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Editoriali, commenti, storie sulla manifestazione del Partito Democratico a Roma

“La pax di Bersani e il paese che ascolta” di Rudy Francesco Calvo
Il segretario del Partito democratico rimette il suo partito in campo
È la sua giornata. La manifestazione di oggi può rappresentare per Pier Luigi Bersani un punto di svolta. Con un gergo borsistico, si può dire che per il Pd è arrivato il momento del “rimbalzo”: dopo mesi di calo nei sondaggi bisogna tornare a crescere. La piazza gli darà certamente molta forza e certamente lui infonderà orgoglio ai tanti che affolleranno San Giovanni.
La benevolenza dei militanti nei suoi confronti non è mai stata in discussione, anzi il suo rapporto con la base in un certo senso è perfino più saldo di quello di chi lo ha preceduto. La sfida, semmai, è riuscire a parlare anche a quella maggioranza del paese che non è mai stata a una manifestazione di partito e che continua a cercare un’alternativa al centrodestra ormai frantumato.
Da quando è stato eletto segretario, Bersani è riuscito progressivamente a rafforzare la sua leadership interna. Ha dimostrato di essere totalmente emancipato dalla presunta golden share dalemiana e ha rafforzato la maggioranza congressuale stringendo un solido rapporto di collaborazione con il suo ex avversario Franceschini. Ha cercato di conciliare, non senza difficoltà, le innovazioni del Pd veltroniano (a partire dalle primarie) con un modello di partito più strutturato.
Nei momenti più importanti, come questi giorni che hanno preceduto la manifestazione e il voto di martedì sulla sfiducia al governo, ha sempre compattato lo stato maggiore democratico sulla propria linea, coerentemente con l’idea tradizionale di una leadership condivisa.
Negli ultimi tempi è riuscito perfino nell’ardua impresa di mettere d’accordo D’Alema e Veltroni. La scelta di un profilo più chiaramente di sinistra su cui collocare il Pd lo pone in concorrenza diretta con chi occupa più saldamente quello spazio, anche grazie a un partito più piccolo e più facilmente identitario. Anche nella competizione diretta con Vendola, questa manifestazione per Bersani rappresenta un’occasione importante: oltre alle sue riconosciute capacità di governo, oggi potrà dimostrare anche le sue qualità di leader politico, per rilanciarsi in vista delle eventuali primarie per la candidatura a premier del centrosinistra.
Il Pd è senza dubbio l’unico partito italiano in grado di una prova di forza come quella di oggi. Non ci saranno nemmeno i tanti distinguo che spesso affliggono il partito: il segretario ha già sottoposto al vaglio dei principali dirigenti il suo discorso, ricevendone un’approvazione unanime. Fra tre giorni, Berlusconi potrebbe tornare a casa forse definitivamente, un risultato finora mai riuscito a nessuno e che mai potrebbe riuscire senza il Pd.
Sta a Bersani, ora, dimostrare se il cesto è finalmente pronto per raccogliere quella mela sul punto di cadere. Sta a Bersani spiegare senza indugi la proposta dei democrat per questa fase d’emergenza (il governo di transizione) e, soprattutto, per quando si andrà al voto. Con la consapevolezza di parlare davanti alla “sua” gente, ma con la necessità di convincere molti italiani in più di quelli che saranno presenti a San Giovanni.

da Europa Quotidiano 12.12.10

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“Una Boccata di democrazia”, di Curzio Maltese

