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"Il ciclone wikileaks e il bisogno di capire", di Ezio Mauro

Che dice di noi, il ciclone Wikileaks? Si può cominciare a rispondere, oltre le voci segrete degli ambasciatori americani svelate dai cable che Julian Assange ha rovesciato sul mondo, prima di consegnarsi all´arresto a Londra, per l´accusa di stupro. Questa vicenda parla di tre cose che potremmo riassumere in una formula: informazione, potere e democrazia al tempo di Internet.
Internet, oggi giunto alla sua massima potenza, è lo strumento usato da WikiLeaks per scardinare i forzieri della superpotenza diplomatica americana ed estrarne i segreti che riguardano tutto il mondo, dal Medio Oriente alla Cina, all´Iran, all´Europa, alla Corea. Il primo problema è la vulnerabilità dei segreti di Stato. Ovviamente le democrazie – e una grande democrazia come gli Stati Uniti – sono più esposte a queste infiltrazioni dei sistemi chiusi e bloccati come gli Stati autoritari, sia per la libertà dei mezzi d´informazione e l´autonomia dei soggetti sociali, e sia perché seguono regole e procedure collaudate e conosciute nello scambio interno di dati e notizie su alleati, competitori e avversari.
Gli Stati – e le democrazie tra loro, ovviamente – prevedono procedure riservate nei passi più delicati della loro governance, e anche momenti segreti, a tutela della sicurezza nazionale. Ma gli Stati democratici si muovono sempre più nell´obbligo della trasparenza e della pubblicità, mentre i cittadini grazie alla crescita e alla velocità dell´informazione pretendono ormai di conoscere e monitorare i processi di scelta e di formazione delle decisioni, senza accontentarsi di commentare il risultato finale.
Da qualche anno, potremmo dire, la politica è tutta “esposta”, senza riserve, salta il confine tra la scena e il retroscena, il meccanismo decisionale ha rilievo quanto e come l´opzione finale.
Oggi facciamo un passo in più dentro una nuovissima stagione. I mezzi ubiqui, veloci e contemporanei cambiano il concetto di segreto così come cambiano la nozione stessa di trasparenza. Cosa significa il timbro di riservatezza sul dispaccio di un ambasciatore, quando l´intera banca dati diplomatica di una superpotenza può saltare in pochi minuti? E fin dove arriva la nozione di “pubblico”, patente e trasparente, nel momento in cui il cittadino è trasportato da Internet dentro il flusso stesso della documentazione protetta, può navigare a suo piacimento tra i segreti, recuperare il passato negli archivi, usare le chiavi personali di lettura, creare percorsi interpretativi che la lettura ufficiale e istituzionale delle carte non solo non prevede, ma neppure conosce?
Tutto ciò che crea un cittadino più informato lo fa anche più esigente. Il cittadino che ha imparato a conoscere, pretende di sapere. Non ritorna a casa, davanti alla televisione. Tecnicamente, non gli importa dell´accusa di stupro ad Assange: sa che seguirà l´inchiesta e l´eventuale processo, e attraverso l´informazione sarà in grado di distinguere tra reato individuale e responsabilità personale da un lato, e interesse generale alla pubblica conoscenza dall´altro. Oggi, il cittadino vuole che quel flusso di informazione continui, perché nessuno rinuncia coscientemente a capire come funziona il mondo, se ne ha la possibilità, o a vivere un pezzo di storia in diretta.
E qui, interviene il giornalismo. Perché 250 mila files, 250 milioni di parole, sono una massa di dati non intellegibili. Si scopre, finalmente, che conoscere non è sapere, che guardare non è vedere, che ciò che conta è capire. Nel grande flusso di Internet, contano le regole del fiume, la velocità di scorrimento dei “pieces of news” e la portata. Ma per capire, serve di più. E Assange ha dovuto rivolgersi al giornalismo, consegnandogli tutta la massa di informazioni sottratte al potere e chiedendogli semplicemente di renderla comprensibile, trovando le chiavi per decifrarla. E il giornalismo ha lavorato, sta lavorando, esattamente per dare al lettore-cittadino la possibilità di decifrare, interpretare, comprendere e alla fine giudicare, a ragion veduta.
Internet apre la porta del potere, e trasporta nel suo flusso i materiali. Il giornalismo legge quei materiali, e riesce a farli leggere, perché opera per l´intelligenza degli avvenimenti. Questo avviene con l´uso degli strumenti tipici del giornalismo quotidiano, davanti ai grandi eventi e agli avvenimenti minori: la selezione delle notizie, la gerarchia tra i fatti, la relazione tra le vicende, il recupero degli antecedenti, l´individuazione dei protagonisti, palesi o occulti, l´illuminazione degli interessi in gioco, legittimi o illegittimi, alla luce dell´interesse generale. E infine, l´esercizio della responsabilità.
