia nel «decennio più lento dell’Italia» il Pil è cresciuto a una media dell’1,1 per cento l’anno (tabella 2) ma è arretrato nel confronto internazionale.
La media dell’Europa a 27 è stata del 2,2, quella degli Stati Uniti del 2,4 e dell’1,6 del Giapppone.
Tra il 2000 e il 2007 tutti i grandi paesi europei (Gran Bretagna, Francia, Germania e Spagna) sono cresciuti più di noi e hanno risentito meno dell’Italia degli effetti della crisi del 2008 che qui ha pesato sul Pil per più di 6 punti percentuali.
Anche il Pil pro capite è precipitato, come si vede nella tabella 4, dove è visivamente evidente il “sorpasso” del resto dell’Europa sull’Italia tra il 2004 e il 2005 e mai recuperato. Secondo il Csc di Confindustria di questo passo il Pil italiano tornerà a livelli pre-crisi non prima del quarto trimestre del 2013. Fra tre anni.
In realtà il declino italiano parte da più lontano, addirittura dai primi anni Settanta, ma con segnali di discontinuità tra il 1993 e il ’99 e tra il 2006 e il 2008 (tabella 1). Confindustria parla di una «lunga frenata».
Ma forse ciò che più impressiona è il calo della produttività (tabella 3), rimasta praticamente piatta dal 2003 in poi, e addirittura scesa tra il 2000 e il 2002.
Se misurata per singolo lavoratore (dati Ocse), la produttività italiana nel decennio 1997-2007 è cresciuta solo del 6,8 per cento contro il 39,8 della Germania, il 47,7 della Gran Bretagna, il 50 della Francia, il 62 degli Stati Uniti. Si dirà che è colpa di stipendi troppo bassi. Vero, ma nello stesso periodo i salari tedeschi sono cresciuti di un 1,5 in meno che in Italia. Eppure i risultati sono stati molto diversi. In Gran Bretagna sono cresciuti del 68,6 per cento, in Francia del 41, in Spagna del 39, da noi solo del 27,7.
Un’altra tabella interessante è la numero 5 dove è plasticamente evidente che non siamo più un paese per giovani da almeno un ventennio. Il contrasto tra under 30 e ultra 65enni è stridente e il trend non è destinato a cambiare nei prossimi vent’anni, nonostante l’afflusso di popolazione immigrata. Segno di un paese condannato inesorabilmente al declino.
Di fonte Eurostat sono i dati riportati nella tabella 6, dove il declino demografico è accompagnato dalla spesa destinata alla famiglia in rapporto alla spesa pubblica. Anche in questo caso il primato negativo del nostro paese è evidente, soprattutto se confrontato con i paesi del Nord Europa ma anche con i cugini francesi.
Il bilancio stilato da via dell’Astronomia non sarebbe completo senza uno sguardo al debito pubblico, che ha ripreso a correre, e alla pressione fiscale, definita «crescente». Problemi più difficili da affrontare se la crescita è piatta come è stata nell’ultimo decennio. Si allarga la forbice tra pressione fiscale effettiva e apparente, mentre preoccupa l’aumento dell’economia sommersa che, dopo un arresto, ha ripreso a correre.
Se poi si allarga lo sguardo al resto del mondo il declino italiano appare ancora più evidente.
Se nel Vecchio continente si amplia il divario Nord-Sud, è ormai evidente che la crescita mondiale è trainata dai paesi emergenti. Se dieci anni fa la produzione industriale italiana contribuiva con una quota del 4,1 a quella dei 15 paesi più ricchi del mondo (fino alla Turchia), oggi ne rappresenta il 3,9, contro il 21,5 della Cina, il 15 degli Stati Uniti, il 6,5 della Germania. In media i Quindici oggi rappresentano il 24 per cento della produzione mondiale contro il 29,3 dei Bric (Brasile, Russia, India e Cina).
Lo spirito dei tempi tira da un’altra parte.

da Europa Quotidiano 09.12.10