Per distrarsi dallo spettacolo di un grande paese in mano al voto degli ultimi due voltagabbana arruolati da Di Pietro. È un sollievo incontrare le facce di un´Italia diversa, reale. Quanti erano? Chissà. Se Berlusconi giurava di aver superato i due milioni la primavera scorsa, allora qui dovrebbero essere cinque o sei. Basta confrontare le foto di piazza San Giovanni dall´alto. Fuori dalla contabilità di fantasia, comunque una marea. Ma più dei numeri conta l´emozione di veder sfilare i ragazzi dell´Aquila accanto ai precari dello spettacolo, i ricercatori e i migranti, i maestri elementari e i cassintegrati, da tutta Italia, con cento dialetti e un milione di storie.
Una gran bella giornata. Tanto bella quanto probabilmente inutile. A questa politica del paese reale importa poco o nulla. I giochi si fanno altrove, nei palazzi del potere berlusconiano. Quanti se n´è comprati? Quanti ne comprerà nelle prossime 48 ore? Nel retropalco di piazza San Giovanni, mentre parla Bersani, gli specialisti sfoderano il pallottoliere. Dario Franceschini, che di solito ci azzecca («comunque più di Di Pietro» è la battuta), sostiene che il fronte della sfiducia è ancora sopra di due voti. «Se Guzzanti passa di là, siamo pari».
L´unica certezza è che non vi sarà un solo parlamentare, un singolo esponente del popolo, che cambierà idea perché uno, due o cinque milioni d´italiani sono scesi in piazza. Badano ad altre cose, consulenze, contratti in scadenza, rielezione, pensioni, mutui, ipoteche, debiti. La manifestazione di ieri non servirà a dare una spallata al governo Berlusconi. Ma può dare una scossa di fiducia al Partito Democratico, da mesi paralizzato da un paradosso. Il berlusconismo perde colpi, ma il principale partito d´opposizione non guadagna consensi, al contrario scivola nei sondaggi. Perché, se ha potenziale elettorale che supera il quaranta per cento? Perché, se ogni chiamata alla piazza raccoglie milioni di adesioni, quando in tutte le democrazie occidentali mezzo milione di persone in corteo costituiscono un record?
Il Pd è a un bivio storico, di fronte a una scelta difficile, che merita rispetto. Alle prese con un problema assai più profondo di quanto appaia dalle risse fra la ventina di aspiranti segretari. Il Pd deve scegliere se diventare un partito come tutti gli altri, ovvero il comitato elettorale di un leader forte e carismatico. Oppure rimanere l´ultimo partito collegiale sulla scena.
Nel suo bel discorso Bersani, assai più efficace in piazza che in televisione, ha rivendicato con orgoglio la diversità del Pd. «Non vogliamo creare passione per una persona, ma per la Repubblica». È cosa buona e giusta da dirsi, nobile. Bisogna vedere se è anche attuale. Nell´Italia berlusconizzata, ma non solo, i partiti sono la narrazione di un capo. Oggi il Pd, con tutta la fatica e il dolore affrontato per separarsi dalle proprie radici, il Pci e la Dc, si trova a perdere voti nei confronti di Vendola e Casini, rispettivamente un ex comunista e un ex democristiano, entrambi poco ex, i quali semplicemente hanno capito due o tre cose in più su come funziona la comunicazione politica nei tempi moderni. Nell´Italia del 2010 il Pd è un partito che appare fermo al Novecento, mentre il resto del mondo è entrato da tempo nel Duemila. Oppure è regredito all´Ottocento, chissà, ma in ogni caso sta altrove.
All´orizzonte del Pd oggi non esiste un leader carismatico. L´ultimo giovane pretendente l´hanno appena beccato a confabulare in segreto ad Arcore, lui sostiene per il bene di Firenze. Ma anche se si presentasse Obama in persona, il Pd per come è strutturato non accetterebbe mai di diventare il partito di un leader. Gli unici ad averci provato in questi anni, Prodi e Veltroni, sono finiti presto. Sia pure dopo aver raccolto molti più consensi delle direzioni collegiali. Ad ascoltare la gente di San Giovanni, la base del Pd non avrebbe dubbi sulla scelta da compiere. C´è il rischio che la metà delle persone scese in piazza all´appello di Bersani, in caso di primarie si precipitino a votare Vendola. Forse domani cambierà tutto, se cadrà Berlusconi. Ma per far finire il berlusconismo, più che un governo tecnico, servirebbe allora la rivoluzione invocata dal grande Mario Monicelli.

La Repubblica 12.12.10

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“Il tempo è finito”, di Concita De Gregorio
Sono passati quasi cinque mesi dall’espulsione di Fini dal Pdl, mancano due giorni al voto di fiducia di cui nessuno sa prevedere l’esito perché non dipende da argomenti politici, di credo o di progetto, dipende dal baratto: cosa mi dai in cambio, quanti soldi, che posto, quali garanzie per il mio personale futuro. Se la logica è quella mercantile tutto può succedere, nella contrattazione: che si alzi il prezzo, che fioriscano le convenienze, che svaniscano le dignità peraltro in molti casi già volatili. E’ abbastanza probabile, per quanto ci si auguri di no, che la smisurata disponibilità economica del magnate – di cui oggi apprendiamo le ultimissime sugli affari immobiliari ad Antigua, uno Stato a cui il signor B. ha condonato il debito in cambio di favori personali, come l’Unità ha da molte settimane anticipato – che la sua per così dire capacità persuasiva possa attecchire nelle coscienze deboli, illanguidite da ingiustificata autostima, e che il più longevo premier morente possa uscire dall’aula di Montecitorio, martedì, con un pugno di voti a suo vantaggio.