Perché il giornalismo è anche coscienza di un limite, uso responsabile di un potere. Il diritto del cittadino di conoscere e di sapere infatti è un diritto assoluto, in democrazia, ma non è un diritto cieco. E infatti i giornali hanno usato la loro responsabilità nella selezione dei materiali, e nel deciderne la pubblicazione. Sono stati esclusi i file con nomi e cognomi di persone esposte in Paesi dove vige la pena di morte. Sono stati informati il Dipartimento di Stato e la Casa Bianca dei materiali prescelti, e si sono ascoltate le loro osservazioni, a tutela di soggetti a rischio. Infine, è l´ultimo caso, il Guardian ha deciso di non pubblicare l´elenco delle infrastrutture occidentali che gli Usa considerano a rischio di attacchi terroristici. Perché, come scrive Javier Moreno, il direttore del Paìs, «tra gli innumerevoli doveri di un giornale non c´è quello di proteggere i governi da situazioni imbarazzanti», se queste situazioni sono interessanti per i lettori, che hanno il diritto di conoscerle; e il direttore del New York Times, Bill Keller, aggiunge che «illuminare gli obiettivi, i successi, i compromessi e le frustrazioni» della diplomazia di un grande Paese «è di pubblico interesse». Ma nello stesso tempo – e le due cose stanno insieme – il diritto del cittadino di sapere non è disgiunto dal suo dovere di farsi carico della democrazia. E questo, naturalmente, vale anche per il cittadino-giornalista.
L´imbarazzo delle democrazie è l´ultimo elemento, ed è il denominatore comune del caso WikiLeaks. Ma anche qui, c´è un punto su cui riflettere. Dovunque, tra le democrazie occidentali e i loro governi, il Cablegate ha provocato soltanto imbarazzo, qualche problema di galateo internazionale, e nulla più. Leggere che nei dispacci americani Angela Merkel è “teflon”, resistente e respingente, non provoca ripercussioni in Germania. Scoprire che per i diplomatici Usa Nicolas Sarkozy è un “monarca impulsivo” non inquieta Parigi. Veder scritto in un cablo al Dipartimento di Stato che Zapatero è “astuto come un felino”, non è un problema per Madrid. Perché invece in Italia Wikileaks ha provocato un terremoto politico, addirittura preventivo, col governo che ha evocato addirittura un complotto mondiale contro il nostro Paese, e Frattini che ha parlato di 11 settembre?
Perché i rilievi degli ambasciatori ai leader delle altre democrazie europee, riguardano tutti la parte visibile delle leadership, ciò che si conosce, ciò che è pubblico. I rilievi al Capo del governo italiano riguardano, tutti, la parte invisibile, ciò che è celato, camuffato, nascosto alla pubblica opinione. Legami con Putin incomprensibili dal punto di vista della responsabilità occidentale, e dunque per gli Usa pericolosi e basati su affari inconfessabili. Dichiarazioni private di debolezza per estorcere pubbliche parate congressuali a Washington, da mistificare nelle televisioni italiane come prove di forza. Confessioni amareggiate dell´inner circle del Premier, su un potere che sta ormai evaporando.
La lezione è dunque che il potere italiano traballa più di altri, davanti al ciclone WikiLeaks proprio perché è un potere chiuso, opaco, non trasparente, con elementi di forte anomalia per una democrazia occidentale, con evidenze di fragilità crescente nella capacità di governo unite ad aspetti oscuri che inquietano gli alleati. Si capisce bene, a questo punto, il tentativo berlusconiano di banalizzare le rivelazioni non potendo gestirle, spiegarle, giustificarle, in quanto fanno parte degli arcana imperii che rendono diversa la nostra democrazia. Si capisce meno bene l´impotenza delle altre forze politiche, di vecchia e nuova opposizione, davanti alla portata di questa vicenda. L´unica cosa chiara ai cittadini è che il sistema politico non capisce il cambio di stagione determinato da WikiLeaks perché mentre il ciclone stava già soffiando era come sempre accomodato in poltrona davanti alla televisione italiana a reti unificate: credendo che la vecchia cornice del Tg1 e del Tg5, costruita dalla politica, fosse ancora in grado di inquadrare il mondo, mentre il mondo era già cambiato.

La Repubblica 09.12.10