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"Quando lo scandalo è un affare di famiglia", di Filippo Ceccarelli

Le assunzioni clientelari di massa nelle aziende municipalizzate di Roma dimostrano quanto sia sempre forte la logica del clan e del nepotismo. Già nella città pontificia dei tempi del Belli il criterio era presentare ospiti e convitati come “Parenti e parenti de parenti”
L´abnorme familismo nero nasce e prospera all´ombra della più fantasmagorica progettualità dai Gran Premi alle Olimpiadi. Come l´inizio di un film, esattamente un anno fa, si riunirono per un convivio nel Palazzo dei Congressi dell´Eur, doviziosamente messo in ghingheri natalizi, tutti i protagonisti e i comprimari, i generici e i caratteristi, le macchiette e le comparse dell´odierna e sciaguratissima Parentopoli capitolina. Fu la cena detta appunto dei Mille, perché mille erano gli invitati e mille gli euro che ciascuno dei partecipanti aveva dovuto scucire a beneficio della fondazione di Alemanno, già allora minacciosamente battezzata “Nuova Italia”.
I poteri vanno per loro natura alla sostanza. Così, dopo un decennio di pasti etnici e smancerie veltroniane, il menu per i newcomers ruotava attorno al guanciale, servito con zucca gialla o croccante, come si conviene a gente verace, popolo gajardo e tosto. Ai tavoli sedevano soddisfatti i rappresentanti di quella che l´altra settimana il professor Alessandro Campi, deprecando il familismo amministrativo della chiamata diretta e dell´allegra gestione cameratesca, ha qualificato come: «Ogni possibile destra, anche la più eccentrica».
E dunque, davanti al guanciale e a tutto il resto c´erano i figli dei reazionari papalini, i fratelli dei maghetti pagani, le segretarie degli affaristi e le amichette dei palazzinari con il busto del duce sulla scrivania; c´era qualche nipote di aristocratici in disuso e qualcun altro giunto invece dalla periferia pasoliniana, ma in entrambi i casi grati al nuovo comando perché debitamente “imboccati” in Ama, Atac, Acea o Trambus. E ancora, sotto le volte addobbate del Palacongressi, con qualche cognizione di causa si sarebbero potute riconoscere le mogli degli estremisti della galassia nera divenuti più o meno pacifici, le sorelle degli ultrà delle curve con l´aquila littoria tatuata sull´avambraccio, i generi e i nipotini degli ex attivisti dei Volontari Nazionali, dei paracadutisti ardimentosi e attempati, dei golpisti da operetta, dei proprietari di palestre e accademie pugilistiche. Ma tutti, e ben al di là delle reciproche differenze, e abissali, chiamati all´immensa e ghiotta tavola di Alemanno secondo quell´estensivo e insieme inclusivo criterio che già ai tempi della Roma del Belli presentava ospiti e convitati come: «Parenti, e parenti de parenti».
E si perdoni qui il salto brusco, ma per dire l´inutile pruderie pochi giorni prima la giunta Alemanno, sinceramente sdegnata e/o magari timorosa di fare brutta figura, comunque aveva cancellato una mostra itinerante di taglio scientifico divulgativo da tenersi al Bioparco con il titolo: “La cacca. Storia naturale dell´innominabile”. Il fatto che dopo appena un anno quella bassa materia abbia lambito un´amministrazione che ha puntato tutto sulle politiche simboliche può dire poco di Parentopoli, in apparenza, ma parecchio dice sulle code di paglia di un ceto politico ossessionato dall´immagine, ma proprio per questo destinato a trovare nell´immagine la sua dissipazione e in prospettiva la sua rovina.
L´abnorme familismo nero, in realtà, nasce e prospera all´ombra della più fantasmagorica e dispendiosa progettualità, una specie di veltronismo alla rovescia, cioè virato a droite, per quanto smosso da non dissimili modalità megalo-espressive. Quindi a parte l´abbattimento dell´Ara Pacis, poi ridottosi a quello di un muretto, eccoti la promessa di due-stadi-due per il calcio; eccoti pure il Gran premio di F1; e le Olimpiadi prossime venture, e già; e la Disneyland sulla romanità, che stavamo in pena senza; e i casinò a Ostia, capirai; e le isole pure a Ostia, figurarsele; e l´eco-masterplan affidato a Rifkin, anvedi; e i grattacieli in periferia, che ci mancavano anche quelli; e i pannelli solari al centro, ammappete; e la distruzione di Tor Bella Monaca e così via.
Tutto sempre e rigorosamente sulla carta, o meglio da proiettarsi lungo un radioso futuro – «Il domani appartiene a noi», cantavano del resto i giovani rautiani – ma senza scuotere mai nemmeno un sanpietrino. Tutto implacabilmente confezionato per attrarre un bruscolo d´attenzione –quest´ultima, s´intende, temperata dal naturale e sublime scetticismo della città. Ma tutto secondo un dispositivo per cui la super fuffa, nel frattempo nutritasi anche di sbornie futuriste, menu quaresimali nelle scuole e mascherate di antichi romani al Circo Massimo – senza dubbio ha finito per coprire il piccolo cabotaggio dei favoritismi, le assunzioni in barba al risanamento, gli stipendioni ai collaboratori del sindaco, le frattaglie e forse anche la polpa del potere già vaticano, andreottiano, sbardelliano, rutelliano, veltroniano da riconvertirsi adesso ad uso e consumo della tribù ex missina.
Ora, fatta salva la storica circostanza che la parola “nepotismo” è fiorita proprio da queste parti, e che perciò Alemanno non sarà né il primo né l´ultimo, è ovvio che governare Roma è tutt´altra questione. E tanto più lo è in quanto «a sto paese, già tutto er busilli – cioè il punto delicato, è sempre il Belli a spiegarlo – sta in ner vive a lo scrocco e fa´ orazzione».
E così, sia pure per la via indiretta delle orazioni, delle abbondanti processioni, delle cerimonie religiose, e chiudendo un occhio sugli impieghi generosamente assegnati alle cubiste scroccone, converrà concludere ipotizzando il nesso che esiste tra la logica “sangue e suolo” e quella, assai più declamata che praticata in Campidoglio, dei “Valori”. Fra i quali, appunto, risalta la famiglia. A Natale del 2008 il sindaco ritenne di fare gli auguri su YouTube: «Buon riposo – disse – tra i Sacri Valori della Famiglia». Che si stava appunto per catapultare su Ama, Atac, Acea e Trambus.

La Repubblica 16.12.10