economia, lavoro

"Marchionne disprezza l´Italia ma dimentica che qui è monopolista", di Roberto Mania

Parla il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso: “Sul contratto nazionale non può decidere la Fiat”. E accusa: “La mossa del Lingotto indebolisce il sistema di Confindustria, ma nasce dalla loro volontà di destrutturare le regole”
«Marchionne deve smetterla di disprezzare l´Italia. E non per gli aiuti che la Fiat ha ricevuto in tanti anni. Ma perché questo Paese ha permesso alla Fiat di essere monopolista, gli ha garantito un grande mercato interno e un importante portafoglio marchi, tra cui quello dell´Alfa Romeo. Grazie a tutto questo la Fiat di Marchionne ha potuto scalare la Chrysler». Susanna Camusso, segretario generale della Cgil da poco più di un mese, sta tornando a Milano dopo aver partecipato alla manifestazione del Pd. La sfida con Marchionne sarà la sua prova del fuoco da leader della Cgil. Lei non sarà la “signora del no”, ma su tutto vuole trattare rispettando le regole del gioco e non facendosele imporre dagli altri. Chiama in causa la Confindustria: «Spetta alla Marcegaglia invitare Cgil, Cisl e Uil a un confronto sull´eventuale contratto nazionale dell´auto. Non può essere la Fiat a scriverlo perché è nei fatti un monopolista e nemmeno la Federmeccanica che non rappresenterà più il settore». Non teme l´ennesimo accordo separato, quanto «la balcanizzazione delle relazioni industriali». Definisce «falsa e sbagliata» l´accusa di Marchionne alla Fiom che bloccherebbe lo sviluppo. «La riprova? Il Nuovo Pignone è un´azienda leader mondiale e lì la Fiom è largamente il primo sindacato».
Lei dice che Marchionne disprezza l´Italia. In realtà chiede solo garanzie per gli investimenti. Invece dovrebbe essere riconoscente a vita nei confronti dell´Italia?
«Non è una questione di riconoscenza. Dico che è il patrimonio costruito nel tempo che gli può permettere di giocare nel mondo. E dico anche che quel patrimonio è stato largamente svalorizzato negli ultimi anni. La Fiat dovrebbe confrontarsi con la Volkswagen che oggi è in condizioni di investire 44 miliardi di euro e programmare 50 mila assunzioni. Se poi Marchionne, con le sue critiche, intende porre il problema della mancanza di una politica per l´auto da parte di questo governo, ha ragione da vendere. Ma è un altro discorso e, allora, non può scaricare tutto sui lavoratori e far saltare il sistema delle garanzie per i lavoratori stessi».
Marchionne ha chiesto alla Marcegaglia di indicargli quali sono le ragioni che rendono conveniente un investimento in Italia. Provi a rispondere anche lei.
«C´è un motivo tra tutti: il mercato europeo. La Fiat non può pensare di diventare un giocatore mondiale andandosene dall´Europa. Così Marchionne contraddirebbe se stesso. I suoi concorrenti americani sono molto presenti nel mercato europeo».
La Fiat potrebbe rafforzarsi in Polonia o in Serbia.
«Ma non aveva spiegato che dovevamo fare come la Germania?».
Comunque la Fiat è pronta a investire 20 miliardi di euro a condizione che i sindacati firmino un accordo per modificare l´organizzazione del lavoro.
«Per ora ci sono i 700 milioni per Pomigliano e un miliardo per Mirafiori. Continuiamo a non vedere il piano “Fabbrica Italia”. È un piano che per ora non esiste. Ha ragione il segretario della Cisl Bonanni: prima gli investimenti e poi le ricadute sul lavoro».
La Confindustria è vittima o “complice” di Marchionne?
«Sono vere entrambe le cose. Per un verso è vittima perché la mossa di Marchionne indebolisce il sistema di rappresentanza della Confindustria. Ma nello stesso tempo questa situazione non è altro che la conseguenza della destrutturazione delle regole avviata con l´accordo separato sul modello contrattuale. Nasce tutto da lì».
L´uscita della Fiat da Confindustria sarà temporanea, come dicono, o definitiva?
«Mi pare che abbia tanta voglia di non tornare indietro. Ma spetta a Confindustria chiamare al tavolo i sindacati per scrivere, eventualmente, il nuovo contratto per l´auto. Seguendo la strada già tracciata all´epoca delle liberalizzazioni: non più il contratto Telecom, per esempio, ma quello nazionale del settore telecomunicazioni. Se non si avvia un confronto di questo tipo c´è il rischio che si metta in discussione il cosiddetto “tavolo per la crescita”. Tra l´altro producendo un danno verso tutte le altre organizzazioni di imprese. La responsabilità sarebbe della Confindustria».
Dunque la Fiom ci sarà al tavolo per il contratto dell´auto?
«Prima si deve stabilire cos´è il contratto dell´auto. Se è un nuovo contratto nazionale serve una discussione aperta, non predeterminata. Servirebbe un po´ di decenza per il rispetto delle regole».
Teme un altro accordo separato?
«Non temo nulla se non la balcanizzazione del sistema contrattuale».

La Repubblica 12.12.10