attualità, politica italiana

"Il paese senza politica", di Tito Boeri

Il distacco degli italiani dalla politica non è mai stato così forte. Ce lo dicono tutti i sondaggi disponibili. Secondo l´Eurobarometro, la percentuale di italiani che si fida del Parlamento, già due terzi di quella di Francia e Germania, è scesa negli ultimi 10 anni di dieci punti.
È un fenomeno presumibilmente destinato ad accentuarsi ulteriormente dopo lo spettacolo desolante delle ultime settimane. Parlamentari che aspettano fino all´ultimo minuto per decidere se votare o meno la sfiducia, una strategia ottimale per massimizzare il prezzo al quale si vende il proprio voto. Un esecutivo che tiene vacanti 14 posti chiave nel mezzo della crisi più grave del Dopoguerra, pur di avere poltrone da offrire ai nuovi acquisti. L´esplosione di nuove sigle, di one-man party, partiti con un solo deputato, pivotali, tali da tenere in scacco partiti con milioni di voti: sono ormai 12 i partiti di cui si compone la maggioranza del 14 dicembre. Il presidente in pectore della Consob, Giuseppe Vegas, che vota per mantenere in vita il governo che lo ha nominato al vertice di un´autorità che dovrebbe essere non solo di nome indipendente, dando una dimostrazione di totale dipendenza dalla politica. Si dice che non c´è limite al peggio, ma abbiamo già abbondantemente superato ogni limite minimo di decenza.
La sfiducia nei confronti della classe politica è diversa da quella dei tempi di Tangentopoli. Questa volta sembra travolgere indiscriminatamente l´intera classe politica, senza distinzioni di campo e di persone, mettendo i politici corrotti o coinvolti in illeciti, ai quali non pochi elettori sembrano avere fatto il callo, assieme a politici onesti e competenti. È un fenomeno pericoloso in quanto priva di rappresentanza politica il crescente disagio per le condizioni economiche del paese. Un paese in cui il reddito pro capite è tornato ai livelli di 10 anni fa, la pressione fiscale continua ad aumentare nonostante la bassa qualità di molti servizi pubblici, i giovani hanno più di tre volte degli altri la probabilità di essere disoccupati e dieci volte di essere poveri, gli immigrati sono messi in competizione con la popolazione autoctona nell´accesso a servizi di base, come gli asili nido. Il rischio che questo disagio sociale trovi sbocchi violenti è tutt´altro che remoto e non può essere rimosso liquidando episodi come quelli delle ultime settimane come un semplice problema di ordine pubblico e di minoranze organizzate.
Importante perciò trovare un modo di trasformare il distacco in sostegno a riforme in grado di migliorare i meccanismi di selezione della classe politica e la sua responsabilizzazione al cospetto degli elettori. Non si tratta di introdurre vincoli di mandato che – oltre a essere incostituzionali – finirebbero per privare il Parlamento di maggioranze trasversali su riforme importanti per il Paese. Né è un problema strettamente di legge elettorale, un tema che non appassiona l´opinione pubblica e che divide sia la maggioranza che l´opposizione. Il passaggio chiave è quello di ridurre drasticamente il numero di parlamentari, ridisegnando le circoscrizioni in modo tale da aumentare la competizione fra i partiti. Abbiamo molti più parlamentari in rapporto agli elettori delle altre democrazie consolidate e i politici corrotti o incompetenti vengono spesso eletti in roccaforti, circoscrizioni in cui loro partito non ha rivali.
Una ricerca di Vincenzo Galasso e Tommaso Nannicini, per www. lavoce.info, mostra come i collegi in cui l´esito del voto è più incerto mandano in Parlamento deputati con maggiori esperienze amministrative e mediamente più istruiti di quelli dei collegi “sicuri”, dove invece dominano i funzionari di partito, quelli che hanno svolto l´intera carriera nella politica di professione. La competizione elettorale obbliga i partiti a scegliere candidati migliori e stimola i cittadini a studiare più a fondo le qualità personali dei candidati.
L´unica ragione per cui nessun partito oggi all´opposizione ha voluto sin qui impegnarsi in una battaglia per ridurre il numero dei parlamentari è che questa battaglia non trova sostegno fra chi fa politica di professione. È come se i docenti universitari votassero per ridurre il numero di posti in organico. Ma sono proprio proposte di questo tipo a legittimare l´operato di un governo di transizione prima di tornare alle urne. E chi dall´opposizione continuerà ad ignorarla, rischia di regalare uno spazio enorme al populismo e all´anti-politica.

La Repubblica 21.12.10