attualità, politica italiana

"Da Berlusconi a Depretis vince il trasformismo" di Michele Ainis

Berlusconi come Depretis? Altri tempi, altre tempre. Eppure c’è una parola che riassume la stagione politica che stiamo attraversando, la stessa parola con cui gli storici ricordano un’esperienza di fine Ottocento: trasformismo. All’epoca, il rafforzamento della maggioranza di governo con l’apporto di singoli parlamentari, oppure assorbendo frazioni della sinistra e della destra; oggi le giravolte di Scilipoti e Calearo, lo smottamento dell’opposizione, il rimescolio di bussolotti da cui per il momento è uscita una fiducia risicata, domani chissà, magari una tombola per chiudere la legislatura alla sua scadenza naturale.

D’altronde il presidente del Consiglio l’ha detto chiaro e tondo: posso incrementare le mie truppe accettando nuovi partiti al desco dell’esecutivo, oppure accogliendo nuovi commensali, uno per uno, e l’ultimo chiuda la porta. Insomma contano i numeri, non come ci s’arriva: questa o quella per me pari sono.

E invece no, stavolta Rigoletto ha torto. Non è la stessa cosa allargare la coalizione di governo rinegoziandone il programma con altre forze politiche, o allargare la maggioranza esibendo qualche scalpo per trofeo. E del resto un conto è il dissenso d’una minoranza interna sulla linea del partito, magari così aspro da consumare una scissione, magari così profondo da coinvolgere gli stessi fondatori del partito: il caso di Gianfranco Fini dentro il Pdl, di Francesco Rutelli nel Pd.
Un conto è il cambio di strategia – e quindi d’alleanze – deciso da un partito nel suo insieme, come potrebbe decidere domani l’Udc di Casini, lasciando i banchi dell’opposizione per accomodarsi su quelli del governo. Tutt’altro conto sono le fulminazioni personali, i cambi di casacca da parte di questo o quel mediano, il viavai dei singoli da un gruppo parlamentare all’altro. Nei primi due casi va in scena la politica, nel terzo caso i politici, soltanto loro.
Si dirà: ma la politica è il gioco con cui per l’appunto si trastullano i politici, anche quelle decine di peones che fin qui hanno cambiato schieramento. Ed è un gioco libero, senza vincolo di mandato, come garantisce l’articolo 67 della Costituzione. Perché mai dovremmo giudicare trasformiste le piroette individuali e non quelle collettive? Non è forse a beneficio del singolo parlamentare che la nostra Carta forgia il divieto di mandato imperativo? A prenderla alla lettera sì, non c’è alcun dubbio. Ma la legge elettorale ha violentato anche la lettera, oltre allo spirito, di questa garanzia costituzionale. Perché l’eletto è libero rispetto all’elettore, e perché il porcellum ha cancellato gli elettori.

Quanti sono gli italiani che hanno votato per Calearo o Scilipoti? Nemmeno uno: abbiamo votato per il Pd o per Italia dei valori, abbiamo messo una crocetta su un partito, non su un cognome. Dunque è ai partiti che adesso s’applica il divieto di mandato imperativo, non ai parlamentari scelti dai partiti. Loro, se durante la corsa cambiano cavallo, dovrebbero avere il buon gusto di dimettersi, cedendo il posto al primo della fila.

Ma ovviamente non ci pensano nemmeno. Anche se un Parlamento di porte girevoli finisce per aumentare la distanza fra popolo e Palazzo. Anche se questo andirivieni riflette in ultimo l’idea che l’idea non conta nulla, conta la poltrona. E allora non resta che riesumare un’immagine di Giosuè Carducci: «Trasformismo, brutta parola a cosa più brutta. Trasformarsi da sinistri a destri senza però diventare destri e non però rimanendo sinistri». È del 1883, ma sembra scritta ieri.

Il Sole 24 Ore 22.12.10

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“Ecco i 22 responsabili che faranno gruppo alla Camera per aiutare il premier. Berlusconi: non entreranno al governo”, di Celestina Dominelli

«Le persone che hanno deciso di appoggiare la maggioranza lo hanno fatto per un loro convincimento, ad esempio quelli dell’Idv perché non sopportavano più il loro leader». Lo afferma il premier Silvio Berlusconi nel corso della registrazione di Matrix. A chi gli chiede se ci sia la possibilità che qualcuna delle new entry possa fare il sottosegretario, il Cavaliere risponde: «io penso che non ci sia questa eventualità ». Ecco chi sono gli ultimi arrivi.