E’ anche possibile di no, e per quanto paradossale possa sembrare non ci sarebbe molta differenza. Sul piano pratico dell’immediato da farsi nei giorni sì, certo. Anche sul piano della propaganda, naturalmente. Non su quello della valutazione politica, però. Il momento della verità sarebbe rinviato di qualche settimana, forse di qualche mese. Nessuno, tuttavia, ma proprio nessuno neppure tra i berlusconiani di primo letto crede in cuor suo che quella a cui stiamo assistendo sia qualcosa di diverso da un’agonia. Questa fase politica, il quindicennio che abbiamo appena attraversato, è finito. Poi, come succede anche nella vita privata di ciascuno, il tempo del congedo può essere anche molto lungo e incerto, doloroso e violento, colmo di pericoli e di seduzioni di ritorno. Che sia finito, però, lo vedono tutti: i protagonisti per primi.

In questi cinque mesi di rivelazioni epocali e di messaggi video su facebook, di diaspore e di terzi poli, di tempeste di fango e di lotte fratricide nelle stesse metà campo non è successo niente, di fatto. Niente che già non si sapesse, niente che non fosse già successo prima, niente di nuovo purtroppo per un paese ridotto allo stremo materiale e morale, al limite della sua capacità di sopportare lo spettacolo di una politica sempre più grottesca, sempre più lontana dai bisogni reali, sempre più avida delle vivande servite al suo privato tavolo. Solo una gara al peggio. Dallo spettacolo delle private debolezze e nefandezze a quello, a cielo aperto, della corruzione ormai eletta a sistema legittimo, dichiarato, esibito. In altri tempi ci avrebbero fatto sorridere i sussulti da vivisezione di partiti «di responsabilità nazionale» che nascono nel numero di tre esponenti tra loro in dissenso, il Pri che espelle La Malfa (ma chi altro c’è, nel Pri, oltre a La Malfa?), i signorotti locali passati dal Psdi – ve lo ricordate? – all’Idv, i cognomi mai sentiti prima di parlamentari improvvisamente decisivi, corteggiatissimi, lusingati nel loro deluso amor proprio che ragionano di mogli e di mutui come se le loro vite private avessero qualche rilevanza per la Nazione. Oggi no, non fanno più ridere.
Sono la misura esatta, millimetrica, del punto in cui si arena il caimano. Vittima del suo stesso protagonismo ha reso giganti i nani, ha espulso dalla vita pubblica la politica e l’ha ridotta a mercato. Il mercato è diventato prostituzione, alla fine, non troppo diversa quella dei giorni da quella delle notti.

Nel lungo discorso di Pierluigi Bersani alla piazza c’è un passaggio che dice questo: quel che di più grave e di meno misurabile tra i disastri avvenuti nell’era politica appena attraversata non riguarda la classe politica, riguarda gli italiani. Come siamo cambiati noi. Lo diceva Altan in quella sua strepitosa vignetta: non temo Berlusconi in sé, temo Berlusconi in me. Così Bersani, ieri: abbiamo subito «il deperimento dell’etica pubblica, della dignità delle istituzioni e della politica, l’idea di una doppia morale consentita ai ricchi e ai potenti, il riaffacciarsi di stereotipi insultanti per la dignità della donna, la condiscendenza verso la mentalità pararazzista». Abbiamo creduto, alla fine, che davvero se sei il nipote o meglio ancora la nipote di qualcuno, che sia Mubarak o il prorettore dell’Università, non devi sottostare alle regole che valgono per tutti. Che se sei abbastanza furbo va bene così, puoi violare le leggi. Il problema – tutto il problema – è non farsi beccare. Avere gli amici giusti, gli agganci giusti, l’amante giusto, il leader di riferimento che ti garantisca l’assuzione all’Atac, la ristrutturazione di casa a tua insaputa, dov’è il reato? a un certo punto sempre compare un Ghedini col codice in mano. Non c’è reato, se sono bravi a occultarlo e lo sono, ma c’è delitto.

La piazza, ieri, ha esultato a sentir dire che la Lega gridava «Roma ladrona e ha votato tutte le leggi per i quattro ladroni di Roma». E’ un fatto. La presunta purezza leghista, quella di Bossi che diceva a Berlusconi sei un mafioso, si è perduta immolata sull’altare di un interesse materiale: e poi quale interesse? Il federalismo si è perduto nei boschi come le ronde padane. La realtà è che ai Comuni hanno tolto tutti i soldi, le autonomie sono azzoppate. La realtà è sotto una montagna di bugie. Basterebbe ripartire da qui. Dalla verità dei fatti e da un sussulto di dignità – era seria e fiera la piazza di ieri – per dire basta così, davvero. C’è un’Italia che non si compra, non è in vendita nemmeno se arrivano Putin in persona o Gheddafi a fare l’offerta, meno che mai. Un’Italia che vuole il bene di tutti, che non ha bisogno dell’uomo della provvidenza per difendere il suo paese, che non delega e non volta la testa. Perchè quell’Italia c’è, è al lavoro silenziosa. Non è neppure così sciocca da aspettare martedì. Accadrà domani o forse dopo. Quell’Italia sarà lì quando verrà il momento, è qui a vigilare nel frattempo. E’ questione di poco.