Ci aveva provato, ma con esito fallimentare, anche il repubblicano Francesco Nucara, calabrese doc. Desideroso di offrire alla maggioranza un puntello pro-fiducia prima del voto di fine settembre. Ma di quell’idea, un gruppo nuovo di zecca alla Camera di parlamentari “responsabili” a sostegno del governo, non se ne fece più nulla. Un po’ per il fuggi fuggi generale innescato dalle indiscrezioni di stampa sui possibili componenti, un po’ per gli annunci poco prudenti del repubblicano, che stopparono l’operazione sul nascere. Ora, però, a Montecitorio qualcuno vuole riprovarci e le chance questa volta sembrano decisamente più alte. Il battesimo? Oggi stesso con una riunione nella sede di Noisud alla Camera che vedrà sedere attorno allo stesso tavolo ben 22 parlamentari.

Si fa presto a capire chi sono. Basta riavvolgere il nastro fino a tornare al voto di fiducia del 14 dicembre quando 22 parlamentari iscritti al gruppo misto fornirono al Cavaliere un significativo aiutino. Per il momento sarà un semplice confronto ma l’obiettivo, come anticipato oggi da Saverio Romano, leader dei Pid (che sta per Popolari per l’Italia di domani), è quello di lanciare a gennaio un nuovo gruppo parlamentare. Che servirà, soprattutto, a dare una mano al governo in alcune commissioni (bilancio e finanze su tutte), dove, dopo la nascita di Fli e poi del terzo polo, Pdl e Lega si sono ritrovati improvvisamente in minoranza. Dunque un’operazione dall’impatto immediato e benefico per il premier Silvio Berlusconi. Il quale, non a caso, ha strabenedetto il nuovo progetto chiedendo proprio a Romano, incrociato ieri al Quirinale, di tenerlo costantemente informato di tutti gli sviluppi.
Tanto più se si getta un occhio ai componenti del futuro gruppo di responsabili, spesso tra di loro agli antipodi, quanto a storia politica e a scelte parlamentari. Dentro la neonata formazione c’è infatti davvero di tutto. Ci sono, e hanno un peso specifico non indifferente, i quattro ex Udc siciliani in guerra con Pier Ferdinando Casini dopo la sua scelta di sostenere, nell’isola, il governo di Raffaele Lombardo. A cominciare da Saverio Romano, potentissimo segretario regionale centrista e uomo legatissimo all’ex presidente Salvatore Cuffaro, che ha mollato il partito e ha costituito alla Camera il mini-gruppo dei Pid. Di cui, oltre a Romano, fanno parte l’ex ministro democristiano Calogero Mannino, il deputato Giuseppe Ruvolo, già vicesegretario centrista in Sicilia, il campano Michele Pisacane (sindaco di Agerola) e Pippo Gianni. Subentrato, solo qualche settimana fa, a Giuseppe Drago, ex presidente della Regione decaduto dall’incarico per una condanna a tre anni per peculato, confermata in Cassazione.

A far compagnia ai Pid ci sono poi i 7 componenti di Noisud, nati da una costola dell’Mpa di Lombardo per volontà dell’ex sottosegretario Enzo Scotti: Luciano Sardelli, Arturo Iannaccone, Elio Belcastro e Antonio Milo. Cui si sono aggiunti prima l’ex Pd, Antonio Gaglione, medico noto soprattutto per le sue assenze in aula (non c’era nemmeno il 14 dicembre) e successivamente gli ex Idv, Americo Porfidia e il discusso Antonio Razzi (che ancora ieri ignorava l’esistenza del nuovo gruppo). Per non dimenticare poi, oltre al già citato Francesco Nucara, anche l’ex Udc e giornalista Rai, Francesco Pionati, uno dei cacciatori di teste sguinzagliati in Parlamento alla ricerca di nuovi acquisti pro-governo. Il gruppo può poi contare anche sull’apporto di Maurizio Grassano, ex diniano migrato anche lui nel misto in rotta con gli altri due compagni di partito.

A completare la squadra ci sono inoltre i quattro finiani che hanno abbandonato la scialuppa dell’ex leader di An: il presidente della Commissione lavoro a Montecitorio, Silvano Moffa, l’ultimo a staccarsi da Fini, cui pure era legatissimo, l’ex sottosegretario all’istruzione, Maria Grazia Siliquini,Catia Polidori (solo omonima di Mister Cepu) e infine il direttore della Discussione, Giampiero Catone. Infine i tre giunti da pochissimo nel gruppo misto dove hanno costituito una mini-formazione:l’ex presidente di Federmeccanica, ex Pd e ex Api, Massimo Calearo, Bruno Cesario, identici passaggi e infine il vulcanico ex dipietrista Domenico Scilipoti. Insomma, una galleria assai varia che dovrà trovare una sintesi e soprattutto un capo. Per ora nessuno si sbilancia ma in pole position ci sono Romano o Moffa: quale che sia il leader alla fine avrà di certo il suo bel da fare.

Il Sole 24 Ore 22.12.10