L’Unità 12.12.10

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“Elisa, Jeymas, Antonio e gli altri
Ecco le storie del popolo democratico”,
di Luciana Cimino

Antonio, 44 anni, finanziere: sono qui perché sono stato finalmente chiamato da quello che considero il mio partito e poi nello specifico sono qui anche per protestare contro i tagli di questo Governo alle forze dell’ordine, come membro della Guardia di Finanza io non mi sento tutelato e neanche come cittadino. Il fallimento di Berlusconi è sotto gli occhi di tutti.

Marco, 24 anni, studente di lettere del Friuli: i tagli alla cultura, la riforma Gelmini, la scure sulle scuole sono le cose che mi fanno manifestare. Io ho fiducia nel Pd perché ha una federazione giovanile forte, che cresce ogni giorno di più ma non nell’ottica di rottamare i vecchi perché sono quelli che posseggono le nostre radici.

Alessandro, 31 anni, consulente torinese: sono qui per dimostrare che questo Paese non sta con Berlusconi, che c’è un’altra Italia che non compra i deputati come al mercato delle vacche. Il Pd sta facendo bene, ora bisogna solo stringerci attorno a Bersani.

Franca, 53 anni, impiegata piemontese: Di fronte alla grave crisi economica che ha colpito l’Italia il Governo ha risposto solo con liti interne su cose personali. Invece bisognerebbe occuparsi con urgenza di una riforma degli ammortizzatori sociali e della sanità. Il Pd è stato male interpretato ma sta facendo un’opposizione seria,vicino alla gente. Bersani sta facendo il possibile e ha il mio sostegno.

Roberto, 65 anni, pensionato: voglio testimoniare la mia opposizione e contribuire alla caduta di Berlusconi che guida un Governo di incapaci, puttanieri e farabutti. Io non sono frazionista e sostengo in pieno il segretario Bersani che è persona di buon senso.

Vincenzo, 38 anni, della Polizia Municipale di Napoli: sono venuto a manifestare per esasperazione. E’ una piazza pulita davvero, non è solo uno slogan, vuol dire che non tutto si può comprare. Spero sia un segnale per il partito che deve essere più vicino alla gente, perchè quando perde la piazza perde l’identità. Vendola è più carismatico ma Bersani è più concreto, mi piacerebbe facessero campagna elettorale insieme.

Claudio, 59 anni, medico: sono qui per dare un futuro migliore ai miei figli perché questo Paese non mi piace. E’ tempo di mandare a casa Berlusconi e di non fare distinguo nel Pd ma di stare tutti uniti con Bersani.

Elisa, 33 anni, ricercatrice: sono in piazza per salvare le istituzioni democratiche di questo Paese. Urge una riforma fiscale e una politica industriale che manca da 10 anni. In questo momento bisogna volere più bene al pd e al suo segretario perché la situazione è troppo delicata.

Jeymas, 43 anni, aiuto-cuoco indiano: vivo a Roma da 21 anni e non ho diritti, le mie figlie sono nate qui ma non sono italiane. Il razzismo è diventato un metodo di governo. Il Pd mi da fiducia, per questo sono sceso a manifestare ma soprattutto perché sono proprio stanco.

Roberto, 29 anni, segretario del circolo Pd di Cologno Monzese: manifesto per far vedere che il Pd c’è ed è pronto a farsi carico di una responsabilità importante come quella di guidare il Paese. E poi sono qui per difendere la Costituzione più bella del mondo. Esprimo il mio apprezzamento per ciò che Bersani sta facendo, dopo 20 anni di distruzione della cosa pubblica da parte di Berlusconi, il Pd sarà una forza in grado di ricostruire l’Italia.

Emanuele, 19 anni, studente catanese: manifesto perché voglio dare il mio contributo per risollevare le sorti del Paese. Va fatta subito una riforma economica ma non solo di tasse e poi va dimostrato alla gente che no è vero che i politici rubano tutti, che noi siamo diversi. Io ho sempre votato Pd ma vorrei che si rinnovasse aprendo a Vendola che capisce davvero i problemi della gente.

L’Unità 12.12.10